Excursus storico del Teatro nel Basso Lazio

Abbiamo avuto modo di raccontare alcuni episodi di storia del teatro legati al territorio del Basso Lazio: l’importante Dramma della Passione (inizi del XII sec.) rinvenuto a Montecassino; il di poco posteriore Ritmo cassinese; le fondamentali esperienze sceniche e filologiche di Giovanni Sulpizio da Veroli, sul finire del Quattrocento; e ancora le rappresentazioni teatrali presso la corte dei duchi Boncompagni di Sora nel Cinque-Seicento; la vicenda umana e di autore drammatico del semisconosciuto isolano Gaetano Marsella (prima metà del XVIII sec.); le messinscena sorane curate da Antonio Jerocades nella seconda metà del Settecento.

In generale, prescindendo dalla vita teatrale che sicuramente si sarà svolta nell’antichità presso il teatro e l’anfiteatro romani di Frosinone, Cassino ed Aquino (per citare i più rilevanti), si può affermare che, tra il Seicento e il Novecento, direttamente o indirettamente, il Basso Lazio è stato luogo di spettacoli teatrali, oppure è stato la terra di origine di autori drammatici. Ne diamo un breve resoconto, riservandoci di approfondire con altre ricerche quanto finora raggiunto.

Nel 1603, viene pubblicata la tragedia Costanza. Trionfo del martirio di S. Sebastiano, scritta da Orazio Silvestri, canonico di S. Maria in Cosmedin di Roma, nativo di Pofi. Si tratta di un’opera in un prologo e tre atti, in versi, in cui appaiono dieci interlocutori ed un coro. Nella premessa, l’autore ci informa che avrebbe voluto pubblicare anche una sua tragicommedia, dal titolo Gioseppe, ma che al riguardo sorsero difficoltà tali da farlo desistere.

Al ramo della famiglia Colonna, duchi di Paliano (e Tagliacozzo), sono state, nel corso del Seicento, dedicate diverse opere teatrali. Per esempio, Marcantonio Colonna fu il dedicatario della commedia di Giovanni De Nobili, Cleria (1609), e del carro musicale scritto da un anonimo che si firmò Poeta Inesperto (e con musiche di Filiberto Laurentij), intitolato Il trionfo della fatica (1647). Questo spettacolo carnevalesco fu rappresentato in Roma, proprio per iniziativa del duca di Paliano.

Ancora: ai duchi di Paliano vennero dedicate Il novello Giasone (1671), dramma per musica, recitato nel teatro di Tor di Nona, scritto da Giacinto Andrea Cicognini e posto in musica da Francesco Cavalli; Il Tito (1672), melodramma di Nicola Beregan, posto in musica da Antonio Cesti, che, prima della messinscena romana, era stato rappresentato a Venezia nel 1666; Il Pompeo (1683), dramma per musica di Nicolò Minato, già edito a Venezia nel 1666 come Pompeo Magno (nella versione veneziana, poi ripresa anche in altre città, le musiche furono composte da Alessandro Scarlatti, mentre per quella di Roma, autore della partitura fu Francesco Cavalli); La Tessalonica (1683), dello stesso autore (anche quest’opera conobbe una prima rappresentazione a Vienna dieci anni prima, con le musiche di Antonio Draghi; per la rappresentazione di Roma, poi ripresa nel 1686 a Firenze, la musica fu scritta da Bernardo Pasquini); Li cavalieri dell’Iride (1684), libretto esplicativo – una sorta di programma – di una celebre mascherata, realizzata per iniziativa di Lorenzo Onofrio Colonna, e ripetuta a Roma due volte sul finire del carnevale di quell’anno; La notte, il giorno ed il merito (1688), cantata per tre voci dedicata alla principessa Lorenza della Cerda Colonna, destinataria anche della serenata Amor per amore di Silvio Stampiglia, noto in Arcadia come Palemone Licurio, e musicata da Giovanni Bononcini nel 1696. Infine, ricordiamo, in riferimento ai Colonna di Paliano, Il Cristo giudice: si tratta di una tragedia sacra, pubblicata nel 1698, ma che venne rappresentata presso la basilica dei SS. Apostoli in Roma a spese di Marcantonio Colonna sul finire del Cinquecento.

Un altro dedicatario illustre di opere drammatiche a stampa fu il cavalier Giuseppe Cesari di Arpino, celebre pittore attivo a Roma nel Seicento. In realtà, l’interesse del Cavalier d’Arpino per il teatro fu anche di natura pratica, avendo egli, come apprendiamo da alcune lettere dedicatorie premesse alle opere sottoelencate, partecipato, in qualità di anfitrione o di scenografo, alla rappresentazione di alcune di esse. Al suo nome sono legate: Maggia damore (1609), favola pastorale di Matteo Pagani, la quale costituisce un caso estremo di mescolanza di generi, stili e linguaggi (infatti, alcuni personaggi parlano in versi, altri in prosa, altri in continua alternanza), e nella cui dedica leggiamo che il Cesari diede vari trattenimenti nel suo palazzo romano; La selva incantata (1626), commedia boschereccia del medesimo autore, che dichiara di aver avuto l’idea di quest’opera, collaborando con il cavalier d’Arpino (del quale si dice allievo) e con Francesco de Cuppis all’allestimento scenico della Catena d’amore; Il giuoco di fortuna (1627) di Guido Casoni, opera in cinque atti e condita con qualche aria musicale; L’innocente principessa (1627), tragicommedia di Francesco Miedelchini, con scena boschereccia rappresentata in una selva lontana di Salerno, e con alcuni inserti dialettali; Le disgratie di Burattino (1628) “commedia ridicolosa e bella” del sig. Francesco Gattici; Il fulminadonte fedele (1633), tragicommedia di Matteo Pagani, il cui frontespizio è inciso con amorini ed arme del dedicatario, il cui nome è scritto su un cartiglio insieme a quello degli altri celebri arpinati, Cicerone e Mario (l’autore ci fornisce notizia della recita de La vedova, un’altra sua commedia, in casa di Giuseppe Cesari).

Relativamente alla città di Arpino, l’abate Domenico Romanelli nel suo entusiasmante resoconto del Viaggio da Napoli a Monte-Casino ed alla celebre cascata d’acqua dell’Isola di Sora (edito a Napoli nel 1819), oltre a fornire ragguagli sulle vestigia degli antichi teatri in terra di Ciociaria, ricorda: «Dopo il mezzogiorno arrivai ad Arpino. La sera fui invitato al teatro Tullio dove si rappresentò in musica una bellissima commedia da alcuni dilettanti, che fanno grande onore alla loro patria» (p. 132).

Il cepranese Antonio Vitagliani pubblicò nel 1644 Gli amanti intromessi, commedia in un prologo e cinque atti in prosa. Sul frontespizio si dice che quest’opera venne stampata in Ceprano, ma il Fumagalli suppone, in assenza di altre opere ivi stampate, che in realtà la commedia fosse stata edita a Roma.

L’alatrese Eleuterio Rozzi, frate cappuccino, nel 1665, pubblicò l’argomento del Cappuccino scozzese, tragedia rappresentata dai convittori del Collegio Clementino nelle vancanze di Carnevale. Il testo completo fu stampato nel 1673 ad opera del fratello dell’autore, Francesco, il quale, nella “Protesta” anteposta alla fabula, dichiara di averla avuta «casualmente». Il soggetto di questa tragedia era stato ripreso da La Pazienza premiata, ovvero il Cappuccino scozzese, scritta da Pietro Piperno, e data alle stampe solo nel 1700 a Napoli.

Dall’archivio storico comunale della città di Atina, apprendiamo che: «Si faceva a gara anche tra i mediocri letterati per comporre drammi e darli alle scene. Così nel 1655 troviamo, senza alcun dubbio, trasformata a teatro l’ampia sala di giustizia dei Cantelmi, tanto che nelle memorie storiche cittadine è ricordato che Pietro Antonio Bologna, versatissimo nelle leggi, ma molto di più nelle belle lettere, oltre a molte sue eroiche composizioni formò L’Opera della Cilinda che poi con soddisfazione generale fece rappresentare nel teatro di Atina».

Probabilmente, ad Anagni, fin dal XV sec., in occasione delle celebrazioni liturgiche e processionali in onore di Santa Uliva, il 3 giugno, si svolgevano rappresentazioni sacre, ispirate alla vita e al martirio della fanciulla vergine venerata in città.

Risale al 1727 una raccolta di componimenti, recitati in Anagni in lode di Ferdinando Campanari da Veroli, “Maestro Baccelliere minore conventuale”, in occasione del “celebre Quaresimale dal medesimo predicato in questa cattedrale”. Tra queste opere vi è un’ecloga pastorale, recitata il 22 aprile, in cui due pastori ernici (il manoscritto riporta anche gli interpreti: il canonico Magno De Magistris e il dottor Giuseppe Petrelli, Accademici Riuniti) rievocano la fervente predicazione di San Gregorio, grazie alla quale molti peccatori furono redenti e si incamminarono sulla strada della fede e della carità.

Per quel che riguarda Alvito, è interessante segnalare l’attività di ballerino del duca Francesco Gallio. Costui, infatti, in veste di danzatore e insieme con altri rappresentanti dell’alta nobiltà del suo tempo, partecipò, nel 1721 ad una straordinaria rappresentazione presso il collegio Clementino di Roma. Per l’occasione fu organizzata una Festa accademica di lettere e d’arme, sotto gli auspici del principe e cardinale di S. Susanna, Giuseppe Pereira De La Cerda, consigliere di stato dei reali di Portogallo.

Quando Ferdinando II di Borbone, re delle Due Sicilie, sposa Maria Giuseppe d’Austria, nel 1767, il maestro di cappella dell’Elettoral Corte di Sassonia, il sig. Adolfo Hasse, detto il Sassone, compone la musica della festa teatrale Partenope, su testo di Pietro Metastasio, che fu rappresentata nel Burgtheater di Vienna. Il libretto scenico, stampato quello stesso anno quale strenna natalizia, venne dedicato a Vittoria Sforza Buoncompagni Ludovisi, duchessa di Arce.

La città di Veroli, nel corso del Settecento, fu sede di alcune rappresentazioni teatrali. Nel 1701, nel teatro del Magistrato della città, viene messa in scena l’opera scenica del nobile verulano Francesco Giovardi, Il morto regnante, overo la forza delle stelle, dedicata ad Annibale Albani, che fu anche data alle stampe, tre anni più tardi, in Anagni. Giovardi, che morì appena trentaquattrenne, fu autore di altre opere drammatiche, purtroppo molte delle quali da lui stesso date alle fiamme per scrupoli di carattere morale. Alcuni manoscritti ricordano di lui i seguenti titoli: Il principe smarrito, La margherita, La donna costante, I saggi deliri. Sicuramente reperibile presso la Biblioteca Giovardiana di Veroli è il manoscritto de Il freno delle passioni, da lui dedicata alal sua città natale. Un altro Giovardi, Vittorio, monsignore e pastore arcade, scrisse nel 1726 una Notizia del nuovo teatro degli Arcadi aperto in Roma, in cui, racconta, con dovizia di particolari e con la riproduzione di numerosi sonetti, l’inaugurazione di questo teatro, sede degli incontri dei pastori arcadi di Roma.

In occasione dei festeggiamenti pubblici per l’elezione al soglio pontificio di Clemente XIII, nel 1758, il marchese Andrea Felice Campanari organizza la recita del componimento drammatico Il merito, del quale era autore l’abate Nicolò Faidoni, pastore arcade e maestro di lettere dei figli del marchese. Questo Faidoni scrisse anche altre opere: un dialogo pastorale, dei sonetti, delle canzoni, e una scena teatrale di impianto pastorale, tutte opere manoscritte reperibili presso la suddetta Biblioteca di Veroli.

Nel 1787, nel palazzo del marchese Francesco Maria Campanari viene realizzata la rappresentazione musicale La gara fra le quattro virtù cardinali, con la musica di Annibale Valvani, maestro di cappella della chiesa di Sant’Andrea, su libretto di G. Mastrantoni, per festeggiare il giorno dell’ingresso nella cattedrale di Veroli, del nuovo vescovo, Antonio Rossi.

Verolano era anche Luigi Bisleti, il quale, nel 1882, diede alle stampe la tragedia Le Maremme, che ha una struttura drammaturgica piuttosto particolare, dal momento che si compone di varie scene quasi giustapposte tra loro.

Dagli Annali del cardinale Cesare Baronio, di Sora, vengono tratti gli argomenti di alcune opere teatrali: Eugenia, recitata nel seminario romano nel 1669; Mauritius, oratorio latino di insolito argomento storico, eseguito il venerdì di Quaresima del 1692; Teodora, opera recitata nel seminario romano durante il Carnevale del 1694; Il distruttore de dei, o vero il Costantino incoronato, recitata sempre nel seminario romano nel 1697.

I duchi Boncompagni di Sora, oltre ad essere stati gli unici ad utilizzare la loro residenza isolana per delle rappresentazioni tragiche o coreutiche (di cui abbiamo dato notizia precedentemente), furono dedicatari, nel corso del tempo, di varie opere teatrali a stampa. A Giacomo Boncompagni, dei duchi di Sora e marchese di Vignola, fu dedicato l’oratorio Le due fughe gloriose (1689), dialogo sacro dato nella venerabile confraternita della Misericordia di Orvieto e composto dal maestro di cappella della cattedrale della città umbra, Leone Alberici (che era anche “Accademico Humorista”).

Ad Eleonora Boncompagni, figlia di Ugo e sorella gemella di Gregorio, viene dedicata la pubblicazione della Rappresentazione della gloriosa Passione di N. S. Giesù Christo (1672); tre anni più tardi è dedicataria della tragedia di Mario Cevoli L’Ormondo (1675). Sempre nel 1672, gli Accademici Sfaccendati, in occasione della villeggiatura estiva al Monte Cavo della principessa mettono in scena la favola drammatica per musica La sincerità con la sincerità, overo Il Tirinto. Il testo è firmato collettivamente dagli Sfaccendati, ma può essere opera di Giovanni Filippo Apolloni o di Filippo Acciaioli; la musica (la cui partitura è conservata presso la biblioteca Estense di Modena) fu composta da Bernardo Pasquini. Eleonora fu dedicataria anche de Il Coraspe redivivo (1683), opera tragicomica di Maria Antonia Scalera Stellini d’Acquaviva, che si segnala sia per essere opera di una donna, sia perché vi sono evidenti riferimenti alla provenienza geografica della principessa. Infatti, uno dei personaggi, la serva Licetta, si esprime in dialetto ciociaro; ed inoltre vi appaiono un principe e una principessa di “Soria”.

Tra le Rime, pubblicate nel 1697 da Giovan Battista Grappelli, Accademico Infecondo e tra gli arcadi noto come Melanto Argenteo, dedicate a Gregorio Boncompagni, vi è un oratorio a quattro voci, La beata Lucia da Narni, musicato da Giovan Battista Mariani.

Segnaliamo che per le nozze di Vincenzo Giustiniani, principe di Bassano, con Maria Costanza Boncompagni, figlia di Gregorio, gli Accademici Erranti, diedero una rappresentazione nel 1706, de Il lino generoso, o vero La tirannide vinta dal valore, melodramma di Giacomo Badiale, promotore dell’Accademia del Pellegrini di Roma, rappresentata e pubblicata una prima volta nel 1699. Qualche mese prima, in vista del matrimonio, fu messo in scena a palazzo Giustiniani, a cura della medesima Accademia, Il maritaggio d’amore, che è un epitalamo per musica (stampato nel 1705).

A donna Anna Buoncompagni Salviati, viene dedicato il dramma per musica Lucio Papirio, andato in scena al teatro di Pesaro nel carnevale del 1721.

Ad un’altra Buoncompagni, la principessa Ippolita Buoncompagni Ludovisi Rezzonico, viene dedicato L’Americano, composto di intermezzi per musica a quattro voci, che fu rappresentato nel Teatro alla Valle appartenente alla famiglia Capranica nel carnevale dell’anno 1772. L’anno prima, ancora un’opera di intermezzi a quattro voci, cantata nel teatro della Pace in occasione del Carnevale, viene dedicata alla principessa Ippolita La donna vendicativa e l’erudito spropositato.

Nel 1775, ad Arpino, nel palazzo dei signori di Belmonte, in occasione del “faustissimo esaltamento alla sacra Porpora dell’eccellentissimo signore d. Ignazio Buoncompagni Lodovisi de’ duchi di Sora, e principi di Piombino”, viene rappresentata la festa teatrale Il pomo d’oro tolto alla Bellezza, e reso alla Virtù, la cui musica venne composta dal celebre Gennaro Rava di Napoli.

Al cardinale Ignazio Boncompagni Ludovisi, figlio quartogenito del principe Gaetano Boncompagni e di sua moglie, la principessa Laura Chigi, destinato, proprio per la sua condizione di ultrogenito, alla carriera ecclesiastica come era tradizione presso la sua famiglia sin dai tempi di papa Gregorio XIII suo antenato, e che ricoprì la carica cardinalizia in quel di Bologna, vennero dedicate diverse opere drammatiche. Per esempio: La virtuosa alla moda (1776); L’amore volubile (dramma giocoso del 1779); L’amore in contrasto (1780); La vera costanza (1780); Medonte, re di Epiro (1981); La forza delle donne (1781); Giulio Sabino (dramma per musica del 1782); L’antigono (1982); Il fanatico per la musica (1782); Il convito (1783); La gelosia, dramma giocoso in musica da rappresentarsi in Bologna nel Teatro Zagnoni il primo giorno di primavera dell’anno 1783, e nello stesso anno data alle stampe; il dramma serio per musica Elpinice, andato in scena – come tutti gli altri citati a Bologna – e stampato nel medesimo anno; Il regno delle Amazzoni (andato in scena e stampato nel 1784); La finta principessa (1784); La necessità non ha legge (1784); La statua matematica (1784); La villanella rapita (1784); La vestale (1785).

Val la pena ricordare la recita tenuta presso il seminario vescovile della città di Sora, nel 1775, di una Sacra tragedia, incentrata sul culto e la devozione alla santa patrona della città, S. Restituta, recentemente riportata alla luce da carteggi privati, e data alle stampe da Giovanni De Vita.

Di Frosinone era nativo l’avvocato Francesco Paolo Fraccacreta, attivo sul finire dell’Ottocento. Di lui sono reperibili una decina di opere tragiche, tutte stampate nella città capoluogo presso la tipografia di Claudio Stracca: Nerone (1892, che tre anni dopo ebbe una seconda edizione riveduta e corretta dall’autore), Caracalla (1893), Parisina (1894), Manfredi (1894), Caino (1895), Luisa Strozzi (1896), Isabella Orsini, duchessa di Bracciano (1896)

Infine, segnaliamo che, presso la Biblioteca Nazionale di Firenze, è conservato il testo di Matilde di Canossa, un’azione scenica in tre tempi con una leggenda, scritta da F. Zanetti e G. Marsella, datata 1939 con luogo di edizione Isola del Liri.

– Vincenzo Ruggiero Perrino

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