Non sono un convertito. Sono nato e cresciuto a Cassino, una piccola città a sud di Roma, in una famiglia cattolica e praticante. La testimonianza di fede più grande mi è stata donata dai miei genitori, che si amavano “affidandosi continuamente alla volontà di Dio”, come spesso mi dicevano. Alla morte di mio padre, non ho maledetto Dio. Quell’evento doloroso ha invece suscitato in me una domanda, un desiderio di essere amato e di amare, che mi fa vivere ogni giorno alla ricerca della paterna tenerezza di Dio.
L’incontro e la crisi
Durante le scuole superiori, avevo incontrato Comunione e Liberazione ed ero rimasto affascinato dalle parole di don Giussani. Approdando in università, avevo poi vissuto anni turbolenti ma decisivi per la nascita della mia vocazione. Cominciai a seguire l’esperienza degli universitari del movimento, pur con crescente distacco. Agli incontri di scuola di comunità, ad una vita che non mi lasciava mai tranquillo, preferivo le serate in cui spegnere il cervello in discoteca. Ringrazierò sempre gli amici di Cassino che, vedendomi in difficoltà, cercavano di farmi compagnia, fino a venire con me a ballare. Desideravo dare la vita per un’amicizia così, che non censura nulla, corregge ed aiuta a guardare al vero bene.
Una voce nel silenzio
Grazie a loro, ripresi con grande intensità la vita nel movimento. Le mie energie erano indirizzate ad un unico ideale: comunicare a tutti quella passione che aveva afferrato la mia vita. Una vivacità che si tramutò presto in dialogo: domandavo agli amici come vivere con Cristo un rapporto sempre più profondo. Tutti mi rispondevano che dovevo pregare. E così feci, fino a quel giorno di fine maggio, quella mattina in cui, dopo le Lodi con i ragazzi del Clu, ci fermammo in chiesa per qualche minuto di silenzio. In quel momento, avvertii chiaramente che Dio stava toccando la mia anima. Non ho parole per descrivere la felicità che provai. Avevo intuito che Dio mi chiedeva un rapporto del tutto personale, privilegiato, unico. Mi sono sentito stimato, amato, voluto come mai mi era accaduto.
Al terzo anello di San Siro
Per mesi ho tentato di soffocare questa intuizione, perché tutto mi sembrava contrario: la vita di prima, la fidanzata, i progetti per il futuro. Però ogni giorno si riaffacciava la domanda: «E se Dio davvero mi chiamasse a questo, a diventare prete?». Esausto per questa battaglia, decisi di parlare con don Attanasio, un prete della Fraternità san Carlo che conoscevo da tanti anni. In seguito a quel colloquio, con dolore ho lasciato la mia ragazza e ho iniziato un percorso di verifica.
Nel frattempo, avevo deciso di trasferirmi a Milano per frequentare gli ultimi due anni di Economia. Lì ho cominciato ad incontrare don Matteo, all’epoca vicerettore del seminario. Spesso l’appuntamento era fissato per le 19 nel terzo anello dello stadio di San Siro, prima delle partite del Milan. Parlavamo un’ora, tra i cori sulle gradinate e il riscaldamento dei giocatori. Io gli raccontavo le scoperte che facevo, la gioia che nasceva in me e la profondità di sguardo che desideravo e che non potevo darmi da solo. Riconoscevo che lo studio, le iniziative in università, i dialoghi e le serate con gli amici avevano acquistato uno spessore sconosciuto prima: tutto mi stupiva ed era occasione per la preghiera, per mettermi sotto lo sguardo di Dio.
Una promessa di vita comune
In quegli anni a Milano, la vita in appartamento con dodici uomini fu una bella sfida. Dopo i litigi e le difficoltà iniziali, abbiamo capito che solo la carità e la sequela a Cristo potevano renderci amici. Abbiamo cominciato ad aiutarci. Ogni sera si finiva a parlare di vocazione: che cosa ci chiede Dio? Come capire qual è la nostra strada? A che cosa serve la nostra amicizia? Così abbiamo aperto l’appartamento ai nostri amici ma anche a professori, preti, seminaristi, uomini sposati, professionisti. Pregavamo insieme e molti dei nostri compagni rimasero affascinati dalla nostra amicizia. L’appartamento si era trasformato in casa.
L’idea di donarmi interamente a Dio diventava ogni giorno più forte, tanto quell’amicizia mi stava introducendo ad un rapporto profondo e concreto con Cristo. Così, decisi di parlare con don Massimo Camisasca, fondatore della San Carlo. E poco prima di laurearmi chiesi di entrare in seminario. La mia famiglia, gli amici di Cassino e poi quelli di Milano: Dio non mi ha mai fatto mancare punti di luce a cui guardare. Ora, nelle mie prime esperienze missionarie, desidero che i ragazzi possano vivere la stessa esperienza, perché a nessuno manchi un luogo dove essere accolto e amato, dove scoprire l’amore esclusivo del Signore per ognuno di noi.
– Paolo Pietroluongo