Nella Parrocchia di San Lorenzo a Isola del Liri
Un’esperienza di conoscenza e di amicizia
Domenica 18 agosto i parrocchiani di S. Lorenzo m. hanno avuto un incontro in Sala Agape con due sacerdoti del Camerun, don Bertin Roger Oka’a e don Etienne Gontran Engamba Sazang, tornati in Italia per un breve periodo. Con loro c’era anche Marco Terenzi, un amico di Roma, conosciuto negli anni del Seminario presso l’università della Gregoriana e testimone di un’esperienza da volontario in terra d’Africa.
La proiezione di un video sui primi lavori per la chiesa nel villaggio dove don Bertin era parroco e le foto per la costruzione di un pozzo, hanno dato adito a tante domande sulla realtà del Camerun. Un paese ricco di materie prime –oro, petrolio, alberi… debitamente sfruttate da altri. Un paese dove non si muore di fame, perché ogni famiglia, anche la più numerosa, riesce a sfamare i suoi figli. Un paese dove in ogni Arrondissement ci sono scuole e ospedali statali, ma studiare e curarsi costa molto. Un paese dove i problemi esistono, ma si risolvono insieme, con tutto il villaggio. Un esempio? C’erano pietre da togliere sul terreno dove si doveva costruire la chiesa e nessuno in una settimana l’aveva fatto.
La domenica mattina, prima della Messa, tutti i bambini e i ragazzi, vestiti a festa, hanno creato una fila lunghissima e a passa mano hanno tolto le pietre. Così come in tanti hanno spinto la jeep impantanata nel fango, per una trentina di km e impiegando 9 ore, anche nel buio pesto della notte. E una giovane vedova con 7 figli, ha adottato un bimbo rimasto orfano: è la cognata di don Bertin, diventato ora il “padre” dei suoi nipoti, ma potrebbe essere qualunque altra storia di generosità, di sacrificio e di amore. Un paese dove vivono tanti stranieri –lavoratori, turisti,volontari- e il loro stesso Vescovo è polacco. Hanno lingue, etnie e religioni diverse, ma vivono in pace e si aiutano reciprocamente. Un Paese che ha gli alberghi a 5 stelle nelle due Capitali e le capanne di mattoni pressati uno ad uno nei numerosi villaggi; ha le superstrade in città e i sentieri nella foresta; cattedrali bellissime e chiese con il tetto in lamiera (che i più poveri hanno rubato per farne delle pentole!) e accanto c’è sempre un dispensario e talvolta anche il pollaio. I Camerunensi per venire in Italia o in altro Paese non attraversano il deserto per salire sui barconi della morte, ma vanno in Ambasciata (ne hanno due, presso la Santa Sede e con lo Stato italiano) per chiedere il visto e pagano il biglietto d’aereo.
Una serata interessante che si è chiusa con l’acquisto –a mo’ di ricordo e di aiuto concreto– delle poesie di Marco e dei batik africani, e con una “scorpacciata” di cocomero offerto da don Alfredo.
Articolo Luciana Costantini
foto Rosalba Rosati