La donne sorane “insorgono” contro il vescovo al grido di Viva San Ciro

4 febbraio 1962

La donne sorane “insorgono” contro il vescovo al grido di Viva San Ciro

Domenica 31 gennaio la città di Sora festeggia uno dei suoi santi più amati: san Ciro medico e martire. Il santo è venerato nella chiesa a lui dedicata, assieme alla martire Restituta, che sorge nella contrada “Trecce”, sul luogo dove secondo la tradizione la patrona di Sora lasciò i segni dei suoi capelli mentre veniva condotta al martirio. La chiesa nel suo stato attuale fu edificata nel secolo XVIII per interessamento di don Tommaso Magnone. Non vi sono attestazioni ufficiali circa la nascita della devozione dei sorani a san Ciro; le prime notizie della sua statua sono di metà Ottocento quando la troviamo nell’elenco dei santi che nel 1866 prendevano parte alla processione della Maonna Ranna. È certo comunque che per tutto il Novecento il culto a questo santo si è contraddistinto come uno dei principali presenti in città.

A dimostrazione di ciò riportiamo un singolare episodio, accaduto nel febbraio del 1962 e riportato anche nelle cronache nazionali dei quotidiani Il Messaggero e Paese Sera, che vide protagoniste alcune donne in aperto “conflitto” con il vescovo del tempo mons. Biagio Musto. Motivo del contendere la processione di san Ciro. Il racconto ci viene presentato da Giovanni Musolino in un documento conservato nell’Archivio Storico Diocesano di Sora.

Una premessa: l’8 aprile del 1961 il vescovo Musto convocò l’assemblea dei parroci di Sora per discutere ed approvare il Nuovo ordinamento per la disciplina delle processioni religiose e per i cortei funebri nella città di Sora. Il provvedimento si rese necessario per far seguito alle disposizioni liturgiche introdotte dal Santo Padre con il Motu Proprio: Rubricarum Instructum del 25 luglio 1960, con il quale si invitavano le Diocesi italiane a riorganizzare con maggiore dignità le festività religiose. Nel nuovo regolamento diocesano si modificarono non solo i tragitti di molte processioni cittadine ma ne vennero abolite anche alcune come quella di Tutti i Santi (Maonna Ranna) che si svolgeva il martedì dopo Pentecoste.

Anche la processione di san Ciro subì delle modifiche: nel regolamento si stabilì che essa doveva percorrere solo le vie della contrada senza oltrepassare il casello ferroviario e senza violare i confini delle parrocchie di san Bartolomeo e di Carnello. La nuova disposizione causò un fermento tra gli abitanti della contrada che il 15 gennaio 1962 fecero appello al vescovo per ottenere che la processione di san Ciro, in programma per domenica 4 febbraio, ripercorresse l’itinerario tradizionale perché tutti i cittadini di Sora, specialmente i malati dell’Ospedale, desideravano la benedizione del santo. La richiesta fu esaminata dai parroci di Sora, riuniti nella sala capitolare della Cattedrale il 17 gennaio. In rappresentanza del parroco di san Bartolomeo don Pasquale Tatangelo, partecipò il cappellano delle Trecce don Angelo Mammone. I presenti diedero tutti parere negativo richiamandosi al decreto del vescovo, eccetto don Angelo che non voleva assumersi la responsabilità di una sommossa di popolo. La commissione parrocchiale ed il cappellano, non avendo ottenuto il permesso, decisero come protesta pacifica di rinunciare alla processione. Fu annullata la festa, disdetta la musica, non si allestì l’illuminazione e lo stendardo del santo con le stanghe della bara processionale furono nascoste. La mattina del 4 febbraio, giorno della festa, verso le ore 8.00 del mattino una trentina di donne si recarono in sacrestia e chiesero al cappellano un biglietto di presentazione per poter essere ricevute dal vescovo. Al suo rifiuto cominciarono a suonare le campane per radunare la popolazione. Trovate le stanghe processionali, le infilarono al di sotto della statua per portarla in processione. A quel punto dovettero intervenire i carabinieri con tre camionette affrontando la furia delle donne. Scoppiò un tafferuglio generale che fece cedere la balaustra superiore della bara processionale minacciando la caduta della statua di san Ciro. Con molti sforzi le donne furono allontanate dalla chiesa ma, poiché insistevano per fare la processione, il capitano dei carabinieri si recò dal vescovo per esporgli la situazione e sentire se, per evitare ulteriori tumulti, era disposto a permettere che si svolgesse la processione. Mons. Musto diede parere favorevole a patto che il cappellano accompagnasse il corteo e che lo stesso non oltrepassasse il passaggio ferroviario. Al grido di Viva San Ciro dopo circa un’ora e mezza di contrasti, la processione si mosse con la statua portata a spalla dalle donne. Al passaggio a livello il sacerdote si ritirò conforme agli ordini ricevuti ma la processione continuò seguendo l’itinerario tradizionale. Il vescovo Biagio Musto il 7 febbraio interdisse la chiesa per le irriverenze commesse nel luogo sacro e per l’infrazione delle leggi liturgiche che proibivano alle donne di portare in processione le statue dei santi. Altro motivo dell’interdetto fu che la processione continuò senza sacerdote seguendo un itinerario non autorizzato. Il 24 febbraio la Curia comunicò all’Arciprete di san Bartolomeo don Pasquale Tatangelo che il vescovo riteneva decaduta la commissione incaricata per l’amministrazione della chiesa di san Ciro e santa Restituta alle Trecce. Lo stesso Arciprete fu invitato a prendere in consegna le chiavi, i registri ed il denaro custodito dagli amministratori. Il decreto d’interdetto fu revocato il 21 aprile del 1962. Era la terza volta che in meno di un anno si verificavano dei disordini nelle processioni dopo l’ordinamento disposto dal vescovo. Altri fatti gravi erano accaduti durante le processioni di Sant’Antonio di Padova e di San Rocco, le quali uscirono anche loro dai confini parrocchiali.

Fonti:

Meglio Lucio, Rea Romina, Il culto della Madonna e dei Santi nella città di Sora. Chiese, cappelle, oratori privati ed edicole votive, Sora, 2012, pp.175-179.

Lucio Meglio

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