Bruno Forte responsabile del Cammino Neocatecumenale

  1. Raccontaci di te.. come ti chiami, quanti anni hai, dove vivi, che lavoro fai, i tuoi hobby.

Mi chiamo Bruno Forte, ho 48 anni, e faccio l’avvocato. Sono sposato con Pasqualina di anni 40, abbiamo tre figli di otto, cinque e due anni (Maria Chiara, Giovanni e Lorenzo: tutti dono di Dio e ne sa qualcosa chi ci conosce un po’). Sono nato e cresciuto ad Isola del Liri. Papà operaio, mamma casalinga; ho sempre abitato ad Isola del Liri ma ho studiato al liceo e lavoro a Sora. In questa città, ho vissuto (nella parrocchia di San Domenico ma anche in diocesi) le prime esperienze di cammino spirituale e di riscoperta della fede. I miei hobby? Una bella domanda; tra lavoro, famiglia, impegni in parrocchia e nel cammino di conversione che sto percorrendo (neo-catecumenale) resta veramente poco tempo. Diciamo che …  mi piacerebbe avere qualche hobby.

  1. Qual è il tuo ruolo in diocesi

Non ho un vero e proprio ruolo di responsabilità in un ufficio diocesano; tuttavia, sia i Vescovi precedenti che S.E. mons Antonazzo hanno conservato e incoraggiato il carisma che la Chiesa ha riconosciuto al Cammino Neocatecumenale; e cioè quello di essere un itinerario di formazione e di iniziazione cristiana degli adulti valido per i tempi di oggi. Pertanto, le comunità del Cammino di Sora e di Roccasecca, i loro responsabili e le equipe dei catechisti sono stati sempre coinvolti in varie iniziative che hanno sempre avuto al centro la Catechesi degli adulti. Quindi, possiamo dire che se in ogni ufficio c’è una responsabilità  .. tutti noi come fratelli del Cammino, soprattutto della Prima Comunità, ci sentiamo questa.

  1. Da quanti anni rivesti questo incarico

Sono responsabile da poco meno di un anno, da 29 anni sono in Cammino (dal 1986) e sono stato, per venti anni co-responsabile; da sempre sono nell’equipe dei Catechisti della prima comunità (cioè da quando, nel 1991 circa, i nostri Catechisti che vengono da Latina, hanno ritenuto che era giunto il momento di eleggere i catechisti). Più che di incarico parlerei di servizio … anche se devo confessare che non sempre si riesce a farlo con questo spirito.

Insieme con me fanno il servizio della Catechesi per gli Adulti altri fratelli della Prima Comunità di San Domenico: mia moglie Pasqualina Porretta (docente universitario), Vittorio Evangelista con la moglie Sabrina Paolucci (odontotecnico lui insegnante di lingue lei, hanno tre figlie), Giacomo Di Cocco (operaio in pensione), Fabio Sardellitti e la moglie Lorella Palombo (commerciante e casalinga hanno quattro figli). A questo proposito proprio domenica 01-03-2015 daremo l’Annuncio dell’inizio delle Catechesi che faremo nel Salone Parrocchiale di San Domenico ogni lunedì e giovedì alle ore 21:00 a partire da lunedì 02 marzo 2015. L’annuncio sarà dato anche nella Parrocchia del Divino Amore di Pontrinio e a Santa Restituta dove il Vescovo ci ha inviato durante la Missione che abbiamo fatto nel periodo pasquale l’anno scorso e nello scorso autunno.

  1. Quali le difficoltà più grandi che hai incontrato durante questo periodo e come le hai superate?

La difficoltà più grande – dal punto di vista del cammino spirituale personale – è stato capire ed accettare che, pur vivendo da sempre nella Chiesa, anche per me ci fosse bisogno di un kenosis spirituale e di una metanoia (cioè di un cambiamento di mentalità) che mi portasse a comprendere come avessi bisogno di riscoprire i doni che la Chiesa mi aveva fatto con il Battesimo. E come, Cristo viene oggi, concretamente, per incontrarsi con me nei fatti concreti della vita di ogni giorno. Dal punto di vista ecclesiale: le incomprensioni ci sono state e sempre ci saranno. In questi anni, tuttavia, prima che l’esperienza di fede che stiamo vivendo avesse un riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa credo che abbiamo potuto tutti fare esperienza diretta di come …. molto spesso…. per le nostre fragilità ma anche quelle di tanti ministri … l’esortazione a non spegnere lo Spirito e i carismi sia stata fatta invano. E questo lascia tanta amarezza ma, soprattutto, impedisce l’avanzare del Regno di Dio (nessun regno diviso in se stesso può infatti reggere). Ma fa anche bene perché ti dà occasione di crescere in un clima evangelico in cui tutto viene da Dio per il bene di coloro che lo  amano e ti mette in una situazione di umiltà e di “precarietà” spirituale che ti costringe a riflettere e considerare come sia necessario fare la volontà di Dio e non la tua. Kiko Arguello, fondatore del Cammino ci ha poi ripetuto tante volte le parole che gli aveva detto Paolo VI nel 1977: “Sii umile e fedele alla Chiesa, e la Chiesa ti sarà fedele”. E grazie a Dio così è stato.

  1. Cosa pensi dell’unione delle diocesi, cosa hai provato al momento dell’annuncio.

Ho espresso il nostro pensiero in una mail che ho inviato al Vescovo subito dopo la celebrazione Eucaristica del novembre scorso. In proposito, abbiamo scritto a Sua Eccellenza per esprimergli l’affettuosa vicinanza spirituale di tutti i fratelli del Cammino. Abbiamo reso grazie al Signore che mostra di guidare i passi della propria Chiesa su sentieri che, per dirla con il salmo, rimangono invisibili a chi non osserva con gli occhi della Fede. Abbiamo provato tutti un po’ di timore e di smarrimento quando ci siamo resi conto delle nuove dimensioni “pastorali” della Diocesi e degli impegni che ci coinvolgono direttamente e ci responsabilizzano ancora di più come credenti. Tuttavia, ci ha rassicurato la Parola della Liturgia nella Festa della dedicazione della Basilica di San Giovanni: è il Signore che edifica la Sua Chiesa.  E ci hanno incoraggiato anche le Parole del Vescovo: “non sono qui per me stesso, ma per voi, perché io ami la Chiesa più di me stesso. Grazie al ministero che il Signore mi affida sarà mia premura adoperarmi perché nessuno si senta escluso  dall’amore del Signore, e nessuno rimanga indietro rispetto al cammino comune”…. e le parole (citate dal Vescovo e con noi condivise) del Santo Padre Papa Francesco durante l’omelia a Santa Marta dello scorso 06 novembre 2014: “Il vero pastore, il vero cristiano ha questo zelo dentro: nessuno si perda. E per questo non ha paura di sporcarsi le mani. Non ha paura. Va dove deve andare. Rischia la sua vita, rischia la sua fama, rischia di perdere la sua comodità, il suo status, anche perdere nella carriera ecclesiastica pure, ma è buon pastore”. Insomma, l’unione della Diocesi non può che essere un bene per tutti perché apre nuove opportunità ma ci spinge anche a prendere sul serio la nostra missione all’interno della stessa: e questo vale sia per i laici che per i ministri.

  1. Che prospettive si aprono oggi alla luce dell’unità pastorale

Spero che l’unione con Cassino contribuisca – dal punto di vista pastorale – ad allargare le vedute di tutti, clero e laici, della nostra parte della diocesi – dal mio punto di vista un po’ troppo adagiato su schemi, strutture e programmi pastorali più di “conservazione” che di “evangelizzazione”. Insomma l’invito di Papa Francesco e del nostro Vescovo ad uscire dalle sagrestie e ad andare incontro alle persone là dove esse vivono deve essere sempre di più il metodo e lo stile della evangelizzazione nello Spirito Missionario che ha sempre contraddistinto la Chiesa. Con questa speranza, abbiamo assicurato al Vescovo che le Comunità del Cammino Neocatecumenale – oltre ad alla preghiera – avrebbero, con la Grazia di Dio collaborato a lavorare, sotto la guida del Vescovo ed i suoi suggerimenti e con l’impegno ed  il carisma che ci è proprio, nel campo dell’allargata Vigna del Signore che è in Sora-Cassino-Aquino e Pontecorvo. Confermiamo questo impegno e con le Catechesi che iniziamo a partire dal prossimo 02-03-2015 a San Domenico cercheremo di dare, come ogni anno e con l’aiuto di Dio, il nostro piccolo contributo all’edificazione della Chiesa, Corpo Vivente del signore Risorto.

  1. Quali possono esserne i pregi e i difetti, punti di forza e di debolezza, inizia ora un cammino di scoperta, di conoscenza, la bellezza di incontrare nuovi volti …

La diversità non può fare altro che arricchire tutti; l’importante è non avere pregiudizi e seguire con decisione gli indirizzi pastorali che ormai da anni sta dando la CEI che vanno verso una pastorale più “missionaria” che rinnovi l’Annuncio del Kerigma ed offra itinerari di formazione cristiana in stile “catecumenale” anche a coloro che sono nella Chiesa ed hanno bisogno di riscoprire la loro Fede ed il loro Battesimo. Insomma, penso che tutti siamo d’accordo che sia finito il tempo del cineforum come strumento di pastorale e di offerta formativa. Il Cammino Neocatecumenale ci ha educati a questo tipo di iniziazione cristiana e possiamo senz’altro dire che funziona perché lo abbiamo sperimentato direttamente.

  1. Le trasformazioni in seno alla famiglia stanno prendendo sempre più piede nella nostra società moderna. Cosa pensi di questi cambiamenti, alla luce delle decisioni del Sinodo straordinario sulla famiglia da poco concluso?

Nel Sinodo non mi pare che siano state prese delle decisioni definitive essendo solo per così dire “preparatorio”; tuttavia, credo che sia stato affidato anche un compito alle singole diocesi con un questionario da redigere. In tal senso e ci piacerebbe che, su questo, il Vescovo organizzasse degli incontri (come quello fatto l’anno scorso con l’Avv Giancarlo Cerelli); dove, però fosse dato spazio alle varie realtà diocesane di esprimere il loro “sentiment” su tali argomenti.

Il progetto del Cammino coinvolge in pieno la pastorale sugli sposi, sulla famiglia e sui figli … e, soprattutto, c’è una Parola anche per le coppie in crisi le quali … percorrendo questo un cammino di Fede hanno ricostruito i loro matrimoni. Certo, nessuno è immune da crisi e problemi; ma un conto è se li vivi da solo o in una comunità e soprattutto appoggiandoti a Cristo, con l’aiuto di un presbitero e dei Catechisti.

Per ciò che riguarda i figli, poi, il Cammino prevede proprio una tappa nel corso della quale i genitori apprendono la serietà del compito di primi “evangelizzatori” dei propri figli e come passare la Fede agli stessi nel corso della celebrazione delle Lodi mattutine che si fa ogni domenica mattina ed in altri momenti.

Il Vescovo, sempre nell’omelia del 9-11-2014, diceva di pregare: “incessantemente con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, pregando … anche per me, perché quando apro la bocca mi sia data una parola franca, per far conoscere il mistero del Vangelo, e io possa annunziarlo con franchezza come è mio dovere (Ef 6,19-20). Oggi, quello che sta venendo meno, anche per i battezzati che si professano cristiani e soprattutto nell’ambito familiare, è proprio questo: una parola franca … cioé “libera”.

Essa – come diceva Benedetto XVI nell’omelia della messa prima della sua elezione – è necessaria per annunciare il Vangelo e “per non essere sballottati qua e là da ogni vento di dottrina” (Efesini 4). Benedetto XVI ci ha presentato così quello che è il pericolo maggiore dei nostri tempi: la dittatura che ci impone il relativismo etico, morale e che, purtroppo sta insinuandosi anche nella famiglia e nella Chiesa rischiando di insidiare quei valori del “diritto naturale” su cui l’una e l’altra si fondano.

E non ce lo possiamo permettere; oggi, in cui viviamo tempi nei quali la famiglia, il matrimonio, l’educazione dei nostri figli e la stessa visione dell’antropologia “cristiana” sono già messi in discussione dalle stesse Istituzioni per così dire “democratiche” in cui viviamo il nostro pellegrinaggio terreno. Esse – paventando la “falsa” necessità di dover tutelare i diritti degli individui – danno legittimità ad ideologie (si pensi all’ideologia di genere, alla legalizzazione delle unioni omosessuali, alle adozioni tra persone dello stesso sesso, all’utero in affitto ecc.) che mirano invece a scardinare il “diritto naturale” e le leggi della Creazione che Dio ha posto come testimoni immutabili – e per questo scomode – dell’obbedienza alle Sue amorose leggi ordinatrici.

E’ urgente capire dove sta andando il popolo dei cristiani su queste tematiche e se si sta ben comprendendo  il rischio che stiamo correndo come Chiesa. Ma soprattutto che, in futuro, se non avremo l’esatta cognizione di ciò a cui andiamo incontro (come società e come credenti) e non sapremo usare le armi della Fede corriamo il serio rischio (come è successo per il divorzio e per l’aborto) di essere catechizzati da queste ideologie. Tutti attacchi alla famiglia e, quindi alla Chiesa ma che la gran parte dei “battezzati” sembra aver metabolizzato e, silenziosamente, accettato pensando di essere immuni dal veleno in esse contenuto.

E, comunque, alla fine ci si abitua ad un certo modo di pensare al punto tale che come cristiani non sentiamo nemmeno più la necessità non solo di dire una Parola “franca”, ma nemmeno di ascoltarla e di prenderla in considerazione. E, quindi, con molta facilità si arriva alla conclusione che – in certe situazioni come le difficoltà familiari tra coniugi, il peso e le preoccupazioni di una vita che inizia anche se non desiderata, il disagio di un adolescente  ecc. –  Dio non possa fare nulla; anzi, è meglio tenerlo fuori e cercare di sbrigarsela da soli … con i conseguenti macelli che poi … immancabilmente … si verificano.

  1. Come vedi, aldilà della paura del diverso, la possibilità di vedere in futuro la pacifica convivenza di religioni ed etnie differenti? Una sorta di melting pot (un “crogiuolo di razze”) in cui può perdersi l’identità cristiana?

Nessuna paura del diverso. E non potrebbe essere diversamente visto che il Cammino Neocatecumenale è nato, in Spagna nelle baracche di Madrid a Palomeras Altas. Proprio in un contesto in cui vi erano quelli che noi chiamiamo “diversi” (ma che io non definirei così perché questa espressione crea comunque una distanza). In quelle baracche c’erano zingari, quinquies, ladri, prostitute ecc. Del resto ancora oggi il Cammino conserva questa vocazione ed è diretto ai lontani, a coloro che non sono mai stati in Chiesa o l’hanno abbandonata o hanno semplicemente bisogno di riscoprire la ricchezza del loro Battesimo. Dalle esperienze che noi abbiamo avuto in questi anni abbiamo visto che non c’è come dice San Paolo “Né Giudeo né greco né schiavo né libero”. Una coppia di nostri fratelli che sta evangelizzando in Svezia come Missio ad Gentes (in pratica hanno costituito su richiesta e decreto del Vescovo una parrocchia fatta di poche decine di persone là dove la Chiesa non esisteva più) ci ha raccontato che alle loro catechesi e nelle loro comunità vengono persone di vario genere: atei o chi non ha mai sentito parlare di Cristo, anglicani, cristiani di altre confessioni medio orientali ecc.. Certo questo pone altri problemi pratici che noi non abbiamo. Come dicevo, tuttavia, il problema di perdere l’identità cristiana esiste già ed è in atto.

Ma non con riferimento al confronto tra noi e le altre religioni; bensì in relazione alla nostra società secolarizzata, desacralizzata e scristianizzata in cui la maggior parte dei cristiani (sarebbe dire meglio dei battezzati) vive in una sorta di “ateismo pratico” nel cui ambito quello che viene predicato la domenica a Messa non viene vissuto nella vita quotidiana.

Questo divorzio tra Fede e vita è sempre esistito ma oggi è più evidente e fa sì che – senza una seria iniziazione cristiana – diventino in un certo senso “diversi” e “lontani” anche le migliaia di battezzati che non vanno più in Chiesa o la frequentano sporadicamente la Domenica. A ciò si aggiunga che è in atto l’affermazione di quella che Benedetto XVI chiamava la dittatura del relativismo … ed il gioco è fatto: invece, che evangelizzare e di conservare la nostra identità ed il deposito della Fede, si rischia di essere catechizzati dall’ideologia al momento predominante.

L’identità cristiana non sarà a rischio, in conclusione, fino a quando ci sarà una sola persona che vive la propria vita con la statura adulta dell’uomo celeste che Cristo ci ha presentato nel Discorso della Montagna: che si affida a Dio come Padre buono, che non resiste al male ma ama il proprio nemico. A questo punto però una domanda la voglio fare io: noi che pensiamo? Che questo sia un consiglio evangelico irrealizzabile, un’utopia o il progetto d’amore di Dio per la nostra vita.

Certo è difficile generare dentro di noi questo uomo celeste con i nostri sforzi; ma nulla è impossibile alla Grazia di Dio. Per questo, però, ci vogliono anni ed una seria iniziazione cristiana che contenga anche dei momenti di verifica della crescita nella Fede.

Diversamente, anche nella nostra cara Italia il cristianesimo è destinato a perdere terreno. La diversità è sempre fonte di ricchezza e stimola al confronto e all’incontro con chi la pensa, si sente  e vive diversamente da Te; ma se abbiamo veramente incontrato Cristo Vivo nella nostra vita non possiamo venire meno all’invito di San Paolo di cui alla liturgia di qualche domenica fa: “guai a me se non annunciassi il Vangelo …”; insomma, diversità sì, niente imposizione delle proprie idee agli altri, ma con la forte e convinta consapevolezza che Cristo è la Via, la Verità e la Vita e l’unico in grado di dare senso all’esistenza di ogni uomo.

Ma lo sappiamo perché Cristo stesso ce l’ha detto: andate ed annunziate ai miei fratelli che vi precedo in Galilea io sarò con voi fino alla fine del mondo. Andiamo quindi avanti con fiducia.

  1. Si può pensare ad una interazione giovanile che consideri la difficile situazione lavorativa e si metta in moto un accordo attraverso fondi con chi uscito dall’università con una laurea non sappia dove è come lavorare? Parliamo anche di immigrati e delle connessioni lavorative con l’estero … ci possono essere possibilità?

Non sono un esperto in materia e non saprei rispondere a questa domanda. Una cosa è certa; la Chiesa deve porsi anche queste problematiche; come del resto sempre ha fatto in passato, soprattutto in questo secolo (rerum novarum, ecc.) ecc.. Ce lo impongono la consapevolezza che la “gloria di Dio è l’uomo vivente” (come dice il salmo) e il mistero dell’Incarnazione. D’altra parte, però, non possiamo dimenticare che la più grande forma di carità è quella di annunciare Cristo e permettere agli uomini – e soprattutto ai giovani – di questa generazione di incontrarsi con Lui. Altrimenti cadremmo nell’inganno di tutte quelle ideologie (di ogni colore) che hanno pensato come ciò che fa soffrire l’uomo siano le strutture, ciò che è esterno all’uomo, quello che gli manca …  Ma Gesù, invece, nel Vangelo ci ricorda che ciò che non va e che bisogna curare è il cuore dell’uomo da cui vengono fuori ogni sorta di cattiverie che provocano problemi e sofferenza.

  1. La diocesi ora conta ancora più fabbriche e aziende, è auspicabile una pastorale del lavoro?

Con i tempi che viviamo penso che sia più necessaria una pastorale della “disoccupazione” che una del lavoro. Purtroppo, molti – soprattutto giovani – non hanno un occupazione: e ciò, a volte, è motivo di forte disagio umano e spirituale, di conflittualità e di ostacolo a vivere ed approfondire la propria Fede perché non si vede più Dio come quel Padre da cui abbiamo imparato a chiedere il “pane quotidiano”.  E, tuttavia, E’ vero anche il contrario: e cioè che tante volte il lavoro è visto solo come fonte di guadagno – meglio se immediato e facile – e non come luogo in cui Dio ci ha posto per collaborare al progetto di amore per noi, le nostre famiglie  e per gli altri che incontriamo.

Tuttavia, vorrei precisare che non sono d’accordo con una pastorale ad hoc per ogni situazione: una per i giovani, una per il lavoro, una per gli universitari, un’altra per i bambini, un’altra per gli adulti ecc.. Certo, la Chiesa deve essere presente e vicina a chi lavora e, soprattutto, a chi ha problemi con il suo lavoro e deve porsi le problematiche connesse ad ogni ambiente e ad ogni situazione. In tale contesto a volte è necessario ed utile anche un approccio che – per la situazione pratica – non può fare a meno di essere mirato, anche “spot”. Tuttavia, assieme a ciò, si deve gradualmente progredire verso una pastorale dotata di continuità che sia in grado di accompagnare tutti – lavoratore, imprenditore e soprattutto il disoccupato  – verso la ri-creazione di una mentalità – umana e cristiana – in cui tutto ci viene da Dio che “sfama gli uccelli del cielo” e “veste i gigli del campo” e nel cui ambito si ridia dignità, senso e valore al lavoro. In cui, anche il problema serio della disoccupazione, alla luce della Fede può essere affrontato con uno spirito non di disperazione ma di fiducia nell’intervento amorevole di Dio.

Dico questo perché nella  mia vita  ho potuto fare un po’ questa esperienza; mio padre ha perduto il posto di lavoro quando io ero all’università. Insieme alle preoccupazioni, però, una Parola mi ha colpito e mi ha guidato sempre: “cercate il Regno di Dio e la sua giustizia e tutto il resto vi sarà dato”. E, senza entrare nei particolari, posso dire che questo si è realizzato nella mia esperienza di vita.

  1. A Cassino la Caritas sta seguendo la difficile situazione del carcere e la riappropriazione dell’identità umana dei carcerati, come amplificare questo servizio?

A nessun, nemmeno al peggior malfattore, possiamo rifiutare la possibilità di una Vita nuova: in Cristo e nella società civile. A mio parere, perciò, accanto alla promozione umana sarebbe utile e necessario proporre ai nostri fratelli, che per l’inganno del demonio vivono questa difficile situazione esistenziale, la Buona Notizia del Vangelo. Da questo punto di vista il Cammino ha avuto numerose esperienze nelle carceri dove sono nate comunità di fratelli che fanno un cammino di conversione. In proposito, è stata raccolta anche questa esperienza in un bel libricino dal titolo eloquente: “In Carcere ma Liberi”. Essendo purtroppo vero anche il contrario: e cioè si può essere “a piede libero”, giuridicamente parlando, ma schiavi e prigionieri di tanti idoli (il denaro, la carriera, il successo il sesso ecc.) che portano sofferenza a noi e a tanti nostri fratelli.

  1. PARLACI UN PO’ DELLA REALTA’ DEL CAMMINO NEOCATECUMENALE. COME HA AVUTO ORIGINE?

Penso che in proposito non ci siano niente di meglio che la diretta testimonianza dei fondatori: Kiko Arguello e Carmen Hernandez.

Kiko Argüello, un pittore spagnolo, dopo una crisi esistenziale e la sua conversione, aveva scoperto nella sofferenza degli innocenti il mistero di Cristo crocifisso, presente negli ultimi della terra: questo lo portò a lasciare tutto e, seguendo le orme di Charles de Foucauld, ad andare a vivere tra i poveri delle baracche di “Palomeras Altas”, alla periferia di Madrid.

Carmen Hernández, spagnola, laureata in chimica, era stata a contatto con il rinnovamento del Concilio Vaticano II, attraverso Mons. P. Farnés Scherer (liturgista). Anch’essa era andata a vivere nelle baracche di “Palomeras Altas” , dove stava cercando di costituire un gruppo per andare ad evangelizzare i minatori di Oruro (Bolivia), e dove conobbe Kiko Argüello.

Essi raccontano così la loro esperienza di Fede e come il Signore li abbia chiamati a questa incredibile missione: … Avevo uno studio di pittore vicino a Plaza de España a Madrid, ed ero solito passare le feste natalizie con i miei genitori. Un anno andai a casa per celebrare il Natale, entrai in cucina e vidi la cuoca che stava piangendo. Io le domando: “Berta – così si chiamava – che le succede?” E lei mi dice che il marito è un ubriacone, che vuole uccidere il figlio, che il figlio gli si è ribellato contro… Mi raccontò una storia che mi lasciò allibito. E sentii da Dio di aiutarla. Andai a vedere dove viveva: una baracca orribile, in mezzo a tante altre. La povera donna si alzava prestissimo, per andare a lavorare; aveva nove figli, ed era sposata con un uomo zoppo e strabico, sempre ubriaco. Picchiava i figli con un bastone, gridando loro: “Difendi tuo padre” e, a volte ubriaco fradicio, urinava sopra le figlie. Questa donna, abbastanza bella benché in età, mi raccontò cose allucinanti.  Presi quell’uomo e lo portai a fare un “Cursillo de Cristiandad”. Rimase impressionatissimo nell’ascoltarmi parlare. Per alcuni mesi smise di bere, ma poi ricominciò e furono di nuovo macelli. La moglie mi chiamava: “Signor Kiko, venga per favore, perché mio marito vuole uccidere tutti. Chiami la polizia!”. Non mi lasciavano vivere. Alla fine pensai: “E se Dio mi stesse dicendo di lasciare tutto e di andare a vivere lì per aiutarli?”. Lasciai tutto e andai a vivere con quella famiglia. …. Davanti a tutto questo ci sono solo due risposte. Conoscete la frase famosa di Nietzsche: “O Dio è buono e non può far nulla per aiutare questa povera gente, o Dio può aiutarli e non lo fa, e allora è cattivo”. Questa frase è velenosa. Può Dio aiutare questa donna, oppure no? Perché non lo fa? In questa situazione ebbi una sorpresa. Sapete cosa vidi lì? Non quello che dice Nietzsche, se Dio può o non può, ma vidi Cristo crocifisso. Ho visto Cristo in Berta, in quella donna con il Parkinson, in quell’altro. Vidi un mistero. Il mistero della croce di Cristo.

Restai enormemente sorpreso, lo dico sinceramente. Allora dissi a me stesso: se domani torna Cristo sulla terra nella sua seconda venuta, io non so che cosa succederà in questo mondo, ma sapete dove desidero che Gesù Cristo mi trovi? Ai piedi di Cristo crocifisso. E dov’è Cristo crocifisso? In coloro che stanno portando la sofferenza più grande, le conseguenze del peccato di tutti.… Quando uno va a vivere tra i poveri, o perde la fede e diventa guerrigliero alla “Che Guevara” o si mette in silenzio davanti a Cristo e si santifica. Io sono grato al Signore per aver avuto pietà di me: io vidi lì Cristo crocifisso …

… conobbi la sorella di Carmen, pensai che era necessario scendere nelle catacombe sociali e lì predicare il Vangelo a questa gente, aiutarli, dare loro una parola di consolazione … pensai: di fronte al dramma che forse non c’è nessun Dio, che non c’è amore nel mondo e se non c’è amore nel mondo Dio non esiste, la vita è una mostruosità, moriamo nell’assurdo, …. ma se uno viene con te, Cristo stesso si fa uomo e si mette con te nella sofferenza per amore. Allora l’amore esiste. Esiste Dio. Si può vivere. Si può morire. La verità e la morte hanno un senso.

Dopo alcuni anni, in questo ambiente composto soprattutto da poveri, si forma una sintesi kerigmatico-catechetica che, sostenuta dalla Parola di Dio, dalla Liturgia e dall’esperienza comunitaria, e sulla scia del Concilio Vaticano II, diventerà la base di ciò che il Cammino Neocatecumenale porterà in tutto il mondo (il tripode su cui ancora oggi si fonda il Cammino: Parola, Liturgia e Comunità)

Dalle baracche l’esperienza passa presto ad alcune parrocchie di Madrid e di Zamora. Nel confronto, al quale fu sottomessa la sintesi kerigmatico-catechetica formatasi tra i baraccati di Palomeras Altas, presto si vide come nelle parrocchie soprattutto benestanti le catechesi erano usate per “sopravvestirsi”, come conferenze, non come un cammino di conversione e di “kenosis“, dove far morire a poco a poco l’uomo vecchio, per poter essere rivestiti della nuova creazione nello Spirito Santo. Così gradualmente venne apparendo il Battesimo, come cammino da percorrere per arrivare a una fede adulta, capace di rispondere ai cambiamenti sociali che si stavano verificando.

Alcuni anni più tardi, quando il Cammino era già diffuso in molte parrocchie di Roma e in varie diocesi d’Italia, gli iniziatori furono chiamati dalla Congregazione del Culto divino, perché volevano sapere in che cosa consisteva quell’itinerario di riscoperta del Battesimo e i riti che facevamo. L’allora Segretario della Congregazione, Mons. Annibale Bugnini, e il gruppo di esperti che erano con lui, rimasero enormemente impressionati nel vedere che ciò che stavano elaborando da alcuni anni sul catecumenato per gli adulti – e che presto sarebbe stato pubblicato come “Ordo Initiationis Christianae Adultorum” (OICA) -, lo Spirito Santo, partendo dai poveri, lo stava già mettendo in opera.

Dopo due anni di studio di ciò che le comunità facevano, pubblicarono nella rivista ufficiale della Congregazione (Notitiae), in latino, per tutta la Chiesa, una nota laudatoria: “Praeclarum exemplar” dell’opera che stava svolgendo il Cammino neocatecumenale . Con loro si concordò il nome da dare al Cammino: “Neocatecumenato”, come itinerario di formazione cristiana post-battesimale che segue le indicazioni proposte nel Capitolo IV dello stesso Ordo. In esso si dice infatti che alcuni riti per i non battezzati, proposti dall’OICA possano essere adattati anche a coloro che sono già battezzati, ma non sufficientemente catechizzati.

Maggiori dettagli si possono leggere sulla nota storica presente sul sito ufficiale del Cammino: http://www.camminoneocatecumenale.it/new/default.asp?lang=it&page=storia

  1. COSA PROPONE IL CAMMINO? QUAL’E’ LA SUA FINALITA’? PERCHE’  SECONDO  TE C’E’ NECESSITA’  DELLO  STESSO  ANCHE  NELLA NOSTRA CHIESA LOCALE?

Quello che il Cammino si propone è essenzialmente una cosa: formare cristiani attraverso un percorso catecumenale in piccole comunità in cui si ascolta la Parola e l’altro è Cristo: in sintesi si propone di cambiare, con la Grazia di Dio, il cuore dell’uomo.

Quanto alla finalità e alla necessità mi riporto ai discorsi dei pontefici che, dalla fine fin dagli anni sessanta, hanno conosciuto e appoggiato il carisma del Cammino.

Come diceva Karol Wojtila nel suo intervento in aula conciliare nel 1962, nella discussione sul testo della costituzione Sacrosanctum Concilium sulla liturgia: L’iniziazione cristiana non si fa solo con il battesimo, ma attraverso un catecumenato durante il quale la persona adulta si prepara a condurre la sua vita da cristiano. E’ perciò evidente che l’iniziazione è qualcosa di più che la sola ricezione del battesimo”. Per Wojtyla, era necessario riscoprire un catecumenato che ampliava il concetto tradizionale della iniziazione cristiana e gli dà : “…massima importanza soprattutto nella nostra epoca, quando anche le persone già battezzate non sono sufficientemente iniziate alla completa verità della vita cristiana“.

Come fare questo?

Sempre Wojtyla, nel 1952 giovane sacerdote, scrisse un articolo straordinario per attualità, “Catecumenato del ventesimo secolo” riflettendo sulla Veglia Pasquale, diceva che al centro della notte vi è il battesimo, che è l’offerta di un cambiamento di natura, preparato dal catecumenato:  “…questa notte i catecumeni devono nascere di nuovo… Poiché credere nel Dio che Cristo annuncia come suo Padre… non è solo credere, ma nascere di nuovo…; sappiamo che …aderiamo non solo ad una confessione, ad una religione, ma che riceviamo una nuova vita…”.

Wojtyla sottolineava quindi due aspetti profondamente nuovi:

  1. che il catecumenato non era solo una catechesi dottrinale, (come per lo più veniva vista la preparazione al battesimo in quel tempo), ma un processo esistenziale di inserimento nella nuova natura di Cristo.
  2. che il catecumenato, cioè il processo che preparava al battesimo,era tanto essenziale al processo di iniziazione quanto il sacramento vero e proprio.

Analizzando la Chiesa primitiva, che viveva in un mondo pagano, Wojtyla riscontra quindi che AL CENTRO DELL’EVANGELIZZAZIONE C’ERA IL CATECUMENATO.

Proprio perché si trova di nuovo in un mondo pagano, la Chiesa deve recuperare il catecumenato che nella Chiesa primitiva era il perno dell’evangelizzazione.

Anche Paolo VI nel 1975, nella Esortazione. Apostolica. Evangelii Nuntiandi, al paragrafo 44: aveva concluso: «È ormai palese che le condizioni odierne rendono sempre più urgente che l’istruzione catechetica venga data sotto forma di un catecumenato».

Successivamente, nel 1979, Giovanni Paolo II, nell’Esortazione Apostolica. Catechesi Tradendæ, al paragrafo 44, ha affermato: «La nostra preoccupazione pastorale e missionaria… va a coloro che, pur essendo nati in un paese cristiano, anzi in un contesto sociologicamente cristiano, non sono mai stati educati nella loro fede e, come adulti, non sono dei veri catecumeni».

Infine il Catechismo della Chiesa Cattolicapubblicato nell’anno 1992, all’articolo 1231 ha esplicitamente formulato la necessità di un catecumenato post-battesimale per ogni battezzato:

«Per la sua stessa natura il Battesimo dei bambini richiede un catecumenato post-battesimale. Non si tratta soltanto della necessità di un’istruzione posteriore al Battesimo, ma del necessario sviluppo della grazia battesimale nella crescita della persona».

Insomma, in pochi anni si è passati dal Capitolo IV dell’OICA, che suggeriva solo una possibilità di usare alcune parti del catecumenato per adulti già battezzati ma non sufficientemente catechizzati, ad una formulazione che propone per tutti i battezzati da bambini e da adulti la necessità di un catecumenato post-battesimale.

Non solo il magistero ha accolto le idee espresse da Woytila da giovane prete e poi in aula conciliare, ma la reintroduzione del catecumenato per i battezzati ha portato a formulare la necessità che i cristiani già battezzati riscoprano la fede attraverso un itinerario catecumenale, in modo da essere in grado di rispondere alla sfide attuali.

Così un documento che reintroduceva un processo dimenticato da secoli per il battesimo dei pagani, è finito per diventare centrale nella vita dei battezzati.

Mentre Wojtyla ed il Concilio e, successivamente, il magistero, riscoprivano la centralità del catecumenato nel processo di evangelizzazione dei non battezzati e, gradualmente, anche dei battezzati, in una baraccopoli alla periferia di Madrid si stava sviluppando un’esperienza concreta di catecumenato post-battesimale, grazie all’incontro tra Kiko Argüello e Carmen Hernández. Dalla loro collaborazione cominciò a prendere forma un itinerario di formazione di tipo catecumenale.

Nel 1974, a dieci anni dalla nascita del Cammino, il Papa Paolo VI ricevendo in udienza Kiko, Carmen e Padre Mario Pezzi con i Parroci e i catechisti, radunati a Roma e, di fronte ad alcune accuse che insinuavano sospetti di anabattismo o di voler ripetere il, battesimo il papa replicava con grande forza e chiarezza:

“… Vivere e promuovere questo risveglio è quanto voi chiamate una forma di ‘dopo il battesimo’ che potrà rinnovare nelle odierne comunità cristiane quegli effetti di maturità e di approfondimento che nella Chiesa primitiva erano realizzati dal periodo di preparazione prima del Battesimo. Voi lo portate dopo: il prima o dopo, direi, è secondario. Il fatto è che voi mirate all’autenticità, alla pienezza, alla coerenza, alla sincerità della vita cristiana. E questo è merito grandissimo, ripeto, che ci consola enormemente…”.

Il 5 settembre 1979, Giovanni Paolo II, incontrò per la prima volta personalmente Kiko, Carmen e Padre Mario, e li invitò alla Messa celebrata a Castel Gandolfo. L’incontro rappresentò per il Papa una risposta concreta alla sua intuizione sulla centralità del catecumenato per la nuova evangelizzazione. Dopo la messa, egli disse che, durante la celebrazione, pensando a loro, aveva visto ATEISMO-BATTESIMO-CATECUMENATO, esprimendo la convinzione che di fronte all’ateismo, il battesimo ha bisogno di essere riscoperto attraverso un catecumenato.

Il 2-11-1980, si svolse il primo incontro pubblico di Giovanni Paolo II con Kiko, Carmen e Padre Mario, nelle parrocchia romana dei Martiri Canadesi che era stata la prima in Italia dove 12 anni prima si era aperto il Cammino Neocatecumenale. Parlando alle comunità neocatecumenali, il Papa disse:

“Viviamo in un periodo di un confronto radicale che si impone dappertutto …fede e antifede, Vangelo e antivangelo, Chiesa e antichiesa, Dio e antidio, …non può esistere un antidio, ma si può creare nell’uomo la negazione radicale di Dio … In questa nostra epoca abbiamo bisogno di riscoprire una fede radicale, radicalmente compresa, radicalmente vissuta e radicalmente realizzata. … io spero che la vostra esperienza sia nata in tale prospettiva e possa guidare verso una sana radicalizzazione del nostro cristianesimo, della nostra fede, verso un autentico radicalismo evangelico”.

Il 31-1-1988, incontrando le comunità neocatecumenali della parrocchia di Santa Maria Goretti, Giovanni Paolo II formulò con ancora maggior precisione l’importanza per la Chiesa del neocatecumenato:

“Attraverso il vostro cammino e le vostre esperienze si vede quale tesoro per la Chiesa sia stato proprio il catecumenato come metodo di preparazione al battesimo. Quando noi studiamo il battesimo, .. vediamo più chiaramente che la pratica al giorno di oggi è divenuta sempre più insufficiente, superficiale. …senza il catecumenato previo, questa pratica diventa insufficiente, inadeguata a quel grande mistero della fede e dell’amore di Dio che è il Sacramento del Battesimo: … Io vedo così la genesi del neocatecumenato: uno – non so se Kiko o altri – si è interrogato: da dove veniva la forza della Chiesa primitiva? e da dove viene la debolezza della Chiesa, molto più numerosa, di oggi? E io credo che abbia trovato la risposta nel catecumenato, in questo cammino… …C’è un modo, io penso, di ricostruire la parrocchia basandosi sull’esperienza neocatecumenale.                                                                                                                          Infine, con l’approvazione degli Statuti del Cammino si ha avuto il compimento di un lungo processo che ha portato il magistero della Chiesa a vedere sempre più la necessità di rievangelizzare i battezzati e a riconoscere nel Cammino Neocatecumenale uno strumento idoneo a tale fine.

  1. COME PUO’ IL CAMMINO ESSERE MESSO A SERVIZIO DELLE NECESSITA’ DELLA NOSTRA DIOCESI

Proponendo ad ogni parrocchia – secondo il carisma che gli è proprio – uno strumento concreto per rievangelizzare i battezzati e per andare incontro a coloro che si sono allontanati dalla Chiesa.

Anche in questo ci aiutano le parole del fondatore, Kiko Arguello, dallo stesso pronunciate l’8-6-2012 a San Domenico in occasione dell’incontro organizzato – anche grazie all’allora Vescovo Mons. Iannone – per celebrare il Millenario dell’Abbazia:

“Benedetto XVI nell’incontro del 20-01-2012 ha detto: Il Cammino Neocatecumenale è un dono dello Spirito Santo in aiuto alla Chiesa; in questa occasione sono stati approvati i riti e le celebrazioni che – nel Cammino – scandiscono e accompagnano la crescita e la iniziazione cristiana.  Il Cammino neocatecumenale vuole portare alle parrocchie una iniziazione cristiana  ….. e grazie a questo processo di formazione nella fede lungo e serio riusciamo a fare di un pagano di una persona lontana dalla Chiesa di un secolarizzato un uomo nuovo una nuova creazione un figlio di Dio capace di vivere in Cristo e per Cristo non da solo ma in una comunità cristiana che possa annunciare al mondo la Verità dell’Amore di Dio. 

… quando cominciamo il Cammino in una parrocchia noi diciamo che è necessario ed è urgente passare da una pastorale sacramentale ad una pastorale di evangelizzazione. Intendendo per evangelizzazione che possiamo portare il Vangelo a tanta gente che non lo conosce o che ha lasciato la Chiesa. Come impostare una pastorale di evangelizzazione?  … C’è un’enorme quantità di gente che non viene più in Chiesa. Come poter raggiungere tanta gente secolarizzata? Noi diciamo che con la pastorale sacramentale si alimenta la fede dei fratelli con i sacramenti: Cristo è presente nei sacramenti nel battesimo nella eucarestia  nella messa  è presente in tutti i sacramenti. Ma questa pastorale serve a quella gente che già viene in Chiesa. Ma tutta quella gente che non c’è più o ormai non ha fede come potremmo fare per raggiungerli?

C’è bisogno di una presenza di Cristo vedendo la quale si è attirati e non c’è, quindi, più bisogno di avere già la fede. C’è questa presenza? Voi sapete che noi diciamo nel Cammino che c’è nel Vangelo: dice Cristo amatevi come io vi ho amati. Attenzione a questo perché  la parola “come” è fondamentale cioè vuole dire un “amore speciale”. Non so se avete visto qualche volta questo amore presente fatto carne, fatto sacramento, segno: amatevi come io vi ho amato: Cristo ci ha amato quando eravamo i suoi nemici, quando eravamo peccatori amare al nemico. Avete visto qualche volta un cristiano che ama il nemico? No? non si sa? Non si vede mai? Dove sta questo?

E tuttavia, Cristo dice amatevi come io vi ho amati cioè in questa dimensione dell‘amore al nemico.  In questo amore tutta la gente lontana secolarizzata e fuori dalla Chiesa dirà: ecco quelli sono i discepoli di Cristo. Ma c’è un’altra cosa dice di più Gesù Cristo: se siete perfettamente uno; attenzione alla parola  “perfettamente uno”,  il mondo crederà i pagani crederanno.

Quindi perché si dia la fede nei lontani bisogna dare questi segni. E’ quello che vuole fare il Cammino; formare comunità cristiane che arrivino a dare questi due segni: l’Amore nella dimensione della Croce cioè del nemico della morte e la perfetta unità. … Come arrivare a che una comunità cristiana arrivi a questa statura di fede? Ecco l’iniziazione cristiana ecco un processo lungo e serio.”

Siamo a disposizione di tutti i presbiteri della nostra diocesi per incontrarci ed illustrare nei dettagli il Cammino e dare la nostra personale esperienza e la nostra collaborazione perché nella parrocchia si possa iniziare un neo-catecumenato. Di seguito lo schema – a grandi linee – del Cammino

locandina_Catechesi

Schema tappe Cammino

 

Categorie: Conosciamoci

Tags: ,