La parola che ci sembra più ovvia e scontata per esprimere l’appartenenza alla nostra fede, e cioè l’essere “cristiano”, ha una vicenda di affermazione storica alquanto complessa, se rapportata alla sua straordinaria chiarezza. Stupisce, in effetti, l’estrema rarità con cui si incontra, nei primi secoli del Cristianesimo, questa parola di importanza fondamentale per la nuova religione. Il lemma christianus non appare affatto nei Vangeli ed è presente, in lingua greca (χριστιανός), solo in tre passaggi del Nuovo Testamento, precisamente in Act.11,26; Act.26,28; Petr.4,16.
Il primo passaggio è determinante per stabilire in quali circostanze il titolo sia comparso; si parla infatti dell’episodio in cui Barnaba, inviato dagli apostoli ad Antiochia per studiare le numerose conversioni di pagani verificatesi in quella città, dopo aver valutato positivamente la situazione, decide di recarsi a Tarso per cercare Saulo e portarlo con sé ad Antiochia, associandolo alla sua attività di predicazione: per un intero anno i due tengono riunioni nella chiesa locale convertendo moltissime persone e lì avviene che χρηματίσαι τε πρώτως ἐν Ἀντιοχείᾳ τοὺς μαθητὰς Χριστιανούς (“per la prima volta in Antiochia i discepoli ebbero il nome di Cristiani”). Secondo questa testimonianza, dunque, è verso l’anno 43, ad Antiochia, che il termine “cristiano” viene formulato per la prima volta. Nella sua attestazione greca, χριστιανός presenta un tipo di suffissazione di origine latina che non deve stupire. Infatti, le lotte civili romane avevano già dato il via a formazioni in –ianus (una per tutte Caesariani) per indicare i partigiani di una certa fazione politica. Queste formazioni linguistiche si diffondono poi in tutto il dominio romano divenendo di uso comune e generandone altre analoghe. Se dunque χριστιανός nasce in ambito greco non è motivo di particolare stupore. Ciò che invece interessa capire è per chi sia stato coniato il termine.
I cristiani di età più tarda hanno pensato che gli stessi fedeli di Cristo si fossero attribuiti tale appellativo, ma bisogna riflettere sul fatto che χρηματίζειν, il verbo presente nel citato passo degli Atti, significa ricevere o portare un nome, non attribuirselo; inoltre, nella lingua dei Giudei ellenizzanti, χριστός è un aggettivo che vuol dire “unto”, progressivamente trasformatosi in nome proprio: è difficile credere che essi volessero autodenominarsi “partigiani dell’unto”! Quella che va valutata è la particolare situazione di Antiochia, oggi città turca ma allora appartenente al ricco territorio siriaco di cui fu capitale, uno dei centri urbani più importanti dell’antichità e tra le città più prospere dell’impero, crocevia di scambi commerciali e culturali; in essa il numero dei convertiti, sia Giudei che Elleni, cresceva in maniera tale da rendere necessaria una denominazione in grado di caratterizzare un movimento ormai non più esclusivamente giudaico: Χριστός poteva ben considerarsi un capo, iniziatore di una corrente religiosa (tra le molte che dall’area orientale giungevano al mondo romano intrise di aspettative salvifiche, le cosiddette religioni misteriche), e perciò i suoi sostenitori non potevano essere altro che suoi partigiani, χριστιανοί. Ora, prima di affermarsi come nome proprio, Χριστός subiva la concorrenza di Χρηστός (Chrestòs), un vero nome proprio molto diffuso a quell’epoca, col quale tendeva a confondersi per via della pronuncia vicina dello iota ι (i) e dell’eta η (una e molto chiusa vicina alla i); ne consegue che, accanto a χριστιανός, si incontra ben presto la forma χρηστιανός, la cui resistenza è stata notevole sia in Oriente che in Occidente. Ed è proprio nella forma chrestianus che il termine passa in Occidente, almeno tra le masse. Ne abbiamo una prova indiretta in un famoso passo di Svetonio, dove lo storico dice: Claudius Iudaeos impulsore Chresto adsidue tumultuantes Roma expulit (“Claudio cacciò da Roma i Giudei che operavano continue ribellioni sotto istigazione di Chresto”). E’ difficile pensare che Chrestus sia un qualunque agitatore di popolo, il cui nome coincida per puro caso con quello di Cristo. Bisogna invece prendere meglio in esame la situazione dei Giudei a Roma. Qui, infatti, le comunità giudaiche erano molto numerose; quando arrivano dall’Oriente i predicatori del Cristianesimo, è inevitabile che essi rivolgano la loro missione principalmente agli Ebrei, suscitando certo attenzione, ma provocando anche discussioni e lotte interne che le autorità romane si affrettavano a sedare, ritenendole responsabili di turbamento dell’ordine pubblico.
Una prova del fatto che le autorità romane conoscessero l’esistenza di gruppi christiani ci viene dallo storico Tacito, il quale, narrando dell’incendio di Roma dell’anno 64, ci informa di come il popolo ritenesse responsabile del disastro l’imperatore Nerone, per via delle sue manie di grandezza, e di come l’imperatore, per mettere a tacere ogni sospetto sulla propria persona, incolpò dell’accaduto quos per flagitia invisos vulgus Christianos appellabat (“quelli che, malvisti per le loro infamie, il volgo chiamava cristiani”), colpendoli con atroci supplizi. Tacito prosegue spiegando che il loro nome deriva da Christus, condannato a morte dal procuratore Ponzio Pilato sotto il regno di Tiberio. Non c’è dunque alcun dubbio che questi Christiani siano proprio i seguaci di Cristo, la cui origine Tacito evidentemente ben conosceva e il cui status era noto all’autorità romana già nel 64, poiché la persecuzione neroniana colpì solo i cristiani e non i Giudei, che pure erano malvisti dai Romani. Nel 112 Plinio il Giovane, inviato come proconsole in Bitinia da Traiano, si trovò nella necessità di applicare le leggi contro il cristianesimo; la sua correttezza gli impediva, però, di trattare alla stessa maniera situazioni diverse, perciò consultò spessissimo Traiano sui casi dubbi per mezzo di lettere in cui l’uso frequente del termine christianus testimonia l’ormai abituale impiego dell’aggettivo come denominazione corrente per i seguaci di Cristo.
Accanto a queste forme regolari, la pronuncia popolare chrestianus sopravvive ancora a lungo. Nel suo Apologeticum del 197, Tertulliano deve ribadire la forma corretta christianus contro chrestianus, poiché, come sostiene, gli avversari del cristianesimo non hanno una nozione esatta di quel nome. Più tardi ancora, Lattanzio ritiene di dover spiegare l’etimologia del nome Christus, poiché molti, ignorandone l’esatta pronuncia, continuano a dire Chrestus. Possiamo allora concludere che almeno a partire da Tertulliano gli autori cristiani conoscono tale denominazione e la impiegano senza riserve, spesso per precisarne il senso e l’etimologia. Infatti, lo stesso Tertulliano dice: christianum vero nomen, quantum significatio est, de unctione interpretatur (“il nome di cristiano, per quanto pertiene al significato, è interpretato in relazione al concetto di unzione”).
Le comunità cristiane sparse per l’Impero diventano col tempo sempre più stabili e gerarchicamente strutturate, refrattarie a compromessi con le autorità pagane, disposte al martirio pur di non rinnegare le proprie convinzioni religiose. Questo atteggiamento genera inevitabilmente lo scontro con il potere dominante, che si concretizza in periodi di più sanguinosa repressione alternati ad altri di relativa tolleranza; l’ultimo grande persecutore è Diocleziano, ma sappiamo già il ruolo determinante del successore Costantino nel garantire libertà di culto a tutti i sudditi. Con Teodosio, nel 380, la religione cristiana viene proclamata unica religione dell’Impero, “seguita fino ad ora dai Romani e che è stata ad essi, come è chiaro, insegnata e tramandata da Pietro, l’Apostolo mandato da Dio” (Editto di Tessalonica).
Cadia Savona