Raccontaci di te… come ti chiami, quanti anni hai, dove vivi, che lavoro fai, i tuoi hobby
– Mi chiamo Adriana Letta. Anche se abruzzese di origine, da molti anni vivo a Cassino, mia seconda patria. Sono stata insegnante di Lettere e l’ho fatto con grande passione, prima nella scuola media, poi alle superiori, come docente di Italiano e Latino al Liceo Linguistico. Da qualche anno sono in pensione, ma… una pensione diciamo “attiva”.
Qual è il tuo ruolo in diocesi? Da quanti anni rivesti questo incarico?
– Ecco, appunto, è questo il motivo per cui la mia pensione è “attiva” e a casa ogni tanto mi dicono: “Ma tu non eri andata in pensione?”. In diocesi, o meglio, nella mia ex diocesi di Montecassino, oltre all’impegno nella Pastorale familiare, con gli incontri con i fidanzati in preparazione al Matrimonio, mi sono occupata del giornale diocesano, il mensile di attualità e informazione “Presenza xna” fin dal suo inizio, nel lontano 1991. Un paio di anni dopo ne diventai direttore e da allora l’ho portato avanti fino all’annuncio storico del cambiamento epocale della nostra chiesa locale, nel numero di ottobre 2014. Ora siamo in sospeso, in attesa delle decisioni del Vescovo. E’ un lavoro, ovviamente svolto come volontariato, che mi prende molto tempo ed energie, anche perché svolgo svariate funzioni: scatto le foto negli eventi, scrivo, curo l’impaginazione, correggo le bozze, carico in macchina i pacchi dei giornali e li porto nelle chiese di Cassino…
E poi c’è l’Ufficio diocesano Comunicazioni Sociali, del quale sono stata direttore per molti anni, per cui ho curato i rapporti con i mass media, redatto e diffuso i comunicati stampa della diocesi ed eventuali risposte o smentite o precisazioni in caso di bisogno; organizzato, all’occorrenza, conferenze stampa e interviste dell’Abate Ordinario; curato la rassegna stampa in occasione di grandi eventi (per es. visita pastorale del Papa nel 2009, celebrazioni annuali in onore di san Benedetto, elezione o nomina del nuovo Abate, malattia e dimissioni dell’Abate Pietro ecc.); aggiornato il sito web diocesano. Insomma, il da fare non mi mancava, soprattutto in questi ultimi anni, in cui si è capito meglio e valorizzato il ruolo dell’Ufficio Comunicazioni Sociali.
Quali le difficoltà più grandi che hai incontrato durante questo periodo e come le hai superate?
– All’inizio non era facile far entrare nella mentalità che il giornale era uno strumento comunitario della diocesi, che doveva facilitare la comunicazione all’interno e all’esterno della chiesa locale: all’interno, con il compito e la funzione di costruire conoscenza, unità e comunione tra le varie componenti ecclesiali; all’esterno, di porsi in dialogo con tutti, anche con i lontani, mostrando apertura e rispetto ma mantenendo una linea ben precisa e chiara di fedeltà al Magistero. Avere la collaborazione di tutti e garantire la diffusione capillare in tutte le parrocchie non era scontato, le sensibilità sono diverse, ma pian piano il giornale si è affermato e posso dire che, dopo quasi 24 anni, è ben radicato sul territorio, in cui fa opinione, non solo in ambito strettamente ecclesiale. Anzi: tra i giornali locali vanta il maggior numero di anni di vita continuativa!
Si è avvalso di firme illustri, nella redazione ha avuto da sempre Emilio Pistilli, grande esperto di storia locale e acuto osservatore del costume; anche monaci, dotti studiosi, come il compianto Dom Faustino Avagliano, o come Dom Mariano Dell’Omo sono stati tra i nostri collaboratori di spicco. E poi Presenza xna ha sempre dato attenzione al territorio per quel che riguarda la cultura e il sociale, cercando di valorizzare il positivo che costruisce; e ha sempre guardato anche ai grandi temi di attualità e al Magistero della Chiesa.
Cosa pensi dell’unione delle diocesi, cosa hai provato al momento dell’annuncio?
– Gli ultimi tre anni da noi sono stati difficili, molto: prima la malattia dell’Abate, poi la sua rinuncia, poi il periodo dell’Amministratore Apostolico durato molto più a lungo del previsto, mentre le voci sul riordino delle diocesi e delle Abbazie Territoriali si intercettavano ovunque e di continuo, ogni tanto la decisione sembrava imminente poi tutto si fermava e non si sapeva perché. E la stampa che tallonava e ogni tanto usciva con qualche scoop! E’ stato un lungo periodo di incertezza e di attesa, molto delicato per l’ufficio Comunicazioni Sociali, che doveva monitorare ciò che veniva pubblicato, ma senza ribattere punto per punto, stando un po’ indietro ma vigile. Per Cassino e il Cassinate il legame con Montecassino è nel dna, la storia dell’uno è la storia dell’altro. Basti pensare che in questo anno abbiamo celebrato i 70 anni dalla distruzione dell’abbazia e della città. Le loro storie sono indissolubilmente intrecciate! Perciò non è facile imparare a pensare le due realtà “staccate” l’una dall’altra. Certo, è un distacco di giurisdizione ecclesiastica, non spirituale o affettivo, ma è un distacco e di fronte a questo c’è chi grida allo scandalo e non riesce ad accettare e anche chi ne è soddisfatto. Io credo che se il Signore lo ha permesso dobbiamo accettarlo serenamente, pensando che sia un’opportunità da cogliere, una potatura che può far portare più frutti. Dipende da noi, da ognuno di noi. Scrivevo nell’ultimo numero di Presenza xna: “Occorre andare con semplicità, realismo e speranza incontro alla nuova situazione, accogliere con fiducia chi guiderà la nostra chiesa particolare e offrire la propria disponibilità e collaborazione in piena lealtà e sincerità”. Lo confermo, anche alla luce della figura del Vescovo Antonazzo, che stiamo imparando a conoscere e sta conquistando il cuore di tutti.
Che prospettive si aprono oggi alla luce dell’unità pastorale?
– Per rispondere si potrebbero fare discorsi sociologici e ragionevoli previsioni sul futuro della nostra diocesi, ma io credo che davvero tutto dipende da noi, da ognuno di noi.
Se non ci sentiamo disponibili al cambiamento che il Signore ci chiede, e preferiamo stare chiusi a coltivare il nostro orticello per nostra esclusiva soddisfazione, l’unità pastorale resterà solo sulla carta: resteremo divisi tra “noi” e “loro”. Prospettive povere e sterili.
Se invece ci sentiamo “chiesa in uscita”, accettiamo il cambiamento, nostro personale prima ancora che della diocesi, e accettiamo di percorrere la strada, nuova e certo più complicata, che il Signore ci indica attraverso i suoi Pastori, allora possono spalancarsi prospettive ampie ed entusiasmanti. Il nostro Vescovo Gerardo ci dice nella sua Lettera Pastorale che “vivere è rispondere”. Ecco, ora tocca a noi tutti rispondere con apertura e generosità, permettere a Gesù di fare nuove tutte le cose e noi tutti ne godremo. E’ come in una famiglia che cresce: la casa è più grande (la “tenda si è allargata”) e dentro ci sono molte più persone: se prevalgono invidie, gelosie e risentimenti, la casa va in malora con tutti i suoi abitanti, se ci si fa spazio a vicenda e si lavora insieme, circola più vita, più amore e più gioia. A questo dobbiamo tendere.
Quali possono esserne i pregi e i difetti, punti di forza e di debolezza, inizia ora un cammino di scoperta, di conoscenza, la bellezza di incontrare nuovi volti…
– Proporrei che in questo primo periodo, necessariamente da dedicare alla conoscenza reciproca proprio come in un cammino di scoperta, ognuno, singolo o gruppo che sia, cominci a individuare e considerare i propri difetti e le proprie debolezze, perché ne abbiamo tutti, e solo dopo i propri pregi e punti di forza; e dell’altro fare il contrario: prima vedere i suoi pregi e solo dopo i suoi difetti. Mettendoci insieme possiamo migliorarci a vicenda.
Le trasformazioni in seno alla famiglia stanno prendendo sempre più piede nella nostra società moderna. Cosa pensi di questi cambiamenti, alla luce delle decisioni del Sinodo straordinario sulla famiglia da poco concluso?
– I cambiamenti della famiglia sono sotto gli occhi e l’esperienza di tutti e purtroppo non sono in positivo. Quei progressi sociali che potevano giovare alla famiglia e renderla più unita, democratica e “organizzata” secondo le proprie esigenze, anche più simpatica e allegra, non sono stati volti a questo scopo, ma purtroppo solo all’interesse del singolo. Così l’emancipazione economica e sociale della donna, la caduta dell’autoritarismo vecchio stampo, l’avvento di una maggiore parità e reciprocità di rapporti ecc., hanno contribuito a fare di ogni membro del nucleo familiare un personaggio a sé, che “pretende” il suo benessere personale e non è più disposto a sacrificarsi per l’altro. Tanti egoismi si scontrano. Troppo spesso non si è neppure capaci di “parlarsi”; il rapporto di fiducia, tanto necessario, cede il passo ad un rapporto di potere e controllo da una parte, di svincolamento a tutti i costi dall’altro, con strategie di ogni specie. Le mamme troppo ansiose e protettive sono… una rovina per i figli, non agiscono per il loro bene e la loro crescita umana, ma per sentirsi “brave mamme”. E la società intorno non aiuta di certo!
E’ giusto dunque che la Chiesa si interroghi e prenda coscienza che oggi non c’è famiglia che si possa dire esente da problemi e crisi di uno o più componenti. Mi piacerebbe che su tali questioni così cruciali, dibattute nel Sinodo, si riflettesse e si approfondisse di più anche nelle chiese locali.
Come vedi, al di là della paura del diverso, la possibilità di vedere in futuro la pacifica convivenza di religioni ed etnie differenti? Una sorta di meltingpot (un “crogiuolo di razze”) in cui può perdersi l’identità cristiana?
– Io credo nella possibilità di una pacifica convivenza tra “diversi” per etnia e religione, a patto che non si voglia fare un unico minestrone indistinto, che annulla l’identità di tutti. Questo non sarebbe un bene, anzi, sarebbe un disastro. Ognuno deve poter vivere liberamente il proprio credo, personale e di popolo, ma rispettando quello altrui. Ad esempio, che i cristiani celebrino il Natale è una cosa ovvia e naturale, e non solo nel chiuso delle sacrestie o del privato, anche nel pubblico, dal momento che la nostra civiltà è di matrice cristiana: perché mai dovrebbe “offendere” qualcuno di altra religione allestire il presepe in una scuola?
Così come è una sciocchezza “neutralizzare” il Natale e rappresentarlo con paesaggi invernali, stelline, casette e animaletti graziosi e buffi che non hanno alcun senso se manca il riferimento a “quella nascita”! Io posso mettermi in rapporto con un altro solo se resto me stesso, con la mia storia, la mia identità e rispetto quella altrui. Non si può azzerare tutto, cancellare millenni di cammino umano e culturale! Personalmente posso anche rifiutare la religione dei miei padri, ma non posso negare la loro storia che, lo voglia o no, è anche la mia!
Si può pensare ad una interazione giovanile che consideri la difficile situazione lavorativa e si metta in moto un accordo attraverso fondi con chi uscito dall’università con una laurea non sappia dove e come lavorare? Parliamo anche di immigrati e delle connessioni lavorative con l’estero… ci possono essere possibilità?
– Si, magari! Il problema del lavoro che manca è tragico, si dovrebbe ben studiare e mettere a punto un progetto del genere, non solo “per” i giovani ma “con” i giovani!
La diocesi ora conta ancora più fabbriche e aziende, è auspicabile una pastorale del lavoro?
– Credo proprio di sì. Fabbriche e aziende del territorio conoscono purtroppo un periodo di grave crisi. Una pastorale del lavoro, improntata sulla Dottrina Sociale della Chiesa, sarebbe fortemente auspicabile. Mi piacerebbe molto che questa Dottrina Sociale, “la grande sconosciuta”, fosse meglio divulgata tra gli adulti, i lavoratori e soprattutto tra i giovani.
A Cassino la Caritas sta seguendo la difficile situazione del carcere e la riappropriazione dell’identità umana dei carcerati, come amplificare questo servizio?
– La Caritas diocesana di Montecassino da molti anni svolge un’azione preziosa in carcere, mettendo in campo molte iniziative per aiutare i detenuti a prendere coscienza dei loro sbagli e a riprendere in mano la loro vita per costruirsi un futuro positivo. E questo grazie ad una Direttrice della Casa Circondariale davvero brava e “illuminata”. E’ un lavoro impegnativo e non facile, che personalmente seguo e apprezzo molto. La sera del 16 dicembre, con il contributo dell’Istituto Alberghiero di Cassino, è stata fatta una cena di solidarietà in carcere, a cui hanno lavorato, in cucina e in sala, anche alcuni detenuti che seguono corsi di studio all’Alberghiero. Ha partecipato anche il Vescovo e con lui tante autorità e moltissime persone, quante la sala poteva contenere, non una di meno. E’ stato bellissimo. In questo periodo natalizio ci sono giornate di sport per e con i reclusi, un concerto, un incontro di animazione spirituale e poi, a gennaio, la “Befana con papà”, una iniziativa bellissima che vede i papà con i loro figli per un pomeriggio di festa, di giochi e di regali per i piccoli, sempre a cura della Caritas. Come amplificare questo servizio? innanzitutto prendendo atto che il carcere è una porzione del territorio diocesano e comprendendo che i bisogni dei detenuti sono tanti e non sempre la Caritas riesce a farvi fronte. Molte volte occorre procurare loro (molti sono stranieri) prodotti per l’igiene personale, vestiti, ricariche telefoniche perché possano telefonare alla famiglia… Dobbiamo sentirci tutti responsabili del recupero umano, spirituale e lavorativo di queste persone che per vari motivi hanno sbagliato e stanno scontando la loro pena, e che vanno aiutate a riappropriasi della loro dignità di uomini.