I “sette venerdì” e la devozione a Maria S.S.ma Addolorata, espressione viva di pietà popolare

La pietà popolare, dopo il Concilio Vaticano II, è stata guardata con distacco da quanti maturavano una fede intellettuale e impegnata, fondata nello studio della Scrittura e nella cura della liturgia.

In realtà essa si esprime in forme peculiari derivanti dal genio di un popolo e dalla sua cultura”, ed è uno strumento importante per trasmettere e riscoprire alcuni valori della tradizione cristiana e permette di raggiungere anche chi potrebbe rimanere ai margini della vita di fede.

San Paolo VI  definisce la pietà popolarela religione del popolo”, strumento di incontro con Dio in Gesù Cristo.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica parla della pietà popolare come di “un insieme di valori che, con saggezza cristiana, risponde ai grandi interrogativi dell’esistenza. E’ così che unisce, in modo creativo, il divino e l’umano, Cristo e Maria, lo spirito e il corpo, la comunione e l’istituzione, la persona e la comunità, l’intelligenza e il sentimento” (CCC 1676). L’esperienza di fede non può essere ridotta solo ad una religione razionale, perderebbe di forza! La fede ha bisogno di espressioni capaci di coinvolgere la persona nella sua interezza, capace di equilibrare mente, cuore e corpo.

Papa Benedetto XVI affermava che “attraverso la pietà popolare la fede è entrata nel cuore degli uomini, è diventata parte dei suoi sentimenti, delle loro abitudini, del loro sentire e vivere. E’ un grande patrimonio della Chiesa perché attraverso di essa, la fede si è fatta carne e sangue”.

Papa Francesco in Evangeli Gaudium scrive “Ciascuna porzione del popolo di Dio, traducendo nella propria vita il dono di Dio secondo il proprio genio, offre testimonianza alla fede ricevuta e la arricchisce con nuove espressioni che sono eloquenti. Si può dire che il popolo evangelizza sé stesso. Qui riveste importanza la pietà popolare, autentica espressione dell’azione missionaria spontanea del Popolo di Dio. Si tratta di una realtà in permanente sviluppo, dove lo Spirito Santo è il protagonista” (EG 122).

Pertanto esaminare la devozione mariana nella città di Sora non si può ridurre ad un excursus di tipo folcloristico, ma è importante ricordare come questa abbia sostenuto la vita di fede dei nostri padri perché continui a sostenere noi e le future generazioni.

“Maria è sempre lì, accanto a noi, con la sua tenerezza materna” -ha assicurato il Papa nell’udienza di mercoledì scorso- “Le preghiere rivolte a lei non sono vane. Donna del ‘sì’, che ha accolto con prontezza l’invito dell’Angelo, risponde pure alle nostre suppliche, ascolta le nostre voci, anche quelle che rimangono chiuse nel cuore, che non hanno la forza di uscire ma che Dio conosce meglio di noi stessi. Le ascolta come madre. Come e più di ogni buona madre, Maria ci difende nei pericoli, si preoccupa per noi, anche quando noi siamo presi dalle nostre cose e perdiamo il senso del cammino, e mettiamo in pericolo non solo la nostra salute ma la nostra salvezza. Maria è lì, a pregare per noi, a pregare per chi non prega. A pregare con noi, perché? Perché lei è la nostra Madre”.

Questa sicurezza sostiene la quotidianità del nostro vivere e diversi luoghi della città sono divenuti nel tempo punti di riferimento dove nutrire fede e speranza.

La chiesa di Santo Spirito, il Santuario della Madonna delle Grazie, la chiesa di Val Francesca, la Cattedrale dedicata all’Assunta e la chiesa di San Domenico, di Santa Restituta con la tradizione e il culto all’Immacolata, insieme a tanti altri luoghi “periferici” ma non meno significativi, hanno scandito e ritmato percorsi e momenti di spiritualità di un popolo particolarmente devoto a Maria.

La chiesa della Madonna delle Grazie che si erge in alto e domina la città evoca subito nella mente e nel cuore dei sorani la bella tradizione del mese di maggio. Vi  si sale al mattino presto e,” in questo luogo ove spira tanta religiosa aura di pace e di quiete, sentiamo di poterti meglio pregare”, così recita la preghiera, ci si raccoglie  per la celebrazione dell‘ eucaristia e per affidare la propria giornata alla Vergine.

Nella chiesa di Valfrancesca si andava da tempi remoti ad invocare il dono dell’acqua, della pioggia, per i campi e le coltivazioni ai  primi caldi dell’anno.

La Cattedrale e San Domenico ricordate per la “dormitio Mariae” e l’Assunta.

Nella chiesa di Santa Restituta, insieme a tutte le chiese e cappelle di Sora, da tempi immemorabili vive la tradizione della novena dell’Immacolata che termina con l’omaggio floreale a cui partecipa tutta la città.

Espressioni diverse del medesimo senso della fede con cui i fedeli vivono, come battezzati, il loro rapporto con Dio nella quotidianità, il loro affidarsi e intercedere.

Nel passare velocemente in rassegna i diversi luoghi mariani ho saltato la chiesa di Santo Spirito per fermarmi su questo luogo centrale della nostra città. Qui si conserva da diversi secoli l’immagine dell’Addolorata, una volta custodita su un altare laterale, da duecento anni posta sull’altare centrale.

Qui, nel periodo che va dalla fine di febbraio fino a Pasqua, si ripercorrono ogni venerdì “i dolori di Maria”.

Qualcuno si lamentava di una preghiera troppo lunga e verbosa (coroncina dei sette dolori, via crucis, Santa Messa) ma è un popolo che prega e canta, seguendo Maria e mettendosi con Lei alla scuola dell’Amore.

Durante la via crucis si rinnova il canto tradizionale de “la Passione del Signore” canto popolare solennizzato dall’organo monumentale, spesso accompagnato sapientemente dal violino. Colpisce il trasporto e il fervore collettivo dei presenti, che ad ogni stazione della via crucis ripetono come ritornello l’ invocazione “Gesù, Gesù mio bene, stampate nel mio cuor le vostre pene!”.

La pia pratica dei “sette venerdì” culmina nel venerdì dell’Addolorata, nella quinta settimana di quaresima, e prepara il venerdì santo con la grande processione del Cristo morto e dell’Addolorata. E’ un momento di forte emozione e punto di riferimento e di fede per la città di Sora e del circondario.

Con altrettanta solennità si celebra in ogni parrocchia del territorio, anche le più piccole, spesso con differenti sfumature ed espressioni di fede.

San Paolo VI scriveva che “la pietà popolare manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere” e che si trasmette nella quotidianità del vivere.

Nel Venerdì dell’Addolorata il Vescovo ha voluto presiedere l’Eucaristia per unirsi, pur nel contenimento voluto dal rispetto delle norme di questo tempo di pandemia, a questo popolo di figli che guarda a Maria di Nazaret, donna del Si anche sotto la Croce del Figlio.

Commentando la prima lettura dal profeta Geremia (20,10-13) Mons. Antonazzo si è soffermato sull’uomo dei dolori che conosce la tentazione della disperazione.

Riportiamo, di seguito, ampi stralci dell’omelia.

Al terribile buio dell’ora sesta nella quale l’uomo crocifisso ha perso tutto e tutti, si associa l’assordante silenzio di Dio. Gesù è solo! Tormentato soprattutto dall’abbandono del Padre, come tanti uomini e donne che vivono il dramma della malattia e della sofferenza che rende soli.

È terribile quello che Gesù sta umanamente rischiando – continua il Vescovo- la   tentazione   di   dubitare   di   Dio.   Proprio   come   il   primo   Adamo!

L’imprecazione di chi è solo rasenta persino l’offesa: “Gridò a gran voce: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34).

Nel seguito del Salmo 22, l’orante lamenta ancora: “Mio Dio, grido di giorno e non rispondi; di notte, e non c’è tregua per me” (v. 3).

Perché Dio, il Padre, tace, piuttosto che far udire a suo Figlio, soprattutto adesso, la sua voce dalla nube, come nel battesimo presso il fiume Giordano (Mt 3,17), o sul monte della Trasfigurazione (Mt. 17,5)?

Quale terribile arsura deve essere stata l’assenza di parole essenziali! Quale balsamo sulle ferite inflitte dalla malvagità dei nemici! Quale carezza avrebbe potuto essere anche una sola parola del Padre: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento”.

Invece il Padre tace! Il silenzio di Dio rende ancor più atroce l’angoscia: perché è capitato a noi?

 Perché Dio non interviene a salvarci? L’antico grido, che da sempre abita il cuore dell’uomo dinanzi al mistero della sofferenza, è oggi l’unica preghiera possibile.    

È in questi momenti che raggiungiamo l’essenza profonda della nostra fede, quando siamo chiamati a lodare e servire Dio non dentro le consolazioni di una vita tutto sommato agiata, ma quando siamo gettati nell’arsura del deserto e nella notte oscura dell’angoscia, della paura, del dolore e della non comprensione.

Sotto la croce, Maria   avrebbe   voluto   supplire   al   silenzio   del   Padre, potendo   dare consolazione al Figlio con parole vere anche per lei: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento”. Chi più di lei poteva pronunciare questa verità? Nulla di tutto questo.

La Madre decide di non sovrapporre nessuna sua parola al silenzio del Padre, preferendo soffrire, insieme con il Figlio.

Ma non per questo abbandona il Calvario: il suo silenzio sotto la Croce non segna la sua sconfitta ma la sua resilienza spirituale nel tempo della prova. Ecco qui: restare stabili (Stabat nel tempo della prova! )

Maria insegna cosa fare nella desolazione, nel tempo dello sconforto: “Stabat – Stabant: restare ritta”.

Maria ha condiviso fino in fondo la sofferenza del Figlio.

“Quando sei desolato, non fare mai mutamenti – scrive Sant’Ignazio di Loyola. Resta saldo nei propositi che avevi il giorno precedente a tale desolazione, o nella decisione in cui eri nella precedente consolazione. Infatti, mentre in questa ti guida di più lo spirito buono, nella desolazione ti guida quello cattivo, con i consigli del quale non puoi imbroccare nessuna strada giusta (Sant’Ignazio, Esercizi spirituali, n. 318).

Dunque, ha esortato il Vescovo, non abbandonare Colui da cui ti senti abbandonato! Non ti allontanare dalla preghiera, non abbandonare la santa Messa e l’eucarestia, chiedi il perdono e la riconciliazione con il sacramento della confessione.                

“Rimani saldo, ha concluso il Vescovo – in ciò che avevi deciso prima del tempo della tempesta in cui non riesci a vedere nemmeno in che direzione stai andando. Si tratta di un tempo di smarrimento in cui non si vede il fondale della tua vita in cui sono depositati segreti, scelte, ricordi ecc. Ma questo non è sparito, è solo confuso dalle emozioni agitate che non ti permettono più di vedere attraverso l’acqua cristallina.

 Il Signore ti riporterà nella piena luce e nella vera gioia di un giorno nuovo”.

don Mario Santoro

 

 

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