Crescenzio Fusciardi nacque il 29 luglio 1875 a Casalattico (Fr) grazioso paesino della Valle di Comino. Fu chiamato Crescenzio in ricordo del nonno materno. I genitori Livio e Giovanna Porzia Forte, lo educarono ad robusta fede cristiana. A dieci anni fu ammesso al sacramento dell’Eucarestia e da allora si accostò alla mensa eucaristica con grande raccoglimento e pietà. Il 30 aprile 1887, il fratello Antonio (don Eugenio Maria), maggiore di lui quattro anni entrò nell’abbazia cistercense di Casamari. Crescenzio, intenzionato a seguire l’esempio del fratello, si confidò con i genitori i quali assecondarono il suo desiderio e lo affidarono alle cure del parroco perché fosse istruito nella lingua latina. Umile di carattere sin da ragazzo, quando “sentiva aria” di discorsi indecenti subito, facendosi rosso in viso, si allontanava. Mantenne tale atteggiamento anche durante il servizio militare tanto che veniva chiamato il colombo «egli ingenuo sempre, pazientava assiduamente alle
beffe e ai dileggi di cui era fatto segno da certi soldati indecenti».
Finalmente il 28 maggio 1891 poté entrare a Casamari come aspirante chierico corista. In quel tempo l’abbazia era guidata dall’abate dom Gabriele M. Paniccia. Il 1̊ ottobre 1891, l’abate riunì il Consiglio del monastero affinché fossero esaminati i candidati alla vestizione monastica; erano tre: Crescenzio Fusciardi, Alessio Secchioni e Giuseppe Pizzutelli. Gli esaminatori interrogano uno ad uno i postulanti e li trovarono di buona volontà ma poco istruiti nella lingua latina. A quest’ultima pecca l’abate soprassedette: “avranno tanto tempo per imparare il latino!”. Il 3 ottobre avvenne la vestizione monastica e con essa l’inizio del noviziato, a Crescenzio, fu cambiato il nome: da oggi
in poi si chiamerà dom Edmondo Maria. Durante il noviziato, sotto la direzione del padre maestro, dom Alberico M. Lombardi, il fervore del giovane novizio andò via via aumentando. Il 1̊ settembre 1892 la comunità monastica ammette, a pieni voti, dom Edmondo e don Nivardo alla professione semplice. Il 31 ottobre 1892 i due novizi emisero i primi voti monastici.
La vita monastica di dom Edmondo trascorse serenamente tra l’osservanza della Regola e lo studio; quotidianamente si impegnò ad approfondire la vita monastica – secondo gli Usi trappisti di Casamari – da lui liberamente scelta. Si ricorda che durante le malattie che lo colpirono in quel periodo era solito dire: “Sia tutto per amore di Dio, sia fatta la volontà di Dio”. Mai lasciò l’ufficio divino nemmeno quando era febbricitante; sempre ubbidiente, modesto, docile, attento ai propri doveri e pronto agli atti comuni. La sua camera era pressoché spoglia: un semplice tavolo, una piccola libreria, una sedia, un lume e un pagliericcio. Appeso ai muri un crocifisso, un quadro della Sacra Famiglia uno di san Bernardo e uno di san Gerardo Maiella. Il suo aspetto è così decritto dal fratello dom Eugenio: “di statura piuttosto alta; il suo andare era diritto, grave e mansueto: la su testa fu di giusta grandezza e ornata da capigliatura folta di colore castagno: suo volto alquanto oblungo e tinto sempre di un colore rosso; la fronte poco spaziosa: gli occhi piccoli di color marrone che erano quasi di continuo chinati a terra e rivelavano una meravigliosa ingenuità, e sopra di essi le sopracciglia s’incurvavano folte e nere: il naso funghetto e sottile; le labbra piccole e sempre in atteggiamento di sorriso”.
La vita del giovane monaco procedeva serenamente quando, come un fulmine a ciel sereno, giunse la chiamata alle armi. Dom Edmondo era il primo, dopo il 1870, cui toccava prestare il servizio militare: i Patti del Laterano erano ancor lontani dall’essere stipulati perciò sacerdoti e religiosi non erano esentati dalla leva. Il giorno della partenza fu un giorno triste per Edmondo e per la comunità monastica di Casamari; così viene decritta dal cronista del monastero: “una scena commoventissima si è tenuta alle sei e mezzo in questa casa; poiché nell’uscire da Prima tutti ci siamo doluti per la separazione del nostro confratello d. Edmondo Maria Fusciardi che il governo ha chiamato al suo servizio a fare il militare. Tutti l’abbiamo abbiamo abbracciato dandogli il bacio di pace e ci siamo ritirati cogli occhi pieni di lacrime”.
A Frosinone lo accompagnarono l’abate e il fratello Vincenzo. Si cercò in tutti i modi di farlo assegnare al corpo di Sanità in Roma. A tale scopo l’abate, dom Stanislao White, superiore della Badia di Valvisciolo, e il fratello Vincenzo nulla lasciarono di intentato. Il 23 febbraio il soldato Crecenzio Fusciardi partì alla volta di Napoli e il 15 marzo fu assegnato all’ospedale militare della SS. Trinità nella città partenopea. Il cardinale Guglielmo San Felice, che conosceva Casamari, prese a ben volere dom Edmondo e spesso lo voleva alla mensa arcivescovile. Tale predilezione fece sì che la giovane recluta fu chiamata “soldato cardinale”. Durante il servizio militare il suo pensiero fu sempre per Casamari e per i suoi confratelli lontani.
Il 7 gennaio 1897 un gruppetto di militari, tra i quali Crescenzio,, guidati dal tenente colonnello del Genio, il cav. Audini, visita la cupola della chiesa dell’ospedale adiacente alla farmacia. Il sopralluogo era stato richiesto per verificare la possibilità che la cupola potesse crollare. Terminata la verifica, i militari rassicurano la direzione ospedaliera: per il momento possono stare tranquilli.
Alle ore 14.00 il direttore dell’ospedale, il cav. Alvaro, preoccupato per la caduta di calcinacci nella chiesa, chiama nuovamente il genio. Mentre i militari discutono sull’opportunità o meno di entrare nell’edificio religioso per verificare le eventuali lesioni, un boato assordante, seguito da un’enorme nuvola polvere e calcinacci, travolge la zona e il personale dell’Ospedale: la cupola è crollata! È un fuggi fuggi; polvere e calcinacci, soldati e pompieri cercano di trarre in salvo le persone rovinate sotto le macerie. Terminato lo sgomento suona l’adunata, il furiere Stilo fa l’appello. Più o meno acciaccati tutti presenti, tutti tranne uno, il soldato Crescenzio Fusciardi che verrà estratto dalle macerie ormai esanime. Quando la cupola crollò, Edmondo e un sacerdote, don Girolamo Merolla, furono travolti dai calcinacci; Edmondo sentendosi venir meno chiamò il compagno di sventura e disse: “Merolla dammi l’assoluzione che san morto”. Il sacerdote lo assolse ed Edmondo tacque per sempre. Dopo un’ora fu estratto dalle macerie; il corpo non presentava gravi lesioni, la morte, quindi, giunse per asfissia.
L’8 gennaio la notizia giunse a Casamari: «Finite le grazie della mensa e recitato l’Angelus in coro ci avviavamo per rientrare nelle nostre celle, quando ecco il Padre Abate che ci viene ad incontrare, e tutto pallido cogli occhi rossi dal pianto ci rimanda in chiesa a reci-tare tre Pater, Ave e Gloria a San Giuseppe … Che era successo mai? Non si poteva sapere niente, solo si sapeva che era giunto un telegramma da Napoli e nient’altro. Quand’ecco alle quattro il Re. mo P. Abate ci dice che il nostro confratello d. Edmondo è morto e ce lo dice con tanto dolore che credavamo quasi impazzisse tanto era il suo smarrimento che non sapeva più quel che si dicesse; e noi altri a tale annunzio restammo quasi di stucco, tutti storditi e balordi, l’uno guardava l’altro, ed in faccia a ciascuno altro non si leggeva che la costernazione”.
Lucio Meglio