Quando il 12 gennaio 1745 papa Benedetto XIV proclamò Cesare Baronio venerabile, l’opera di questi era già nota e ampiamente diffusa, tanto da essere stata fonte di ispirazione per alcuni drammi teatrali.
Cesare Baronio nasce a Sora nel 1538. Studia prima a Veroli e poi, per una breve esperienza di studi giuridici, a Napoli. Trasferitosi a Roma per completare la sua formazione, vi conosce Filippo Neri. Ne resta tanto colpito da stringere con lui un legame indissolubile, che durerà tutta la vita.
Filippo Neri, avendo intuito le qualità intellettuali oltre che umane di Baronio, lo invita a tenere il suo primo discorso pubblico. L’occasione è quella della vigilia dell’Epifania del 1558. In seguito, vari e tanti saranno gli interventi di Cesare Baronio all’Oratorio, con discorsi incentrati soprattutto sulla morte e la vita nell’aldilà.
Il Santo inizia anche ad occuparsi della vita spirituale del suo discepolo, avviandolo sulla strada dell’umilità e della mortificazione interiore. Il percorso è duro e difficile, ma permette a Baronio un sincero discernimento, finché sul finire del 1560 egli può annunciare ai familiari la decisione di prendere gli ordini sacri con l’ordinazione a suddiacono. L’anno seguente viene «addottorato in civile e in canonico». Nel 1564 viene ordinato sacerdote per la chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini, rinunciando ad un più comodo canonicato nella nativa Sora. È da quel momento che la vita di Baronio è strettamente legata alle vicende della Congregazione voluta da San Filippo Neri, la cui sede si stabilisce alla Vallicella di Roma.
A partire dal 1589 viene pubblicando, tra le altre opere, gli Annales ecclesiastici frutto di un meticoloso studio. Nel 1593 Filippo lo sceglie come suo successore; diventa poi confessore del papa e bibliocario di S. R. Chiesa. Tuttavia, nonostante il successo letterario e la carriera ecclesiastica, non perde mai il suo spirito umile tanto che, pur vicino ad essere eletto papa, fu lui stesso a scongiurare la sua elezione. Gli impegni non lo tengono lontano dall’Oratorio, dove continuava a recarsi per recitare i suoi sermoni.
Cesare Baronio muore nel 1607: anche la sua sepoltura è figlia di quell’umiltà che egli aveva appreso da San Filippo Neri.
Abbiamo più volte citato l’Oratorio, frequentato assiduamente da Cesare Baronio. Dunque: cosa si intende con questa parola?
Col termine “oratorio” si indica un genere musicale d’ispirazione religiosa (ma non liturgica), di impostazione drammatica (ma eseguito senza rappresentazione scenica o mimica), che discende dal madrigale dialogato del primo Seicento. Tuttavia, originariamente l’oratorio era lo spazio in cui si riunivano i membri di una confraternita o di una comunità religiosa per pregare.
Con la nascita della Congregazione (appunto dell’Oratorio) voluta da San Filippo Neri, l’oratorio passò a significare una riunione, comprendente la lettura di libri spirituali o passi biblici e l’ascolto di un sermone, accompagnati da preghiere e dal canto di laudi. Allorché la parte musicale divenne l’elemento caratterizzante di queste riunioni, il termine “oratorio” venne principalmente riferito al genere di drammaturgia musicale destinata a questi incontri. Fu il poeta Francesco Balducci a definire due suoi componimenti poetici per musica, La fede e Il trionfo, “oratorii”.
Perfezionandosi la tecnica musicale dell’oratorio, questo assunse una forma pressoché stabile: era diviso in due parti, separate dalla declamazione di un sermone (e, abbiamo visto, che i sermoni erano il “pezzo forte” di Cesare Baronio); i testi degli oratori erano in versi, in tutto simili negli aspetti metrici a quelli del libretto d’opera del tempo; le storie erano prevalentemente ispirate a quelle bibliche, ma abbiamo anche oratori tratti dall’agiografia o che hanno per interlocutori figure allegoriche; è raro incontrare oratori con sezioni corali, tanto che brani polifonici sono limitati ai finali e comunque sono cantati dai quattro o cinque solisti che si occupano anche del resto.
Dall’oratorio nato in seno alla confraternita di S. Filippo Neri, bisogna tenere distinto l’oratorio latino, sviluppatosi dalla consuetudine di eseguire musiche sacre nei cinque venerdì di quaresima presso la confraternita del Ss. Crocifisso di San Marcello, a metà del XVI sec. Questi brani polifonici furono lentamente soppiantati da mottetti dialogici, i quali, a loro volta, divennero veri e propri dialoghi su testo latino in stile recitativo. Anche in questo caso le storie sono tratte dall’Antico Testamento; ogni cantore rappresenta un personaggio; e terminata la musica, viene proposta un’omelia da un predicatore, e, infine, viene musicato e cantato il Vangelo del giorno; l’oratorio latino utilizza testi in prosa, che combinano parti tratte dalle sacre scritture con parti di libera creazione; sul versante musicale, rispetto all’oratorio in volgare, le sezioni polifoniche e quelle solistiche sono più equilibrate.
Negli ultimi decenni del Seicento i testi dell’oratorio latino (che comunque era noto solo in ambienti particolarmente elitari) furono adeguati al più apprezzato oratorio volgare abbandonando ogni legame col motetto polifonico, facendo sì che i libretti venissero scritti in versi, divisi tra recitativi e arie.
Dunque, non appare inesatto dire che con i suoi sermoni Cesare Baronio ha contribuito allo sviluppo e al perfezionamento di un particolare genere di teatro musicale, quale appunto l’oratorio.
Ma, l’“incontro” tra Baronio e il teatro non si esaurisce nella frequentazione dell’oratorio, e quindi dell’ascolto di questi “drammi”, da parte del Venerabile. Infatti, come abbiamo detto in apertura, gli Annales sono stati fonte di ispirazione per alcune opere teatrali.
Infatti, nel 1669, presso il Seminario Romano, in occasione delle vestività del Carnevale, i convittori delle camere minori mettono in scena una tragedia, l’Eugenia, scritta da Antonio Casiglio, che del seminario era Rettore. In realtà, non si trattò di una rappresentazione nuova ed inedita, dal momento che questa tragedia era già andata in scena presso il Seminario Romano nel 1656.
Dal testo conservato presso la Biblioteca Casanatense di Roma, apprendiamo che l’argomento storico è tratto da Cesare Baronio, e che l’azione del dramma è in Alessandria nell’anno 188. Com’era d’uso, i convittori allestirono una rappresentazione in grande stile: un prologo – nel quale ricordando che papa Clemente IX era stato allievo del Seminario Romano, compaiono le quattro parti del mondo a ringraziare Roma per aver eretto il seminario –; cinque atti nei quali si intrecciano le storie di Filippo, prefetto di Alessandria, e di sua figlia Eugenia, creduta uomo col nome di Eugenio Romito; due intermezzi nei quali apparivano naviganti e pigmei.
Il melodramma Mauritius, andato in scena nel 1692, e tratto dall’ottavo volume degli Annales ecclesiastici di Baronio, crea una specie di corto circuito. Infatti, si tratta di un oratorio latino in due parti di insolito argomento storico (l’ambientazione è nella Costantinopoli del 602 d.C.) e con strofe di impianto sperimentale, composte di versi di varia lunghezza. Dunque: Cesare Baronio era protagonista degli oratori di fine Cinquecento alla Vallicella, e un brano della sua opera principale viene utilizzato per l’argomento di un oratorio latino.
Il Mauritius venne eseguito al SS. Crocifisso il secondo venerdì di Quaresima del 1692, e pubblicato quello stesso anno (una copia si trova alla Casanatense).
Particolare fu la struttura dell’opera intitolata Teodora e rappresentata al Seminario Romano per il carnevale del 1694. Infatti, come si legge nei due fogli contenenti lo scenario conservati alla Casanatense: «Dovendosi dunque recitare nel Seminario Romano la Tragedia della Teodora, si fà ad essa contrappunto, e di Musica, e di Azzione, con un Prologo, e quattro intermezzi sopra Clitennestra & Oreste». Cioè, ai cinque atti della storia della Teodora, il cui argomento venne tratto ancora una volta dall’opera di Baronio, vengono inframmezzati un prologo e quattro intermezzi, nei quali invece si racconta tutt’altra vicenda, ovvero quella di Oreste e Clitennestra.
Infine, nel carnevale del 1697, i convittori del Seminario Romano portano in scena Il distruttore de dei o vero Il Costantino incoronato. L’argomento, tratto dal Baronio, riguarda appunto Costantino. Interessante è notare che nel prologo l’Idolatria si prende gioco di Giosué che pretende di distruggere Gerico. Appare allora la Religione che le mostra le rovina della città di Gerico, che viene paragonata a Roma, che invece cederà alla Croce di Costantino. La recita di questo dramma dovette impegnare molto i convittori, tanto che conosciamo i nomi del maestro di ballo (Gabriele Del Mazzo) e del maestro di scherma (Gliano Modesti) che furono contattati per preparare adeguatamente i ragazzi alla rappresentazione.
Vincenzo Ruggiero Perrino