Alberico da Settefrati, monaco cassinese
di Lucio Meglio
Nella storia millenaria di Montecassino, durante gli anni di governo dell’Abate Gerardo (1111-23), il castello di Settefrati balzava d’improvviso all’onore delle cronache grazie a un fanciullo di nome Alberico che all’età di dieci anni, colpito da grave malattia, si rese protagonista di una visione dell’oltretomba che divenne ben presto celebre ben oltre i confini della Terra Sancti Benedicti. Tralasciando il contenuto della “Visione di Alberico” oggetto di altri studi (Antonelli 1994; Cedrone 2005), di seguito presentiamo un estratto della biografia di questo giovane monaco desunta dal volume: Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli ornata de’loro rispettivi ritratti compilata da diversi letterati nazionali, Napoli, MDCCCXIX, a firma di G.B.G. Grossi.
«Se vi sia stato alcuno negli ultimi tempi della barbarie, che abbia acquistato diritto alla riconoscenza nazionale, egli è certamente l’autore del celebre sogno, che poi in epoca più felice diede al grande Alighieri l’idea della sua Divina Commedia. Nacque Alberico nel 1101 di nostra salute, nel villaggio di Settefrati, da un milite di cui ignorasi il nome. Il nobile garzoncello sortito avea dalla natura una fantasia fervida e viva, capace delle più grandi impressioni. L’educazione morale dovette esser consentanea alle massime di quei tempi, in cui l’ignoranza e la barbarie facevan trionfare il prodigioso unito al terrore. Terminati gli anni nove, fu colpito da repentino malore, che gli tolse per nove giorni i sensi e quasi la vita. Riavutosi dal profondi letargo, narrò un sogno meraviglioso, che fu reputato miracolosa visione. In quel tempo adunque di aberrazione di mente, gli parve di esser trasportato in alto da una colomba, di godere la compagnia del Principe degli Apostoli e di due Spiriti Angelici Emmanuel ed Helios: e da questa guida celeste condotto a vedere l’Inferno col Purgatorio. Narrò le pene diverse, che avea veduto infliggersi alle varie qualità di peccati e peccatori, nel modo, che n’era stato diligentemente avvertito dal suo condottiero. Trasportato poscia nel Cielo della Luna, indi pei rimanenti sei Cieli, era stato alla fine condotto nel Paradiso a contemplare la gloria dei Beati. Narrò pure altre cose da lui vedute, o udite dall’Apostolo. Tacque alcuni misteri, de’quali gli era stato proibito di pubblicarne gli arcani. Questo sogno vivissimo scosse talmente lo spirito del fantasioso fanciullo, che malgrado la tenerezza degli anni risolvé dedicarsi unicamente a Dio. Abbandonò dunque i genitori, i compagni, la patria, e corse immediatamente a rinserrarsi nel Monastero di Montecassino, assai rinomato per la fama di santità dei suoi Monaci. L’Abate Gerardo, che governava quel luogo, lo accolse con trasporto di amorevolezza e di giubilo, ed il docile fanciullo non defraudò i lieti presagi del prudentissimo Abate. La storia della sua visione venne subito scritta da Guidone monaco sacerdote colà secondo il rapporto del fanciullo. Attese poi Alberico agli studi nel chiostro e nel 1124 divenne sacerdote. Nell’anno 1127, assistito da Pietro Diacono, celebre scrittore di que’tempi, per ordine dell’Abate Senioretto emendò la storia della sua visione, che per le tante copie fatte avea sofferto notabili alterazioni. Impiegò tre giorni in questo lavoro. Destinato nel 1150 Preposito del vicino Monastero di S. Maria dell’Albaneta la solitudine di quel luogo gli diede tutto l’agio a tessere una storietta del periodo di 153 anni che pubblicò nel 1154. Essa è ripiena di notizie interessanti de’nostri luoghi. Dopo quest’epoca (ignorasi l’anno preciso) mancò di vivere il nostro Alberico, con quella tranquillità che è sempre compagna delle virtù e santità dei costumi. Difatti finché visse fra quei buoni religiosi, all’esemplare gravità della vita avea unita una continua penitenza e mortificazione del suo proprio individuo, occupato sempre da oggetti or tristi, or lieti della sua visione e sempre immerso nella contemplazione delle cose vedute. Intanto quella visione o sia sogno si rese così celebre per tutta la contrada e fuori, che venne sinanche espressa in pittura in varie Chiese dei PP. Benedettini. […] Circa l’anno 1290 al 1297 per ben tre volte Dante Alighieri da Firenze sua patria in Napoli si condusse. L’unica strada più spedita era allora la via latina. Questa passava per l’antica città di Casino, situata nella costa del Monte, sulla cui cima s’estolle il famoso Monastero, visibile a grandi distanze. Nelle sei volte che ebbe Dante a passare, e ripassare pel colà, dovette sicuramente visitare quel luogo tanto illustre. Con questa occasione cadde senza dubbio sotto gli occhi di lui il triplice viaggio per l’Altro Mondo dell’estatico giovanetto di Settefrati […]».