Papa Francesco arriva dritto al cuore quando ci dice di “chiedere il dono delle lacrime” e che “la vergogna è buona, fa bene vergognarsi”. O quando ci ricorda di “avere misericordia per le disgrazie altrui” e di lasciarci “convertire dalla sofferenza degli altri”. Il Papa ci parla con dolcezza e tenerezza, ma anche con fermezza. Bergoglio ha riaperto la questione di Dio, rilanciandone il vero volto, che è diverso da quello sfigurato dagli uomini e dai fondamentalismi. Dio è Misericordia e amore. È Dio della vita e della pace, che salva ogni uomo. Quando non scegliamo il Dio di Gesù, siamo in balia di tanti idoli, come il denaro e il potere, che ci strumentalizzano, ci usano e ci illudono. Se diventiamo schiavi di questi idoli, noi instaureremo relazioni inquinate e sbagliate con il nostro prossimo. L’altro non sarà più un fratello o un dono, ma un nemico o un avversario. Tra i vari temi affrontati in questi giorni nel suo viaggio a Cuba seguito dal volo verso gli Stati Uniti – il Papa, rivolgendosi alle folle e ai giovani, ha puntualmente ricordato quanto sia importante, fondamentale, costruire e stabilire delle relazioni solidali con gli altri.
La lebbra contemporanea si chiama “individualismo”. La parola individualismo deriva da un’altra parola più semplice: “individuo”, che significa “che non si può dividere”. A ben vedere una persona che non è pronta a dividersi non potrà farsi dono per gli altri. Il Papa prende a modello l’immagine della madre, colei che è pronta a dividersi per ognuno dei suoi figli, a farsi in tre, a farsi in quattro, come si suol dire, per il bene di tutti, perché ama ognuno di loro e persegue la pace; lei è la persona che più di tutti odia la guerra, perché mai vorrebbe che i suoi figli facessero “la guerra” tra loro.
Se invece non fosse così, saremmo nella logica dell’egoismo e dell’individualismo, non in quella di Dio. Purtroppo è esattamente quanto prevale oggi nel mondo: il dominio e lo sfruttamento degli altri è la ragione di tutte le guerre, ingiustizie e povertà.
Senza Dio il mondo vive in una situazione di estremo pericolo e il passo verso il baratro è breve. Sarebbe bello che tutti potessimo sentire la responsabilità di essere con il Papa e con la Chiesa, di stare dalla parte di questo Dio che ci ama e ci salva, rincuorati dalla predicazione e dalla testimonianza di una Chiesa samaritana, con le porte aperte verso le periferie dell’esistenza e del dolore.
L’annuncio dell’Anno Santo della misericordia ha rallegrato i fedeli, ci ha fatto comprendere che il cuore del Vangelo è l’amore gratuito di Dio per ciascuno di noi. E che la missione della Chiesa consiste nel testimoniare la misericordia del Padre verso tutti gli uomini, senza distinzioni. Messaggio semplice e rivoluzionario, soprattutto in un mondo che vuole espellere la religione dalla società e, al tempo stesso, profana il nome di Dio per terrorizzare, sgozzare il fratello e uccidere cittadini interni come sta accadendo in questi giorni in Siria.
Ma la Chiesa non giudica nessuno, accoglie tutti a braccia aperte, riservando un posto privilegiato agli ultimi e ai più deboli. Parlare di misericordia, presuppone che ci siano un peccatore ed un peccato per cui chiedere perdono a Dio. Se riconosciamo facilmente che a causa della fallacia, della caducità propria degli uomini noi tutti in quanto tali, siamo peccatori, penso sia corretto chiedersi, oltremodo, cosa significhi “peccato”.
Per rispondere è bene osservare la spiegazione data da San Giovanni Paolo II nel suo commento al Salmo 50:
«[…] C’è innanzitutto la regione tenebrosa del peccato, in cui è situato l’uomo fin dall’inizio della sua esistenza: “Ecco, nella colpa sono stato generato, peccatore mi ha concepito mia madre” (v. 7). Anche se questa dichiarazione non può essere assunta come una formulazione esplicita della dottrina del peccato originale quale è stata delineata dalla teologia cristiana, è indubbio che essa vi corrisponde: esprime infatti la dimensione profonda dell’innata debolezza morale dell’uomo. Il Salmo appare in questa prima parte come un’analisi del peccato, condotta davanti a Dio. Tre sono i termini ebraici usati per definire questa triste realtà, che proviene dalla libertà umana male impiegata. Il primo vocabolo, hattá, significa letteralmente un “mancare il bersaglio”: il peccato è un’aberrazione che ci conduce lontano da Dio, meta fondamentale delle nostre relazioni, e per conseguenza anche dal prossimo. Il secondo termine ebraico è ‘awôn, che rinvia all’immagine del “torcere”, del “curvare”. Il peccato è, quindi, una deviazione tortuosa dalla retta via; è l’inversione, la distorsione, la deformazione del bene e del male, nel senso dichiarato da Isaia: “Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre” (Is 5,20). Proprio per questo motivo nella Bibbia la conversione è indicata come un “ritornare” (in ebraico shûb) sulla retta via, compiendo una correzione di rotta. La terza parola con cui il Salmista parla del peccato è peshá. Essa esprime la ribellione del suddito nei confronti del sovrano, e quindi un’aperta sfida rivolta a Dio e al suo progetto per la storia umana.
Se l’uomo, però, confessa il suo peccato, la giustizia salvifica di Dio è pronta a purificarlo radicalmente. È così che si passa nella seconda regione spirituale del Salmo, quella luminosa della grazia (cfr vv. 12-19). Attraverso la confessione delle colpe si apre, infatti, per l’orante un orizzonte di luce in cui Dio è all’opera. Il Signore non agisce solo negativamente, eliminando il peccato, ma ricrea l’umanità peccatrice attraverso il suo Spirito vivificante: infonde nell’uomo un “cuore” nuovo e puro, cioè una coscienza rinnovata, e gli apre la possibilità di una fede limpida e di un culto gradito a Dio […]».
Gesù viene per i peccatori, così come il medico viene per curare i malati e non i sani. Desideriamo dunque accogliere questo Anno Santo come una grazia, quale occasione data a tutti affinché Dio operi quella rivoluzione nella nostra vita che ci metta nella condizione di rispondere il nostro fiat a Lui. Desideriamo accogliere il Cristo, che ci è messo dinanzi nel volto del prossimo. Desideriamo superare l’ostacolo dell’individualismo e dividerci per gli altri; dividerci per portare insieme la Croce, perché sudando insieme, la fatica risulti più leggera.
– Angela Taglialatela