Nella festa di S. Antonio Abate, protettore degli animali domestici, una riflessione sugli animali e la benedizione nella chiesa di S. Giovanni B. in Cassino
Il 17 gennaio rappresenta una data particolare per la Chiesa, che ricorda una delle più importanti figure del Cristianesimo, ovvero sant’Antonio Abate, il cui culto conosce varie declinazioni che riflettono tanta storia, arte e tradizione. Più che la vita e le opere, sono soprattutto i patronati a cui è associato questo Santo (soprattutto inerenti al mondo contadino) a decretare la sua plurisecolare fama tra le genti; a tal riguardo, si ricorda che sant’Antonio Abate è maggiormente venerato come patrono degli animali domestici che protegge dalle malattie, dalla peste, dagli incendi e dalle epidemie. Proprio perché è considerato il protettore degli animali domestici, è solitamente raffigurato con accanto un maiale che reca al collo una campanella.
Il 17 gennaio, in occasione della memoria liturgica del Santo, tradizionalmente la Chiesa benedice gli animali e le stalle ponendoli sotto la protezione del Santo. Quest’anno per la prima volta nella Parrocchia di San Giovanni Battista in Cassino, il parroco Don Giovanni De Ciantis, nella Messa vespertina ha voluto ricordare la figura del Santo, colui che inaugurò la prima forma di monachesimo. Attratto dall’ammaestramento evangelico “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi ciò che hai, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo, poi vieni e seguimi”, e sull’esempio di alcuni anacoreti che vivevano nei dintorni dei villaggi egiziani in preghiera, povertà e castità, Antonio volle scegliere questa strada e, venduti i suoi beni, affidata la sorella a una comunità di vergini, si dedicò alla vita ascetica davanti alla sua casa e poi al di fuori del paese. Alla ricerca di uno stile di vita penitente e senza distrazione, chiese a Dio di essere illuminato; un giorno vide un anacoreta come lui, che seduto lavorava intrecciando una corda, poi smetteva si alzava e pregava, poi di nuovo a lavorare e di nuovo a pregare; era un angelo di Dio che gli indicava la strada del lavoro e della preghiera, che sarà due secoli dopo, la regola benedettina “Ora et labora” del monachesimo occidentale. Il lavoro gli serviva per procurarsi il cibo e parte la distribuiva ai poveri, pregava continuamente ed era così attento alla lettura delle Scritture, che ricordava tutto e la sua memoria sostituiva i libri.
Nella medesima serata poi Don Giovanni ha provveduto a benedire un porcellino d’India che una bambina aveva portato con sé e ha ricordato a tutti che l’animale non è un oggetto da usare, è un essere vivente da rispettare. Gli animali sono doni del Signore e l’uomo è il loro custode, questi non vanno maltrattati ma curati, come il pastore con le sue pecore (“fascerò quella ferita e curerò quella malata”, Ez 34,16). Essendo stati creati prima dell’uomo, gli animali hanno una storia evolutiva più ricca e per chi ha occhi per vedere, sono maestri di vita e di saggezza (Gesù non esita a invitare i discepoli a imparare dagli “uccelli del cielo”, Mt 6,26), e di fedeltà, come il cane, che insieme all’angelo Raffaele accompagna e segue Tobia nel suo lungo viaggio: “Il giovane partì insieme con l’angelo, e anche il cane li seguì e si avviò con loro; Il cane, che aveva accompagnato lui e Tobia, li seguiva” (Tb 6,1;11,4). L’autore sacro non ha esitato a mettere come fedeli compagni di viaggio di Tobia un angelo e un cane, chiamati entrambi a essere compagni di strada per l’uomo, e Gesù stesso si intenerisce di fronte all’immagine dei “cagnolini che mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”. La fede in Dio creatore conduce a rispettare e amare la creazione e tutte le creature. All’uomo e alla donna, il Creatore ha affidato il compito di “custodire e coltivare” l’universo e quanto contiene. Nel corso della storia, purtroppo, spesso l’uomo si è comportato (e si comporta) da padrone dispotico e irresponsabile. «Gli animali sono creature di Dio» (Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2416). È una delle tante indiscutibili affermazioni che conduce a comprendere che gli animali sono esseri viventi che interpellano la responsabilità umana.
Liberina Lanni