- Raccontaci di te..come ti chiami, quanti anni hai, dove vivi, che lavoro fai, i tuoi hobby
Mi chiamo Maria Caterina De Blasis, all’anagrafe ho 30 anni, ma non diciamolo in giro! Sono di Civitella Roveto (AQ), abruzzese doc. Sono laureata al Corso di Laurea Magistrale in Filosofia e collaboro con un quotidiano online di Avezzano. Essere una “precaria” del mondo del lavoro, mi permette di impegnarmi a fondo in quello dell’associazionismo. Sono vicepresidente de “Il Liri”, un’Associazione con cui organizziamo manifestazioni di carattere socio-culturale, curiamo e pubblichiamo libri di storia locale. Amo leggere e viaggiare.
- Qual è il tuo ruolo in diocesi, da quanti anni rivesti questo incarico
Da poco più di un anno, insieme a Don Silvano Casciotti, sono responsabile del servizio di Pastorale Giovanile per la Valle Roveto. Faccio inoltre parte del fantastico gruppo di Pastorale Digitale.
- Raccontaci della tua esperienza di incontro con Dio
Non saprei risalire al momento preciso in cui è avvenuto questo incontro speciale. È stata più che altro una conoscenza nata piano piano, grazie all’educazione ricevuta in famiglia. Una “frequentazione” che però, con gli anni, è cresciuta sempre più, divenendo consapevole e voluta, non solo ricevuta.
- Quali le difficoltà più grandi che hai incontrato durante questo periodo e come le hai superate?
Ringrazio ogni giorno il Signore perché sulla mia strada non ci sono stati ostacoli insormontabili, sebbene più di una volta mi sia capitato di trovarmi di fronte a qualche inciampo. La Sua protezione e il Suo essere costante compagno di viaggio, però, mi hanno aiutato a rialzarmi e a continuare il cammino, anche se con le “ginocchia sbucciate”.
- Che prospettive si aprono oggi alla luce dell’unità pastorale
Una famiglia che si ingrandisce è sempre una buona notizia. La condivisone di diverse esperienze, tutte comunque indirizzate verso lo stesso unico scopo, ci permetterà senz’altro di crescere. Perché è solo con il confronto e con la comunione che possiamo migliorare, aprendoci alla vita degli altri.
- Le trasformazioni in seno alla famiglia stanno prendendo sempre più piede nella nostra società moderna. Cosa pensi di questi cambiamenti, quali le possibilità che potrebbero aprirsi con il convegno CEI di Novembre: ‘In Gesù Cristo il nuovo Umanesimo’?
La famiglia è la cellula fondamentale della società, scuola e palestra di vita. L’atmosfera che si respira in casa sin da bambini forma il carattere e rappresenta quel filo che, sebbene a volte sembri invisibile, invece non ci abbandonerà mai. È per questo che ne va difeso il ruolo. Penso anche, però, che la Chiesa debba saper raccogliere la sfida della frammentarietà di un mondo che cambia. Anche le pagine del Vangelo ci raccontano di difficoltà e società differenti, eppure la vita di Gesù è stata un abbraccio inclusivo. Anche nei Suoi moniti, le dita non erano mai puntate per il giudizio, ma, al contrario, si alzavano per indicare la strada su cui incamminarsi. Credo quindi sia un errore pensare che la “modernità” o il cambiamento tout court abbiano portato l’uomo a sbagliare. Un errore che rischia di farci guardare solamente al passato e farci perdere, così, tutte le possibilità che si potranno aprire davanti a noi nel futuro.
Anche in quest’ottica, il convegno della Cei sarà senz’altro un importante momento che permetterà di superare la “disumanizzazione”, leggere, come dice spesso Papa Francesco, i segni dei tempi e portare la Buona Novella alle donne e agli uomini del terzo millennio.
- Alla luce della tragedia di Parigi, come percepisci la possibilità di vedere in futuro la pacifica convivenza di religioni ed etnie differenti? Una sorta di melting pot (un “crogiuolo di razze”) in cui può perdersi l’identità cristiana?
Credo che l’attentato di Parigi non metta in pericolo la pacifica convivenza di religioni ed etnie differenti che è indubbiamente una necessità, un’impellente ed indiscussa necessità. Rifiuto, infatti, l’idea di un delitto consumato in nome di Dio. Forse sbaglio, ma, secondo me, bisogna andare molto più a fondo. La tragedia che ha colpito la Francia ci ha comunque ricordato, perché forse troppo spesso ce ne dimentichiamo, dell’esistenza della malvagità, della brutalità, della barbarie. Spetta ad ognuno di noi il compito di impegnarsi per la costruzione di una società più giusta e, quindi, orientata al bene, che superi le paure e parli realmente e concretamente di pace.
Per quanto riguarda l’identità cristiana, penso che questa non si perderà finché ci sarà anche una sola donna o un solo uomo che, in qualsiasi angolo della terra, parlerà di Cristo o leggerà la Sua Parola. Certo, fa male sapere che, in diverse Nazioni, la vita di molti cristiani sia in continuo pericolo. Anche in questo caso non possiamo chiudere gli occhi o voltare la testa, ma dobbiamo continuare a difendere la nostra identità cristiana e quella dei nostri fratelli in Cristo.
- Si può pensare ad una interazione giovanile che consideri la difficile situazione lavorativa e si metta in moto un accordo attraverso fondi con chi uscito dall’università con una laurea non sappia dove è come lavorare? Parliamo anche di immigrati e delle connessioni lavorative con l’estero.. ci possono essere possibilità?
Non solo si può, ma si deve pensare alla creazione di strumenti e opportunità che aiutino i giovani ad affrontare la questione occupazionale, sempre più drammatica. Purtroppo in tanti hanno la bocca piena di “spazio ai giovani”, ma sono pochi quelli che, nella realtà, si spostano per fare spazio. Chiunque abbia a che fare con i giovani, dovrebbe fare un esame di coscienza e vedere se alle belle parole che ama pronunciare corrispondano poi fatti concreti.
- La diocesi ora conta ancora più fabbriche e aziende, è auspicabile una pastorale del lavoro?
Certo. Rappresenterebbe un altro importante momento per affrontare, con lo spirito del Vangelo, le questioni legate al mondo del lavoro. Uno spazio fondamentale per riportare in primo piano la dignità, il rispetto, la stabilità, l’equità, la responsabilità, l’uomo.