Sabato 13 febbraio, presso la chiesa di Santo Spirito, si è tenuto il decimo incontro del Corso biblico, proseguendo così l’esegesi del Vangelo di Luca.
La vita pubblica di Gesù, iniziata a Nazareth dove non era stato accolto dai suoi stessi compaesani, prosegue con la chiamata dei primi apostoli. Ma, prima della chiamata vera e propria, egli si reca a casa di Simone, la cui suocera era malata. Ovviamente, se Simone aveva una suocera, avrà avuto anche una moglie. Il fatto che Luca non nomini la moglie di Simone può essere indice del fatto che egli era vedovo. Questa considerazione si lega ad una riflessione: il vedovo Simone, con il nome di Pietro verrà incaricato da Gesù di guidare la sua Chiesa; dunque egli diverrà “sposo” della Chiesa e darà la vita per essa.
Quando Gesù va a casa di Simone, questi ancora non era stato chiamato: il rapporto con Gesù non è univoco, non può fare tutto lui! Egli entra nella nostra vita e ci chiama, ma da parte nostra ci dev’essere la disponibilità a farlo entrare e a seguirlo.
In casa, la suocera di Simone ha la febbre. A tal riguardo non bisogna scordare che Luca è un medico, e quindi sa bene che la febbre in sé non è una malattia, bensì uno stato patologico sintomatico di qualcos’altro. Sul versante spirituale, dietro la febbre della suocera, c’è tutto ciò che la tiene imprigionata, che le fa perdere forza, che le impedisce di stare in piedi, che le impedisce di servire Cristo. Non a caso, una volta guarita, si alza in piedi e si mette a servire.
L’invito è chiaro: se Cristo è assente dalla nostra casa e dalla nostra vita, è come se mancasse quel qualcosa che ci spinge ad alzarci e ad impegnarci con forza, e quindi il brano evangelico ci dice di lasciar entrare Cristo nella nostra esistenza per avere forza e servirlo.
Gesù curava altre malattie, che all’epoca si credeva fossero causate dal demonio. Le malattie che lui guarisce hanno a che fare con il peccato, inteso nell’accezione di perdita dell’obiettivo fondamentale della vita, cioè Cristo stesso. La popolarità di Gesù diventa tanta che, come il vangelo di Luca dice al versetto 43, la folla lo cercava anche quando Gesù si appartava. In realtà, la gente lo cercava per ottenere da lui un miracolo, un prodigio, e non perché egli fosse il Figlio di Dio. Che, poi, è un po’ quello che si fa oggi, anche nella devozione verso i santi: ci si reca nei santuario per chiedere la grazia, impostando il rapporto come un “do ut des”: prego e credo in te se ottengo il miracolo, altrimenti non prego e non credo.
All’inizio del cap. 5, c’è la chiamata degli apostoli: attraverso la chiamata, Gesù trasforma l’attività di pescatori di Pietro e degli altri in un’altra missione. Bisogna fare attenzione: ricevuta la chiamata, Pietro e gli altri “lasciarono tutto e lo seguirono”. In altre parole: ad una missione (quella di diventare “pescatori di uomini”) corrisponde una chiamata, ma il presupposto della missione è anche il discernimento (ovvero mettersi dietro Cristo e seguirlo). Diversamente, il servizio è mero reclutamento. Si può annunciare il vangelo solo dopo aver fatto un cammino dietro Cristo, altrimenti si finisce per annunciare solo se stessi. Lo stesso Gesù non parla da sé stesso, ma segue il Padre, annunciandone la Parola.
Dopo la guarigione dalla febbre della suocera di Pietro e la chiamata dei primi discepoli, c’è la guarigione del lebbroso. Stavolta il prodigio è riferito ad una malattia ben precisa, la lebbra, e non ad un’indeterminata febbre. La lebbra è una malattia “relazionale”, in un senso diverso dalla febbre. Infatti, se quando si ha la febbre è il malato stesso a restarsene a casa per conto proprio, invece la lebbra faceva sì che i sani isolavano e allontanavano il malato perché era contagioso. Anche oggi siamo afflitti da varie “malattie” che ostacolano le nostre relazioni autentiche: il potere, l’indifferenza, il denaro, la paura dell’altro…
Infine, sul finire del quinto capitolo, Luca racconta di un’altra chiamata, quella di Levi. Anche questa volta, il prescelto viene chiamato sul luogo di lavoro, ossia al banco presso cui esercita la professione di esattore delle imposte. Insomma, Levi era un infedele, un traditore, uno che si era venduto ai romani e per conto di questi chiedeva le tasse agli ebrei, cioè a quelli del suo stesso popolo. Aveva, dunque, fama di ladro e truffatore. La chiamata di Levi dimostra che lasciando entrare Gesù nella nostra vita, anche l’infedeltà e il tradimento possono diventare fedeltà e servizio.
Gesù si ferma a mangiare con lui e con altri pubblicani, suscitando le incomprensioni e i giudizi malevoli dei farisei, i quali si chiedevano perché si intrattenesse a mensa con i peccatori. La risposta di Gesù è in linea con il lessico di Luca (ancora una volta non dimentichiamo che egli era un medico) e mette a tacere le mormorazioni di quanti ritenevano di essere nel giusto, soltanto perché osservavano meccanicamente una serie di precetti: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano». Ma i farisei incalzano ancora chiedendo perché i discepoli di Gesù non osservavano il digiuno. E anche qui la risposta di Gesù esprime la novità del suo vangelo…
Il prossimo appuntamento del corso biblico è per sabato 20 febbraio, alle ore 18.30.
Vincenzo Ruggiero Perrino