Il venerabile padre Fortunato De Gruttis da Roccavivi – Un martire del confessionale

IL VENERABILE PADRE FORTUNATO DE GRUTTIS DA ROCCAVIVI

UN MARTIRE DEL CONFESSIONALE

di Antonio RUNGI, Passionista

 

Il prossimo 3 marzo 2016 sono esattamente 190 anni dalla nascita di uno dei religiosi passionisti, oggi venerabile, che ha svolto il suo intenso ministero sacerdotale nel confessionale per circa 40 anni.
Nell’anno giubilare della misericordia, la sua esemplare figura di ministro della riconciliazione è particolarmente indicata per quanti, sacerdoti e vescovi sono impegnati nel ministero del sacramento del perdono, ma anche per tutti i fedeli che sono desiderosi di accostarsi al sacramento della confessione in questo tempo di grazia particolare. Padre Fortunato è considerato un vero martire del confessionale, come è stato definito nel decreto per il riconoscimento dell’eroicità delle virtù, in quanto ha svolto il servizio di confessore soprattutto nel Ritiro dei Passionisti di San Sosio Martire in Falvaterra (Fr). Un servizio che copriva praticamente l’intera giornata del religioso, ad eccezione dei pochi momenti per la preghiera comunitaria e della sua partecipazione agli atti comunitari e al breve tempo del riposo notturno.  Padre Fortunato, infatti, passava il suo tempo e viveva la sua vita sacerdotale svolgendo il ministero della riconciliazione e della direzione spirituale. “Confessando, diceva, rendo qualche beneficio alla mia Congregazione a cui altrimenti sarei solo di peso”.

Gli ultimi trentacinque anni della sua esistenza sono caratterizzati dall’apparente monotonia del confessionale, che, in realtà, sono i tempi di grazia vissuti con un delicato e misterioso contatto con le coscienze, che si aprivano a lui nel confessionale. Padre Fortunato, trasparente e dolce icona della paternità di Dio e veicolo prezioso della sua misericordia, ogni giorno, per tanti anni, scrive stupende storie di grazia sulle pagine viventi delle anime.  Ai tantissimi penitenti i accosta con stupore e con delicatezza, incarnando la figura di Gesù “mite e umile di cuore”. Di essi è padre e fratello, pastore e amico. Samaritano sempre pronto a lenire i dolori dei cuori spezzati dal male. E’ sensibile, accogliente, equilibrato, prudente ma soprattutto santo. Solo così si spiega la lunga fila di fedeli davanti al suo confessionale, che si costituiva fin dalle primissime ore del mattino. Pazienti, attendono per ore e ore sospirando il proprio turno. Alcuni anticipano addirittura l’alba per abbreviare il tempo dell’attesa. Spesso vanno via dal confessionale con le lagrime agli occhi. “Cosa dirà mai padre Fortunato a questa gente, per farla piangere così?”, si domandano in molti. Niente di straordinario, ma padre Fortunato ha avuto il dono di far comprendere il mistero del peccato e la bontà di Dio crocifisso per amore e dall’amore. E’ riuscito a scavare negli abissi del cuore risvegliando la nostalgia di Dio. Non è accomodante, non nasconde il male, a volte può sembrare addirittura severo; eppure chi si confessa da lui non lo abbandona più e non ricerca altri confessori.

Dai paesi vicini e lontani, (Falvaterra, Ceprano, San Giovanni Incarico, Pico, Pastena, Isoletta, Fondi e da tanti altri luoghi della Ciociaria) vanno a San Sosio a turno: i penitenti spontaneamente si sono distribuiti lungo i giorni della settimana. Ad inginocchiarsi davanti a lui non è soltanto gente del popolo; arrivano anche suore, religiosi, sacerdoti, vescovi, ma soprattutto fedeli laici. E i frutti di bene sono evidenti. Con la sua direzione spirituale avvia molti alla vita religiosa e sacerdotale, alla responsabilità del matrimonio e della famiglia. A volte non è necessario che i penitenti manifestino i loro peccati, perché è lo stesso Fortunato che ne fa un elenco preciso e completo con evidente stupore degli interessati. Lo vedono confessare sempre rivolto e piegato sul lato destro. Non è sordo all’orecchio sinistro, come pensano alcuni che non riescono a spiegarsi altrimenti quell’atteggiamento. Ve lo costringe la malattia di cui era affetto: artrite reumatica con complicazioni cardiache. Resta così per ore e ore chiuso nel confessionale non certo, comodo e riposante, mentre la fila dei penitenti aumenta sempre più.

Anticipando i tempi esorta alla comunione frequente, addirittura quotidiana anche senza premettere la confessione quando l’amicizia con Dio è solo incrinata e non rotta dal peccato grave. Il suo donarsi ai penitenti non finisce in confessionale: li porta tutti nel cuore e li presenta al Signore nella preghiera. Durante la quale resta sempre in ginocchio nonostante la malattia. Stare immobile in contemplazione estatica gli è del tutto naturale. Per queste ragioni spirituali e sacerdotali, a lui giungevano da ogni parte della vastissima zona della Ciociaria, dove i passionisti erano presenti dal 1748 a Ceccano e nella stessa Falvaterra dal 1751.
Per incontrarlo e per una sua parola salivano dal mare del sud Pontino o scendevano dalle colline della catena degli Aurunci o montagne dell’Abruzzo, dove era nato. Arrivavano da vicino e da lontano. Uomini e donne. Adulti e bambini. Ad ogni ora. Alla spicciolata o in piccoli gruppi organizzati. Ripartivano illuminati e sereni. Un ininterrotto pellegrinaggio di anime in pena durato circa 40 anni nel solo Ritiro di Falvaterra. Padre Fortunato si faceva trovare al solito posto disponibile ad accoglierli come li aspettasse da sempre. Il confessionale testimone e depositario di tante segrete sofferenze e di luminose parole di grazia è ancora nel Santuario di San Sosio Martire e le sue spoglie mortali, a pochi metri, nella stessa chiesa, al lato destro di chi entra nel luogo di culto, meta continua di fedeli che si fermano in preghiera davanti alla sua tomba. Osservare il confessionale di padre Fortunato che è rimasto al suo posto, scorrono davanti agli occhi e dentro il cuore dei pellegini immagini di una vita edificante e ricca di bene. Padre Fortunato erano nato a Roccavivi (Aq) il 3 marzo 1826 da Luigi De Gruttis e Angela Colone. Era il primo di sei figli e lo chiamarono Paolo, rinnovando il nome del nonno paterno. L’infanzia di Paolo trascorse serena nel suo paese natio. A 13 anni il 10 ottobre 1839 riceve la cresima nella vicina chiesa parrocchiale dove è chierichetto da sempre. A 14 entra è già nel seminario diocesano di Sora, dove resterà per tre anni con la chiara idea di diventare prete. Nel marzo del 1842 arrivano a Sora i Passionisti e si stabiliscono in un vecchio convento abitato precedentemente dai Cappuccini. I passionisti, oltre che nella loro chiesa, nel Paese e nella Diocesi di Sora, predicano spesso in seminario, dove è in discernimento vocazionale il giovane seminarista Paolo De Gruttis. Nelle diverse volte che li ascolta, si sente attratto dal loro stile di vita, fatto di solitudine, preghiera e penitenza. Riflette, chiede consigli, implora luce dal Signore. Dopo un corso di esercizi spirituali predicati dal passionista padre Raimondo Scannerini, Paolo vede chiaro il suo futuro e matura definitivamente la decisione: chiede ed ottiene di lasciare il seminario diocesano per entrare tra i Passionisti. Parte, con la benedizione del vescovo e il consenso dei genitori, per il Noviziato dei Passionisti, abbastanza lontano da Sora e dal suo paese natio, soprattutto in quei tempi, per mancanza di mezzi di trasporto e di strade.
Nel giugno del 1843 arriva nel convento di Paliano (Frosinone) dove inizia il noviziato prendendo il nome di Fortunato Maria.  L’anno seguente, il 15 giugno, emette la professione religiosa. Prosegue il cammino verso il sacerdozio nel convento di Ceccano (Frosinone) e successivamente in quello di San Sosio Martire presso Falvaterra (Frosinone), quasi ai confini tra il Regno di Napoli e lo Stato pontificio. Nella formazione intellettuale curata con impegno e profitto ha ottimi maestri; degno di particolare citazione è il confratello padre Gabriele Abisati, teologo al Concilio Vaticano I.

Padre Fortunato è ordinato sacerdote a 22 anni e 10 mesi il 23 dicembre 1848 in un periodo particolarmente incerto e burrascoso per l’Italia che soffre rivoluzioni, spargimento di sangue e vendette politiche. Per questo l’ordinazione avviene nella cappella privata dell’episcopio di Veroli, quasi in clandestinità. La festa è tutta racchiusa nel cuore di Fortunato. Il neo-sacerdote porta all’altare la sofferenza della chiesa perseguitata e del Papa profugo a Gaeta.  Anche i Passionisti sono chiamati a pagare il loro tributo di dolore alla difficile situazione politica. Alcuni loro conventi vengono requisiti e i religiosi ne sono arbitrariamente espulsi. Nei primi anni del suo sacerdozio Fortunato peregrina per varie case religiose soprattutto nel basso Lazio e in Campania: San Salvatore Maggiore, diocesi di Poggio Mirteto nel 1851; Pontecorvo nel 1852; Ceccano nel 1853; Caserta nel 1857; ancora Ceccano nel 1866. Si dedica per quasi 10 anni alla predicazione di missioni popolari e di esercizi spirituali offrendo ovunque l’esempio di sacerdote umile, preparato e zelante. Nel 1857 lascia ogni tipo di predicazione e nel 1869 pianta la tenda a San Sosio dove resterà fino alla morte.
Nei pochi ritagli di tempo libero, comporrà “scritti spirituali” raccolti in un opuscoletto dal titolo “Filagia. Un pensiero per l’anima”. L’operetta, il cui titolo significa “amante della santità”, contiene utili consigli per la vita spirituale e per la meditazione, suggerimenti per offrire a Dio la propria giornata, precisazioni circa i fondamenti della perfezione.

Fortunato esce dal convento solo per visitare qualche malato. Sul finire del 1905 quasi ottantenne la sua malattia si aggrava. Scendendo in chiesa l’ultima volta per le confessioni, ad un’anima che gli chiede un ricordo spirituale da portare con sé dice semplicemente: “Ama Dio, temi Dio”. Era stato il programma e l’insegnamento di tutta la sua vita. La mattina del 4 novembre 1905, dopo la celebrazione della messa, confida al religioso infermiere: “Fratel Antonino, è giunta l’ora di andare in Paradiso”. E poi lo prega caldamente: “Ti raccomando di farmi morire vestito da passionista e di non procurarmi un letto più soffice”.  La sera è colpito da improvvisa paralisi che lo lascia immobile e privo di parola. Non guarirà più.  Muore all’alba del 28 dicembre del 1905, in quel convento di San Sosio, dove per 37 anni consecutivi era stato ministro di grazia e di perdono per innumerevoli anime. Nonostante il pessimo tempo ed i rigori invernali, una folla immensa accorre ai suoi funerali e lo proclama subito “santo”.
Molti di nascosto gli tagliano pezzetti delle vesti per avere un ricordo su cui nei momenti di sconforto e di bisogno posare gli occhi ed confortare il cuore.  Viene sepolto nella cappella costruita nel giardino del convento.

Esumato nel 1926 le sue spoglie mortali riposano nella chiesa di San Sosio vicino a quel confessionale che era stata la sua casa. Anche oggi i fedeli si fermano davanti alla sua tomba a raccontargli i propri problemi, a confidargli le proprie amarezze. E se ne ripartono rasserenati. Fortunato del cielo continua ad ascoltarli e confortarli. La chiesa, riconoscendolo eroico nella pratica delle virtù, lo ho dichiarato venerabile l’11 luglio 1992. E a farlo fu un altro santo, San Giovanni Paolo II, Papa.

La causa di beatificazione è ancora in corso e si spera che in questo anno giubilare della misericordia, Papa Francesco, lo elevi agli onori degli altari con il titolo di Beato, in attesa della tanto auspicata canonizzazione. Il padre Pio dell’Abruzzo, come lo si definisce, continua ad ottenere dal Signore grazie di qualsiasi genere, soprattutto quelle della conversione del cuore. Nell’anno giubilare della misericordia, anche la vita esemplare di questo santo religioso e sacerdote passionista, può dire molto a chi è sinceramente incamminato sulla via del pentimento e del perdono.

Il venerabile padre fortunato de gruttis da roccavivi Un martire del confessionale

Categorie: Modelli di Santità,Tutte Le Notizie