Il 21 aprile, a Veroli, è stato inaugurato Building Peace, il monumento per la pace, ideato e realizzato dall’artista Pietro Spagnoli, frusinate da anni trasferitosi a Veroli. L’opera installata nei giardini pubblici di Passeggiata San Giuseppe, appena fuori dalla Porta Romana, è una scultura di acciaio corten forma da due cerchi che si intrecciano a formare un’ideale sfera, aperta nella parte superiore. Sui quattro bracci di questa struttura sono incastonate 111 pietre, ciascuna proveniente da una Paese diverso del mondo.
L’idea, partita nel 2012 e subito sposata dall’allora sindaco della città Giuseppe D’Onorio, ha richiesto tanto impegno e dedizione da parte dell’ideatore e dell’amministrazione, che hanno dovuto contattare centinaia di istituzioni straniere, consolati ed ambasciate, per spiegare il progetto, e coinvolgerli nello stesso donando ciascuno una pietra.
Alla cerimonia di inaugurazione sono intervenute le autorità cittadine, il sindaco Simone Cretaro e i rappresentanti della giunta e del consiglio comunale, il prefetto Emilia Zarrilli e il governatore della Regione Nicola Zingaretti, il vescovo della diocesi mons. Spreafico, a cui si sono aggiunti assessori regionali, sindaci e amministratori ciociari, autorità civili, politiche, militari e religiose da tutta la provincia frusinate. Ma, soprattutto, hanno partecipato i rappresentanti di 47 delegazioni dei Paesi, tra quelli che hanno donato una pietra per la costruzione del monumento.
La cerimonia, con momenti veramente toccanti come la coreografia dei ragazzi della scuola media sulle note di Imagine di John Lennon, e con riflessioni sul tema della pace da parte delle autorità intervenute che hanno preso la parola, è stata salutata da un’ampissima partecipazione di pubblico.
A riflettori spenti, abbiamo incontrato l’artista Pietro Spagnoli, per una chiacchierata a 360 gradi sul progetto del monumento e la sua realizzazione.
Com’è nata l’idea di una scultura dedicata alla pace e alla fratellanza tra i popoli?
L’idea è nata da una domanda che mi sono posto: un artista può intervenire nel suo tempo? Può cercare di cogliere la complessità del mondo e farne una sintesi? Insomma, il ruolo dell’arte contemporanea può essere diverso dal produrre solo qualcosa di effimero, cercando di occuparsi di temi storici e sociali? Riflettendo su questa domanda e cercando una risposta, è nato questo pensiero di formare un’aggregazione di nazioni verso l’idea di costruzione di pace.
Dunque, è un’opera che nasce da una riflessione sui fatti dell’attualità?
Sì. Le guerre sono nate praticamente con l’uomo, ma nello stesso tempo sono nati anche i tentativi di pace. È un tema millenario.
Da questa idea iniziale, come si è arrivati al progetto concretizzatosi nel monumento?
Come dicevo prima, l’idea era coinvolgere più persone nella costruzione di qualcosa. Mi è venuta in mente la pietra, come elemento fondamentale per costruire qualcosa. Mi piaceva anche il fatto che la pietra è stata usata nel corso della storia sia come elemento di costruzione che come elemento di offesa. Non a caso le prime armi erano fatte di pietra. Questo dualismo concettuale della pietra mi piaceva molto.
Per raccogliere le 111 pietre che sono incastonate nel monumento hai dovuto chiedere aiuto alle Ambasciate di altrettanti Paesi. Qual è stata la risposta?
Abbiamo contattato i Paesi aderenti all’ONU con una lettera firmata dall’allora sindaco di Veroli Giuseppe D’Onorio ed indirizzata alle Ambasciate presenti sul territorio italiano e su quello europeo (perché non tutte le Ambasciate hanno sede in Italia). Nella lettera veniva spiegato il progetto e si faceva richiesta di donare una pietra, della quale avevamo dato delle misure indicative. Partite le lettere, pensavamo che, sì ci sarebbe stata qualche risposta positiva, ma non immaginavamo un’adesione in massa delle varie Nazioni. Questa è stata una cosa che ci ha veramente entusiasmato molto. Dopo un mese e mezzo sono cominciate ad arrivare le prime pietre, tutte accompagnate da bellissime lettere di adesione e di complimenti per il progetto.
C’è qualche storia legata a qualche pietra in particolare?
Sono tantissime. Per esempio, quella arrivata dal Giappone è stata donata dal sindaco di Hiroshima, ed è una pietra dell’antico municipio della città distrutto dalla bomba atomica nel 1945. La pietra arrivata dall’Afghanistan è un bellissimo lapislazzulo. C’è, ancora, la pietra donata dallo Stato di Israele, che viene da Gerusalemme, e che loro chiamano la “golden stone”, cioè la pietra dorata, perché verso il tramonto prendendo la luce del sole assume una coloritura simile all’oro.
Quindi gli ambasciatori hanno aderito con entusiasmo?
Molti di loro sono anche venuti a Veroli a consegnare personalmente le pietre. In due anni, abbiamo visitato circa ottanta ambasciate in Roma per ritirare le pietre. Ricordo un episodio molto bello, legato alla pietra dello Stato Palestinese. Nel dicembre 2013, in Campidoglio ci fu una bellissima festa organizzata dall’Ambasciata palestinese in occasione dell’adesione all’ONU della Palestina come Stato osservatore. In quell’occasione ci fu consegnata una pietra proveniente da Betlemme.
C’è stata invece qualche ambasciata che ha rifiutato di aderire?
Più che rifiutato, non c’è stata una particolare dedizione o un grande interesse per il progetto. Penso, però, che non sia dipeso prevalentemente dagli Stati, ma piuttosto dal personale delle Ambasciate. Come succede anche qui da noi, ci sono persone che si adoperano di più e persone che si adoperano di meno. Tuttavia, non è detto che ricontattandoli adesso, altri Paesi non decidano di aderire.
La struttura portante della scultura è in acciaio corten, sulla quale sono state incastonate le pietre. Quale è stato l’iter di lavorazione tecnica dell’opera?
Ho usato l’acciaio corten, perché è un materiale particolare per il suo colore ruggine, che ben si adattava per realizzare quello che volevo rappresentare: una struttura antica, consumata dal tempo, che rappresentasse il millenario tentativo di costruzione della pace. La forma è un cerchio, o meglio, il tentativo di formare un cerchio – perché il cerchio completo rappresenterebbe la perfezione, l’armonia, l’assenza di divisioni. Però, il monumento non vuole essere un monumento alla pace, non vuole celebrare un astratto concetto di pace, ma appunto celebra un tentativo di costruzione di pace. Il cerchio non è ancora completato, infatti, la scultura è delimitata in alto da una linea che lascia intravedere la chiusura del cerchio, che purtroppo nella realtà non c’è. E, poi, ci sono le pietre, che danno l’idea del contributo alla costruzione del cerchio: più pietre si hanno e più il cerchio tende a chiudersi. Insomma, potremmo dire che Building peace è una scultura in divenire, non è completa, ma rappresenta un viaggio ideale verso la costruzione della pace.
Le pietre hanno richiesto una particolare lavorazione?
Sì. Ho dovuto bucarle tutte, per inserirci una barra filettata, cioè un perno per poterle incastonare nell’acciaio corten della struttura. È stato un processo molto lungo e delicato per evitare di danneggiare le pietre.
Qual è la pietra più bella?
Sono tante. Hanno tutte le loro storia, le loro caratteristiche, la loro “personalità”. Le pietre sono dei rappresentanti. Poi, ci sono pietre che sono arrivate in momenti veramente speciali, con delle coincidenze stranissime. Per esempio, la pietra dell’Argentina è arrivata proprio il giorno in cui papa Francesco è stato eletto al soglio pontificio.
Un monumento di questo tipo ha richiesto la collaborazione di tante persone. A chi vanno i ringraziamenti di Pietro Spagnoli?
La prima persona da ringraziare è Ornella Ricca, mia compagna di vita e di lavoro. Come ho detto nel discorso durante l’inaugurazione, mi ha supportato e sopportato per tutto questo periodo di lavoro. C’è poi Vincenzo Urbano, che io chiamo il “mago del corten”, con tutto il suo team di specialisti dell’Officina “L’Artiere” di Sora, che si sono adoperati con grande entusiasmo. La costruzione del monumento, per quanto faticosa e complicata, si è svolta veramente in un bellissimo clima: siamo stati veramente bene. Un doveroso ringraziamento è per Giuseppe D’Onorio, sindaco di Veroli all’inizio del progetto, perché quando presentai a lui l’idea l’accolse con grande passione e con una visione per il futuro. Un grazie va anche all’attuale sindaco Simone Cretaro, perché in un ideale passaggio di testimone con D’Onorio, è riuscito con tenacia ad arrivare alla posa del monumento.
Qual è stata la risposta del territorio?
È stata molto positiva. Sono stato sostenuto, incoraggiato e aiutato da tantissimi cittadini, e questa cosa mi ha fatto molto piacere. È ovvio che, come in tutte le cose, ci sono i bastian contrari, che sono “contro a prescindere”, ma quelli è preferibile ignorarli.
Giovedì 21 aprile c’è stata l’inaugurazione del monumento. Com’è andata?
È stata una giornata bellissima che ricorderò per sempre. Il Comune di Veroli è riuscito ad organizzare una cerimonia perfetta sotto tutti i punti di vista. E non era facile, perché la presenza di quasi cinquanta delegazioni diplomatiche, oltre a rappresentanti e autorità civili, militari, religiose, aveva bisogno di un’organizzazione accurata. Durante i discorsi ha preso la parola l’ambasciatore del Marocco, perché era il più anziano per durata della missione, che ha tenuto un discorso bellissimo.
Ora il monumento è lì, bello artisticamente e importante concettualmente. Ma, quali sono i progetti futuri ad esso legati?
La posa in opera sicuramente non è la fine ma l’inizio di un percorso. La speranza è quella di riuscire a coinvolgere associazioni e persone per sviluppare e organizzare tutta una serie di iniziative sulla pace e sull’accoglienza. Il sogno sarebbe quello di far diventare Veroli la Città della Pace e dell’Accoglienza.
Già ci sono iniziative in cantiere?
So che alcune persone stanno cominciando a produrre delle idee, ma di questo ne potremo parlare in una prossima occasione.
Vincenzo Ruggiero Perrino