La tentazione è forte, ma Gesù lo è di più

I Domenica di Quaresima, Anno C

Comincia la Quaresima e con essa l’invito alla penitenza per purificare il nostro spirito e accogliere il dono pasquale del Signore Risorto.

Le letture si aprono con un triste lamento, quello del popolo deportato in Egitto, l’Egitto del paganesimo, dei cattivi costumi, del peccato, dell’aggressione dei vincitori sui vinti, dei prepotenti sui più deboli, degli atei e degli indifferenti sui cristiani di ogni tempo: Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Sembra di leggere le cronache di oggi: in paesi musulmani, o anche in Italia dove le istituzioni sono profondamente ostili ai valori cristiani, ecco che chi si professa cristiano è subito maltrattato, umiliato, ridotto alla schiavitù del non senso e dell’emarginazione.

Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce. Ecco il compito della Quaresima: una rinnovata, sentita, profonda invocazione al Signore, porgere al Signore la nostra sofferenza a causa della schiavitù che spesso ci siamo scelti da soli con amicizie e connivenze con persone o cose che non possono darci la vera felicità e la vera pace. Riporre il nostro vivere nel soddisfacimento dei sensi prima di tutto poi le mode oscene, il linguaggio blasfemo e scurrile, la pratica della sessualità fuori del matrimonio, la disaffezione per la chiesa, la preghiera e la pratica assidua dei sacramenti.

La Quaresima ci è stata data per cambiare e per mettere di nuovo la nostra vita nelle mani del Signore e della Vergine Immacolata, mediatrice di tutte le grazie.

            Il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso, spargendo terrore e operando segni e prodigi. Se almeno un poco ci affida alla bontà e misericordia di Dio, Egli ci porterà fuori dei nostri errori e dei nostri peccati, ci farà assaporare la sua bontà con segni tangibili del suo amore. Come il popolo sperimentò l’uscita dall’Egitto dopo la schiavitù, così anche noi potremo vincere le opere del maligno in noi e riscoprire la libertà perduta dei Figli di Dio.

            Ci condusse in questo luogo e ci diede questa terra, dove scorrono latte e miele. Il “luogo” di Dio è sempre dolce perché è sempre pieno della sua presenza che è dolce, delicata, ricca, pacifica, mai nevrotica, sconsiderata, ansiosa. Latte e miele sono i simboli di un ricco nutrimento e di una bontà davanti alla quale non se ne può immaginare una superiore. Per non farci sentire orfani in questo mondo Dio oltre a se stesso ci ha donato anche una Madre divina tenera e generosa come nessun’altra: la Vergine Maria.

            Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato. Non dimentichiamoci di invocare il Signore. La preghiera di supplica è l’atteggiamento tipico del passaggio quaresimale. Se la preghiera accompagna i gesti liturgici e ogni nostro minimo moto umano, facilmente potremo sperimentare di essere salvati in ciascuna e singola circostanza particolare della nostra vita.

Nella Quaresima si delinea però anche il tempo della tentazione: Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Gesù si lascia tentare. Alla sua umanità non fa mancare neppure questo. Come l’uomo fu tentato nel giardino di Eden, così anche Cristo lo fu per dimostrare all’uomo che è possibile non cadere nella tentazione.

Le pietre secondo il demonio possono diventare pane. Ogni gusto umano può essere soddisfatto, a cominciare dalla gola, ma non basta il pane a nutrire il cuore dell’uomo: Non di solo pane vivrà l’uomo. Il pane non è tutto, benché sia essenziale alla vita fisica. Vivere per il solo pane è non vivere. Farsi ricattare o ricattare per il solo pane è un delitto efferato.

In seguito, la superbia del demonio lo spinge a tentare Gesù sul suo campo: Ti darò tutto il potere e la gloria di questo mondo. La gloria mondana appartiene al demonio. Egli la dà a chi vuole. Per questo i santi vivono sempre nell’ombra, nella penuria e perseguitati. A loro non interessa questa gloria. Loro vogliono quella vera, fondata sulla virtù. «La gloria di Dio è l’uomo vivente e la vita dell’uomo è vedere Dio», scrive sant’Ireneo. Non c’è nessuna gloria fuori della volontà di Dio e nessuno può rendere veramente felice l’uomo se non Dio.

La terza tentazione, quella del culto di se stesso, della vanagloria, è respinta dalla parola di Dio: non tenterai il Signore Dio tuo. Lo sviluppo delle mode, in specie contrarie al pudore, è certamente una tentazione ostentata, gettata in faccia a Dio e agli altri senza che questi la cerchino. Tentare gli altri è il peccato più simile a quello del serpente che nel giardino di Eden non trovò di meglio che tentare l’uomo. E così l’apparire più che essere è la più forte ipocrisia, anche se, di fatto, si dicono e ci si serve di cose vere … ma quali sono gli scopi più profondi e nascosti? Non forse il proprio successo personale o la propria carriera? Ostentare, ci dice la Scrittura, è come gettarsi dal pinnacolo del tempio, senza però che gli angeli ci possano raccogliere … E’ una caduta a precipizio nel vuoto di una vita senza Dio.

P. Luca M. Genovese

Fonte: Settimanale di P. Pio

 

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