In Gesù Cristo il nuovo umanesimo: USCIRE

Convegno Ecclesiale Nazionale

Firenze 2015

“In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”

sintesi diocesana delle relazioni delle otto zone pastorali

Uscire

La fede in Cristo è salvezza ed è un dono da vivere per comunicare anche agli altri la nostra stessa felicità.  Per questo la Chiesa, necessariamente, non può non essere missionaria, non può non annunciare il Vangelo per promuovere un nuovo umanesimo e “dimostrare che in Cristo l’uomo raggiunge il compimento della sua vocazione e felicità”.  Lo Spirito Santo, scendendo sui discepoli rinchiusi nel Cenacolo dissipò in loro la paura, infondendo in loro la forza di “uscire”, per annunciare Gesù risorto. Oggi i cristiani sembrano chiusi in loro stessi, paurosi o timorosi nel manifestare la loro fede.

L’azione ecclesiale nella sua peculiarità  segue, necessariamente, la sua natura pastorale, volta ad aiutare e formare il popolo di Dio nella sua totalità. Molti fedeli laici prestano la loro azione per animare le funzioni liturgiche, per curare canti, per seguire ed educare i giovani nell’oratorio, per preparare i ragazzi alla Prima Comunione e alla Cresima e per formare sposi cristiani mediante itinerari di preparazione al matrimonio cristiano.

Vengono riconosciuti importanti e formativi i Consigli parrocchiali  pastorali e degli affari economici, perché si ritengono spazi reali per la partecipazione dei laici nella consultazione, nell’organizzazione e nella pianificazione pastorale.

Straordinario, già oggi, nelle nostre realtà ecclesiali  il coinvolgimento dei fedeli laici, che, oltre ad essere stimolati ad un sempre maggiore impegno nella missione  che il Signore affida loro, vengono  seguiti, accompagnati e interpellati dal “pastore” nella ricerca del bene della Chiesa.

«Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16, 15; Mt 18, 20). È Gesù stesso che ci esorta ad aprici all’altro, ad “uscire” dalle nostre case, dalle nostre comodità per dare vita, pieni di entusiasmo, ad un’autentica missione evangelizzatrice. L’incontro con Lui è festa vera solo se vissuto alla luce della condivisione e della fraternità, ma niente di questo si può vivere se rimaniamo chiusi in noi stessi. “Uscire e raggiungere le periferie per diffondere il Vangelo” dice Papa Francesco, rivolgendosi soprattutto ai giovani. Il disfacimento dei valori e lo sgretolamento delle istituzioni, in particolare della famiglia, lasciano un vuoto che, purtroppo, sta favorendo il rafforzamento di un pericoloso pessimismo.  L’unico modo per vincere questa cupa situazione dominata dall’imperante relativismo è abbandonare gli schemi comunicativi tradizionali, nell’intento di dare fondamento al nostro essere credenti, nel segno della più autentica opera evangelizzatrice.

È ora di “uscire” dalle certezze di sempre, sull’esempio di Abramo (Genesi 12,1), e seguire l’esortazione dello stesso Papa Francesco: «Uscite dal vostro nido verso le periferie dell’uomo e della donna di oggi! Perché questo sia possibile, lasciatevi incontrare da Cristo. L’incontro con Lui vi spingerà all’incontro con gli altri e vi porterà verso i più bisognosi, i più poveri».

Ma chi sono oggi i poveri? Non sono solo coloro ai quali la vita ha riservato, purtroppo, un destino segnato da dolori e sofferenze, causati dall’impossibilità di avere beni anche di prima necessità. La povertà connota anche quelle persone che vivono in una condizione di miseria spirituale, dovuta magari ad un distacco dalle regole etiche, religiose e morali.

Papa Francesco, continuando la sua opera, spinge i laici a uscire, a seminare tra la gente; i semi vanno sparsi ovunque, a mani piene, con la gioia e soprattutto con coraggio e tanto amore. Spargere sulle strade larghe e asfaltate, sulle piazze ampie e rumorose, sui veicoli bui e silenziosi, senza precludere a nessun seme la possibilità di germogliare e inebriare con il profumo della carità e della misericordia quegli spazi inospitali, dove dominano individualismo e prevaricazione. In un società in continua evoluzione, tanti sono i problemi che la Chiesa è chiamata ad affrontare. Leggere i segni dei tempi diventa sempre più difficile quando imperano incertezza e confusione. Una riflessione attenta mette in luce il nostro essere cristiani tiepidi, affaticati, stanchi. Se solo riuscissimo ad ascoltare il silenzio, a sceglierlo come nostro compagno di viaggio, la nostra vita potrebbe cambiare: è nel silenzio che si apre la dimensione divina e si entra in contatto con l’Eterno. Oltre le nostre mura domestiche c’è chi brancola nel buio del proprio egoismo, nell’ombra della schiavitù. Chi ha scoperto la bellezza di appartenere a Cristo lo sa: non è la ricerca affannosa dei beni e la conquista di essi a riempire i cuori, ma la certezza dell’amore di Dio, che continua ad amarci, a volerci bene, nonostante le nostre posizioni e la nostra intransigenza.

Chi gode della vocazione sacerdotale deve aver imparato, e deve imparare ogni giorno, a “stare” con Gesù e ad essere un discepolo al servizio dei fratelli, secondo l’esempio del Maestro. E’ vero che tante volte il prete è messo nella situazione di occuparsi delle cose che, normalmente, spetta ad altri di risolverli. Per non essere messo in tale situazioni, per quanto possibile, deve scegliere dei collaboratori con cui dividere i compiti ed il peso della gestione comunitaria. Condividendo le responsabilità con i suoi collaboratori, il prete, alterna i tempi di preghiera, di meditazione, di lettura personale, di celebrazioni, con i tempi di dialogo e d’ incontro con le varie fasce della sua comunità.

Deve essere uomo accogliente, che sa venire incontro alle persone con la sua dolcezza, con la sua affabilità e disponibilità. Lontano da lui la mentalità burocratica. Tutti i preti devono “uscire” da una mentalità del genere. Deve essere uomo di ascolto, specialmente con le persone che soffrono di solitudine, con gli anziani, con i malati. Deve saper curare con amore le ferite. Deve avere il coraggio di sporcarsi le mani. C’è bisogno di preti che siano appassionati dei servizi più umili e che non si vergognino di sporcarsi le mani. Deve essere appassionato di Gesù. Prima di essere al servizio degli altri, il prete deve essere educato, amato, plasmato da Cristo. I fedeli si accorgono quando il prete non prega, non si prepara, non sta bene. Quando il suo vivere è distaccato dal suo predicare e sono stanchi di apparenze e di tante cose di facciata. Le nostre comunità sono chiamate ad uscire da schemi precostituiti a cui si è abituati, ad abbandonare quel “si è sempre fatto così’ che ci lega ad abitudini, tradizioni devozionistiche che non comunicano più nulla ai giovani, alle famiglie, ma soprattutto ai lontani. Gli incontri di catechesi che vengono proposti spesso sono ancora ancorati a schemi scolastici e finalizzati al sacramento. E’ necessario articolare dei percorsi di accompagnamento dei ragazzi per una crescita e maturità di fede che possano stimolare la ricerca personale e spirituale. Anche l’ubicazione delle parrocchie arroccate nei centri storici di paesi quasi disabitati e la mancanza di locali in cui i ragazzi si possano ritrovare, non facilitano la partecipazione e lo spirito di aggregazione. Si ribadisce la necessità di puntare, quindi, ad una pastorale integrata che tenda a mettere insieme le risorse umane e spirituali e progettare linee pastorali comuni alzando lo sguardo dal proprio orticello in un confronto con parrocchie e comunità vicine  per aiutarsi e stimolarsi a vicenda in modo che pur nelle varietà e sfaccettature delle diverse comunità ci si possa sentire parte di un’unica grande famiglia che è la Chiesa.

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