CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
INDICAZIONI ALLE DIOCESI ITALIANE
CIRCA L’ACCOGLIENZA DEI RICHIEDENTI ASILO
E RIFUGIATI
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VADEMECUM
approvato dal Consiglio Permanente
Giubileo della Misericordia: l’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati
Vademecum per le diocesi e le parrocchie
All’Angelus del 6 settembre scorso, il Santo Padre “di fronte alla tragedia di decine di migliaia di profughi che fuggono dalla morte per la guerra e per la fame, e sono in cammino verso una speranza di vita” ci invitava ad essere loro prossimi e “a dare loro una speranza concreta”. Da qui, alla vigilia del Giubileo della Misericordia, l’accorato appello di Papa Francesco “alle parrocchie, alle comunità religiose, ai monasteri e ai santuari di tutta Europa ad esprimere la concretezza del Vangelo e accogliere una famiglia di profughi”.
L’appello del Papa ha trovato già le nostre Chiese in prima fila nel servizio, nella tutela, nell’accompagnamento dei richiedenti asilo e dei rifugiati. Infatti, su circa 95.000 persone migranti – ospitate nei diversi Centri di accoglienza ordinari (CARA) e straordinari (CAS), nonché nel Sistema nazionale di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) – diocesi e parrocchie, famiglie e comunità religiose, accolgono in circa 1600 strutture oltre 22.000 dei migranti.
Consapevole dell’importanza di allargare la rete dell’accoglienza, quale segno di una Chiesa che – come ricorda il Concilio Vaticano II – “cammina con le persone” (G.S. n.40), la Conferenza Episcopale Italiana, ha subito accolto con gratitudine l’appello del Papa, rinnovando la disponibilità a curare le ferite di chi è in fuga con la solidarietà e l’attenzione, riscoprendo la forza liberante delle opere di misericordia corporale e spirituale. Il Sinodo dei Vescovi sulla famiglia sollecita anche a un impegno rinnovato, consapevoli che “le famiglie dei migranti (…) devono poter trovare, dappertutto, nella Chiesa la loro patria. È questo un compito connaturale alla Chiesa, essendo segno di unità nella diversità” (Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n.77).
Per accompagnare le diocesi e le parrocchie in questo cammino con i richiedenti asilo e rifugiati, si è pensato a una sorta di vademecum, che possa aiutare a individuare forme e modalità per ampliare la rete ecclesiale dell’accoglienza a favore delle persone richiedenti asilo e rifugiate che giungono nel nostro Paese, nel rispetto della legislazione presente e in collaborazione con le Istituzioni. Si tratta di un gesto concreto e gratuito, un servizio, segno di accoglienza che si affianca ai molti altri a favore dei poveri (disoccupati, famiglie in difficoltà, anziani soli, minori non accompagnati, diversamente abili, vittime di tratta, senza dimora…) presenti nelle nostre Chiese: un supplemento di umanità, anche per vincere la paura e i pregiudizi. Come si legge nei nostri Orientamenti pastorali decennali Educare alla vita buona del Vangelo, “l’opera educativa deve tener conto di questa situazione e aiutare a superare paure, pregiudizi e diffidenze, promuovendo la mutua conoscenza, il dialogo e la collaborazione” (CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, n. 14).
- Giubileo: riscoprire le opere di misericordia
Il Giubileo, anno della misericordia, ci regala un tempo di grazia, in cui guardare a “quante ferite sono impresse nella carne di tanti che non hanno più voce perché il loro grido si è affievolito e spento a causa dell’indifferenza dei popoli ricchi”, e riscoprire l’attualità delle opere di misericordia corporali e spirituali, così da costruire nuove strade e aprire nuove “porte” di giustizia e di solidarietà, vincendo “la barriera dell’indifferenza”, come ci ricorda il Santo Padre (Misericordiae vultus, n. 15).
- Un gesto concreto: l’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati
Ogni anno giubilare è caratterizzato da gesti di liberazione e di carità. Nel Giubileo del 2000, Giovanni Paolo II invitò a opere di liberazione per le vittime di tratta e nacquero in loro favore molti servizi nelle diocesi e nelle comunità religiose. Così pure tutte le parrocchie italiane furono sollecitate a un gesto di carità e di condivisione per il condono del debito estero di due paesi poveri dell’Africa: la Guinea e lo Zambia. Nell’Anno Santo della misericordia, alla luce di un fenomeno straordinario di migrazioni forzate che, via mare e via terra, sta attraversando il mondo e interessando i paesi europei, il Papa chiede alle parrocchie, alle comunità religiose, ai monasteri, ai santuari il gesto concreto dell’accoglienza di “coloro che fuggono dalla morte per la guerra e per la fame, e sono in cammino verso una speranza di vita”. Questo gesto testimonia come sia “determinante per la Chiesa e per la credibilità del suo annuncio che essa viva e testimoni in prima persona la misericordia” (Misericordiae vultus, n. 12).
- Il percorso di accoglienza
Prima ancora dell’accoglienza concreta è decisivo curare la preparazione della comunità, articolandola in alcune tappe.
- a) Informazione, finalizzata a conoscere chi è in cammino e arriva da noi, valorizzando gli strumenti di ricerca a nostra disposizione (il Rapporto immigrazione, il Rapporto sulla protezione internazionale, altri testi e documenti, schede sui Paesi di provenienza dei richiedenti asilo e rifugiati[1], la stessa esperienza di comunità e persone presenti in Italia e provenienti dai Paesi dei richiedenti asilo e rifugiati).
- b) Formazione, volta a: preparare chi accoglie (parrocchie, associazioni, famiglie) con strumenti adeguati (lettera, incontro comunitario, coinvolgimento delle realtà del territorio…); costruire una piccola équipe di operatori a livello diocesano e di volontari a livello parrocchiale e provvedere alla loro preparazione non solo sul piano sociale, legale e amministrativo, ma anche culturale e pastorale, con attenzione anche alle cause dell’immigrazione forzata. A tale proposito Caritas e Migrantes a livello regionale e diocesano sono invitate a curare percorsi di formazione per operatori ed educatori delle équipe diocesane e parrocchiali.
- Le forme dell’accoglienza
Le Chiese in Italia sono state pronte nell’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati, in collaborazione con le istituzioni pubbliche, adottando uno stile familiare e comunitario. L’azione di carità nei confronti dei migranti è un diritto e un dovere proprio della Chiesa e non costituisce esclusivamente una risposta alle esigenze dello Stato, né è collaterale alla sua azione. Il gesto concreto dell’accoglienza è piuttosto un “segno” che indica il cammino della comunità cristiana nella carità. Per questo, la Diocesi non si impegna a gestire i luoghi di prima accoglienza (CARA, HUB….), né si pone come soggetto diretto nella gestione di esperienze di accoglienza dei migranti.
La Caritas diocesana, in collaborazione con la Migrantes, curerà la circolazione delle informazioni sulle modalità di accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati in parrocchie, famiglie, le comunità religiose, nei santuari e monasteri e raccoglierà le disponibilità all’accoglienza.
La famiglia può essere il luogo adatto per l’accoglienza di una persona della maggiore età[2]. L’USMI e il Movimento per la vita hanno dato la disponibilità della loro rete di case per accogliere le situazioni più fragili, come la donna in gravidanza o la donna sola con i bambini.
Dove accogliere: in alcuni locali della parrocchia o in un appartamento in affitto o in uso gratuito, presso alcune famiglie, in una casa religiosa o monastero, negli spazi legati a un santuario, che spesso tradizionalmente hanno un hospitium o luogo di accoglienza dei pellegrini, acquisite le autorizzazioni canoniche ove prescritte. Pare sconsigliabile il semplice affidamento alle Prefetture di immobili di proprietà di un ente ecclesiastico per l’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati, per la problematicità dell’affidamento a terzi di una struttura ecclesiale senza l’impegno diretto della comunità cristiana.
Chi accogliere. Le categorie di migranti che possono ricevere ospitalità in parrocchia o in altre comunità sono coloro che presentano queste caratteristiche:
- a) una famiglia (preferibilmente);
- b) alcune persone della stessa nazionalità che hanno presentato la domanda d’asilo e sono ospitati in un Centro di accoglienza straordinaria (CAS);
- c) chi ha visto accolta la propria domanda d’asilo e rimane in attesa di entrare in un progetto SPRAR, per un percorso di integrazione sociale nel nostro Paese;
- d) chi ha avuto una forma di protezione internazionale (asilo, protezione sussidiaria e protezione umanitaria), ha già concluso un percorso nello SPRAR e non ha prospettive di inserimento sociale, per favorire un cammino di autonomia[3].
Per i minori non accompagnati, il percorso di accoglienza è attivabile nello SPRAR. Per la delicatezza della tipologia di intervento, in termini giuridici, psicologici, di assistenza sociale, intrinseci alla condizione del minore non accompagnato, il luogo più adatto per la sua accoglienza non è la parrocchia, ma la famiglia affidataria o un ente accreditato come casa famiglia, in conformità alle norme che indicano l’iter e gli strumenti di tutela.
Alla luce del fatto che 2 migranti su 3 nel 2014 e nel 2015, dopo lo sbarco sulle coste, hanno continuato il loro viaggio verso un altro Paese europeo, nei luoghi di arrivo e di transito dei migranti (porti, stazioni ferroviarie in particolare…) potrebbe essere valutato un primo servizio di assistenza in collaborazione con le associazioni di volontariato, i gruppi giovanili, l’apostolato del mare.
I tempi: mediamente il tempo dell’accoglienza varia da sei mesi a un anno per i richiedenti asilo o una forma di protezione internazionale. I tempi possono abbreviarsi per chi desidera continuare il proprio viaggio o raggiungere i familiari o comunità di riferimento in diversi Paesi europei. In questo caso, potrà essere significativo, per quanto possibile, che la parrocchia trovi le forme per mantenere i contatti con i migranti anche durante il viaggio, fino alla destinazione.
- Gli aspetti amministrativi e gestionali dell’accoglienza
L’accoglienza di un richiedente asilo in diocesi, come in parrocchia e in famiglia, ha bisogno di essere preparata e accompagnata, sia nei delicati aspetti umani (sociali, sanitari…) come negli aspetti legali, da un ente (nelle grandi diocesi anche più enti) che curi i rapporti con la Prefettura di competenza. Per questo sembra auspicabile che in Diocesi si individui l’ente capofila dell’accoglienza che abbia le caratteristiche per essere accreditato presso la Prefettura e partecipi ai bandi (una fondazione di carità, una cooperativa di servizi o comunque un braccio operativo della Caritas diocesana o della Migrantes diocesana e non direttamente queste realtà pastorali; oppure un istituto religioso o un’associazione o cooperativa sociale d’ispirazione cristiana…). Questo ente seguirà con una équipe di operatori le pratiche per i documenti (domanda in Commissione asilo, tessera sanitaria, codice fiscale, domiciliazione o residenza nonché eventuale pocket money giornaliero…), i vari problemi amministrativi (come l’agibilità della struttura…) e anche l’eventuale esito negativo della richiesta d’asilo (ricorso, sostegno al viaggio di ritorno per evitare anche la permanenza in un CIE, fino agli eventuali documenti per un rientro come lavoratore migrante, a norma di legge). All’ente capofila, attraverso il coordinamento diocesano affidato alla Caritas o/e alla Migrantes diocesana, arriveranno le richieste di disponibilità dalle diverse realtà ecclesiali (parrocchie, famiglie, case religiose, santuari) e curerà la destinazione delle persone. La parrocchia diventa, pertanto, una delle sedi e dei luoghi distribuiti sul territorio che cura l’ospitalità, aiutando a costruire attorno al piccolo gruppo di migranti o alla famiglia una rete di vicinanza e di solidarietà che si allarga anche alle realtà del territorio. L’impegno accompagna il migrante fino a che riceve la risposta alla sua domanda d’asilo, che gli consentirà di entrare in un progetto SPRAR o di decidere la tappa successiva del suo percorso.
Dal punto di vista dell’accoglienza, si possono riconoscere percorsi diversi, a seconda delle condizioni e sensibilità.
Opzione A: L’ospitalità in parrocchia di un richiedente asilo è un gesto gratuito, ma entra nella convenzione e nel capitolato che un ente gestore (di un CAS o di uno SPRAR) legato alla diocesi concorda con la Prefettura. La parrocchia sarà una delle strutture di ospitalità.
Opzione B: la parrocchia che ospita un richiedente asilo riceverà un rimborso per l’accoglienza dall’ente gestore capofila, che entra come specifica voce nel bilancio parrocchiale.
Opzione C: la parrocchia ospita gratuitamente, senza accedere ai fondi pubblici, chi esce dal CAS o dallo SPRAR. In tal caso non è necessario richiamare il ruolo delle Prefetture né le relative convenzioni, né prevedere un ente gestore. Infatti, si tratterebbe di attivare un sistema di accoglienza successivo a quello oggi in capo ai Centri di Accoglienza Straordinaria e allo SPRAR. È sufficiente che una Caritas o/e una Migrantes diocesana, meglio se avvalendosi di enti gestori dove sono stati ospitati i richiedenti asilo, raccolga la disponibilità all’accoglienza e la faccia incrociare con l’esigenza di alloggio e sostegno di chi esce dai CAS o da uno SPRAR.
- Gli aspetti fiscali e assicurativi
Le strutture o i locali di ospitalità in parrocchia devono essere a norma e la parrocchia deve prevedere l’assicurazione per la responsabilità civile. Se l’attività di accoglienza si svolge con caratteristiche che ai sensi della normativa vigente sono considerate commerciali si applica il regime generale previsto per tali forme di attività.
- Nel riconoscimento del diritto di rimanere nella propria terra
L’accoglienza non può far dimenticare le cause del cammino e della fuga dei migranti che arrivano nelle nostre comunità: dalla guerra alla fame, dai disastri ambientali alle persecuzioni religiose. Giovanni Paolo II, seguendo il magistero sociale della Chiesa, ha ricordato che “diritto primario dell’uomo è di vivere nella propria patria: diritto che però diventa effettivo solo se si tengono costantemente sotto controllo i fattori che spingono all’emigrazione” (Discorso al IV Congresso mondiale delle Migrazioni, 1998). Da qui l’impegno a valorizzare le esperienze di cooperazione internazionale e di cooperazione missionaria, attraverso le proposte di Caritas Italiana e di Missio, della FOCSIV e della rete dei missionari presenti nelle diverse nazioni di provenienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati. Nell’anno giubilare le Chiese in Italia si impegneranno a sostenere 1000 microrealizzazioni nei Paesi di provenienza dei migranti in fuga da guerre, fame, disastri ambientali, persecuzioni politiche e religiose.
- Monitoraggio, verifica e informazione
L’esperienza di accoglienza chiede un monitoraggio in ogni diocesi e anche la cura dell’informazione sulle esperienze in atto. A livello nazionale è istituito presso la Segreteria generale della CEI un Tavolo di monitoraggio dell’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati a cui partecipano la Fondazione Migrantes, Caritas Italiana, Missio, USMI, CISM, Movimento per la Vita, Centro Astalli, l’Associazione Papa Giovanni XXIII, l’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali, l’Ufficio Nazionale per i problemi giuridici, l’Ufficio Nazionale per apostolato del mare, l’Osservatorio Giuridico Legislativo della CEI, valorizzando le diverse competenze delle singole realtà coinvolte. Il Tavolo nazionale di monitoraggio prevederà incontri periodici con i Ministeri competenti. A livello nazionale, l’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali della CEI predisporrà strumenti di raccolta dati e di esperienze, che possano mettere in comune il cammino e le esperienze di accoglienza nelle diocesi.
- Verifiche
La Commissione Episcopale per le migrazioni prevederà un incontro annuale con il Tavolo nazionale di monitoraggio per una verifica, così da preparare una relazione sulla situazione da presentare durante i lavori dell’Assemblea generale dei vescovi.
- Eventuali contributi
La CEI valuterà se e come assegnare un eventuale contributo alle diocesi, particolarmente bisognose, che hanno dovuto adeguare alcuni ambienti per renderli funzionali e idonei all’accoglienza.
Roma, 13 ottobre 2015
Glossario
Convenzione di Ginevra
La Convenzione di Ginevra sullo Statuto dei Rifugiati, documento delle Nazioni Unite presentato all’Assemblea Generale nel 1951 e attualmente sottoscritto da 144 Paesi, rimane ancora oggi un elemento cardine del diritto internazionale in materia d’asilo. Contiene la definizione di rifugiato che è in uso nella maggior parte dei Paesi e sancisce il principio di non refoulement (non respingimento) che vieta agli Stati firmatari di espellere o respingere alla frontiera richiedenti asilo e rifugiati.
Richiedente asilo
Colui che, trovandosi al di fuori dei confini del proprio Paese, presenta in un altro Stato domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato. Tale iter concede un permesso di soggiorno regolare per motivi di domanda d’asilo che scade con lo scadere dell’iter stesso. La procedura di vaglio della domanda d’asilo può portare al riconoscimento di uno status di protezione internazionale (status di rifugiato, protezione sussidiaria, protezione umanitaria) o al suo rifiuto.
Rifugiato
Si configura come rifugiato la persona alla quale è stato riconosciuto lo status di rifugiato politico in base ai requisiti stabiliti dalla convenzione di Ginevra del 1951, cioè a colui che «nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le suo opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato». Tale riconoscimento produce un permesso di soggiorno della durata di 5 anni, rinnovabile alla scadenza.
Titolare protezione sussidiaria
Si configura come beneficiario di protezione sussidiaria colui che pur non rientrando nella definizione di rifugiato ai sensi della convenzione di Ginevra necessita di una forma di protezione internazionale perché in caso di rimpatrio, nel paese di provenienza, sarebbe in serio pericolo a causa di conflitti armati, violenza generalizzata o per situazioni di violazioni massicce dei diritti umani. Il riconoscimento di protezione sussidiaria prevede un il rilascio permesso di soggiorno della durata di 5 anni, rinnovabile.
Protezione internazionale
Nel contesto dell’Unione Europea comprende lo status dir rifugiato e quello della protezione sussidiaria.
Titolare protezione umanitaria
Viene rilasciato un permesso di protezione umanitaria, della durata di 1 anno, rinnovabile, a chi, pur non rientrando nelle categorie sopra elencate, viene reputato come soggetto a rischio per gravi motivi di carattere umanitario in caso di rimpatrio. Tale riconoscimento è rilasciato dalle questure su proposta delle Commissioni Territoriali.
Sfollato
Si configura come sfollato la persona o il gruppo di persone che sono state costrette a fuggire dal proprio luogo di residenza abituale, soprattutto in seguito a situazioni di conflitto armato, di violenza generalizzata, di violazioni dei diritti umani o di disastri umanitari e ambientali e che non hanno attraversato confini internazionali. In inglese il follato è definito internally displaced persons (Idps).
Profugo
Termine generico che indica chi lascia il proprio paese a causa di guerre, invasioni, persecuzioni o catastrofi naturali.
Migrante Irregolare
Un migrante irregolare, comunemente definito come “clandestino”, è colui che:
- a) ha fatto ingresso eludendo i controlli di frontiera nazionali;
- b) è entrato regolarmente nel paese di destinazione, ad esempio con un visto turistico, e vi è rimasto dopo la scadenza del visto d’ingresso;
- c) benché oggetto di un provvedimento di allontanamento non ha lasciato il territorio del paese che ha decretato il provvedimento stesso.
Apolide
Un apolide è colui che non possiede la cittadinanza di nessuno stato. Si è apolidi per origine quando non si è mai goduto dei diritti e non si è mai stati sottoposti ai doveri di nessuno Stato. Si diventa apolidi per derivazione a causa di varie ragioni conseguenti alla perdita di una pregressa cittadinanza e alla mancata acquisizione contestuale di una nuova.
Le ragioni possono essere:
- a) annullamento della cittadinanza da parte dello Stato per ragioni etniche, di sicurezza o altro;
- b) perdita di privilegi acquisiti in precedenza – come per esempio la cittadinanza acquisita tramite matrimonio;
- c) rinuncia volontaria alla cittadinanza.
Rimpatriato
Si configura come rimpatriato colui che, titolare di una protezione internazionale, decide spontaneamente di fare ritorno nel paese di provenienza. Secondo la convenzione dell’organizzazione dell’unità africana (OUA) il paese di asilo deve adottare le misure appropriate per porre in essere le condizioni di sicurezza per il ritorno del rifugiato. Nessun rifugiato può essere rimpatriato contro la sua volontà.
UNHCR e UNRWA
Con questi due acronimi ci si riferisce a due agenzie delle Nazioni Unite che lavorano rispettivamente per i rifugiati. La prima ha un taglio più ampio, è infatti l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (United Nations High Commissioner for Refugees – Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati). Fu creata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1950 e di fatto, incominciò ad operare il 1° gennaio 1951. La seconda è l’agenzia delle Nazioni Unite creata specificatamente per i rifugiati palestinesi nel 1948 (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East – Agenzia per il soccorso e l’occupazione).
I centri
CPSA (Centri di Primo Soccorso e Accoglienza), CDA (Centri Di Accoglienza) CARA (Centri di Accoglienza Richiedenti Asilo), CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione). In particolare, i CARA sono strutture per richiedenti asilo che arrivino in Italia privi di documenti di identificazione, dove i richiedenti dovrebbero essere ospitati per un massimo di 20 giorni (in caso di assenza di documenti) o 35 giorni (in caso di tentata elusione dei controlli alla frontiera) per consentire l’identificazione e l’avvio delle procedure di riconoscimento dello status. Istituiti nel 2008 in sostituzione dei CID (Centri di Identificazione), dovrebbero essere sostituiti dagli Hub Regionali. I CAS (centri di accoglienza straordinaria) hanno cominciato ad essere istituiti alla fine del 2013 e prevedono degli accordi tra le Prefetture e associazioni o privati cittadini per la gestione di posti di accoglienza assegnati in base ad un bando o direttamente.
SPRAR
Acronimo di Sistema di Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati. Creato nel 2001 sulla base di un progetto del Programma Nazionale Asilo (PNA) è un sistema formato dagli enti locali italiani che mettono volontariamente a disposizione servizi legati all’accoglienza, all’integrazione e alla protezione dei richiedenti asilo e rifugiati. Il fine del sistema è di garantire un percorso di accoglienza integrata: il superamento della semplice distribuzione di vitto e alloggio per il raggiungimento della costruzione di percorsi individuali di inserimento socio economico.
ENA
Acronimo di Emergenza Nord Africa: stato di emergenza umanitaria dichiarato a febbraio 2011 per l’arrivo di persone in fuga dall’Africa settentrionale. Ha creato a un percorso di ricezione e accoglienza parallelo, che è stato chiuso a fine febbraio 2013.
Commissione Territoriale
Per commissione territoriale si intende un organismo, nominato con decreto dal presidente del Consiglio dei ministri, composto da quattro membri (un rappresentante della prefettura con funzione di presidente, un funzionario della polizia di Stato, un rappresentante di un ente territoriale e un rappresentante dell’Unhcr) che ha il ruolo di esaminare, valutare e decidere circa le domande di asilo presentate presso le questure italiane. Lo strumento utilizzato per tali valutazioni è l’audizione cioè un colloquio personale fra i membri della commissione e il richiedente asilo. La commissione a seguito dell’audizione può decidere di: a) riconoscere lo status di rifugiato politico, di protezione sussidiaria o di protezione umanitaria b) non riconoscere tali status e quindi rigettare la domanda per manifesta infondatezza.
Regolamento Dublino
Convenzione europea, stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame della domanda d’asilo presentata in uno degli Stati dell’Unione. In linea generale, il regolamento prevede che l’esame della domanda d’asilo sia di competenza del primo Paese dell’Unione in cui il richiedente asilo abbia fatto ingresso. Stilato nel 1990 è stato modificato e aggiornato nel 2003 (Dublino II). Una nuova versione è stata pubblicata nel 2013 ed è effettiva dal 1° gennaio 2014 (Dublino III).
I casi soggetti al Regolamento Dublino
Si configurano come casi soggetti alla procedura Dublino le sospensioni degli esami delle domande di asilo di coloro che avendo fatto domanda di asilo in un paese dell’area Schengen, senza averne il diritto legittimo, vengono reputati di competenza di un altro paese di detta area secondo il testo del regolamento Dublino III. Una volta determinata la natura Dublino il richiedente viene trasferito nel paese competente.
Eurodac
Il termine indica l’European Dactyloscopie, cioè il database europeo con sede a Lussemburgo per il confronto delle impronte digitali che rende possibile l’applicazione della convenzione di Dublino.
Frontex
Frontex è il nome dell’agenzia europea per il coordinamento della cooperazione fra i paesi membri in tema di sicurezza delle frontiere. Questa agenzia, diventata operativa nel 2005 con sede a Varsavia, è il risultato di un compromesso tra i detentori della comunitarizzazione della sorveglianza delle frontiere esterne e gli Stati membri, preoccupati di conservare le proprie prerogative sovrane in questo ambito. Infatti il consiglio di amministrazione di Frontex è composto da un rappresentante di ciascun Stato membro e da due rappresentanti della Commissione Europea. Le attribuzioni di Frontex sono molteplici, la più mediatizzata è il coordinamento delle operazioni di controllo della frontiera esterna dell’UE nei punti ritenuti particolarmente “a rischio” in termini di migrazione.
Mare Nostrum
L’operazione militare ed umanitaria voluta dal governo italiano a partire dall’ottobre 2013 (poco prima c’era stato un naufragio dove avevano perso la vita più di 300 persone) e durata sino a novembre del 2014 nel mar mediterraneo meridionale che ha avuto come mandato la duplice missione sia di salvare la vita di chi si trovava in pericolo in quel pezzo di mare sia di provare ad identificare e fermare i trafficanti umani.
Triton
ha sostituito nel novembre del 2014 l’operazione Mare Nostrum ed essendo sotto la direzione di Frontex aveva inizialmente un mandato di sicurezza cioè doveva coordinare le operazioni di controllo dell’immigrazione irregolare alle frontiere marittime esterne del mediterraneo, solo nel maggio 2015 (dopo un grande naufragio dove hanno perso la vita quasi 800 persone) il suo mandato e il suo raggio di azione si sono ampliati includendo la salvaguardia delle vite in mare in pericolo e agendo sino a 138 miglia dalle coste.
[1] Si segnalano a questo riguardo il Rapporto immigrazione curato annualmente da Caritas Italiana e Fondazione Migrantes, il Rapporto sulla protezione internazionale sempre curato da Caritas Italiana e Fondazione Migrantes in collaborazione con l’ANCI, Cittalia, SPRAR e l’UNHCR e le schede dei paesi di provenienza dei richiedenti asilo, curate dall’Osservatorio permanente sui rifugiati (www.viedifuga.org), in allegato.
[2] È possibile valorizzare in diocesi il progetto “Rifugiato a casa mia” di Caritas Italiana (www.caritas.it), nonché l’esperienza del “rifugio diffuso” attiva, dal 2009, a Torino in cui è coinvolto l’Ufficio Pastorale Migranti di Torino o il progetto di accoglienza in famiglia in provincia di Parma (le esperienze di Torino e Parma sono anche i due progetti che al momento sono finanziati all’interno dello SPRAR e da cui si potrebbero ricavare le linee guida) e anche le esperienze di autogestione degli spazi, come si sta provando a fare nella Diocesi di Torino.
[3] A questo proposito si segnala l’esperienza dei gesuiti del Centro Astalli di Roma (www.centroastalli.it).