Le mie pecore ascoltano la mia voce ed io le conosco

IV Domenica di Pasqua Anno C

L’immagine del Buon Pastore è la più antica nell’iconografia cristiana per rappresentare Gesù, il Signore, il Dio del Cielo e della terra fatto uomo per noi.

Prima ancora del Crocifisso l’immagine del Buon Pastore che porta sulle spalle la pecorella smarrita è raffigurato nelle catacombe cristiane come segno di consolazione e speranza in un tempo devastato dall’odio e dalle persecuzioni violente contro i cristiani che spesso coronavano la loro vita con il martirio.

La pecorella sulle spalle del Pastore era il simbolo del dolce trapasso dalle sofferenze di questa vita al futuro di vita eterna, i pascoli erbosi e le acque tranquille, di cui parla il salmo 22 che universalmente i cristiani ricollegano al Regno eterno ed universale di Cristo, perché anche Cristo, nel capitolo 10 di Giovanni, si definisce il Buon Pastore.

L’appartenenza al Buon Pastore non è però automatica. Non basta essere creati da Lui per essere sue pecore. Gesù usa due verbi per definire l’attività delle “sue” pecore, per definire l’appartenenza a Lui: ascoltare e seguire. Le mie pecore ascoltano la mia voce ed io le conosco.

L’ascolto è indispensabile per il seguace di Cristo. Ascoltare significa meditare profondamente, obbedire, “conoscere”, in senso biblico, cioè avere un’esperienza interiore di Gesù. Ed, infatti, Gesù aggiunge: Io le conosco.  La Vergine Immacolata si schermisce all’annuncio dell’angelo perché dice: Non conosco uomo (Lc 1, 34). E’ sottinteso che conosce solo Dio e la sua grazia, per questo è Piena di grazia (Lc 1, 28).

Gesù vuole essere conosciuto e conoscerci con la stessa intensità d’amore con cui la Vergine Immacolata conobbe la grazia di Dio, in modo da diventare Vergine per sempre, sempre disposta ad ogni mozione dello Spirito ed al piano divino.

Il non conoscerlo ci lega inevitabilmente a realtà inferiori a Cristo. Vogliamo “conoscere” tutto, fare esperienze, fare viaggi, vedere il mondo intero, ma ci sfugge l’unico necessario, l’unico che vuole interamente farsi conoscere da noi e per mezzo della sua conoscenza donarci la Vita eterna, la vita che era al principio, la vita che non ha fine.

L’uomo è assetato di questo bene sommo ma non sa dove cercarlo. Spesso lo cerca nelle creature o in cisterne screpolate che non tengono acqua (Ger 2, 13).

Sono le nostre passioni più basse o anche i desideri più nobili di avere scienza o di essere disponibili al prossimo o di realizzare una famiglia. Tutto ciò è nulla però senza Cristo Risorto, senza la sua grazia che sostiene immancabilmente i passi dell’uomo.

Il conoscere Gesù è indispensabile per realizzare completamente la propria esistenza. Pietro prima della Risurrezione e della discesa dello Spirito Santo nella Pentecoste mostra di non aver mai conosciuto veramente Gesù, nonostante il cammino che aveva fatto con Lui: Non conosco quell’uomo! (Mt 26, 72). Proprio nel momento più intenso dell’esperienza umana di Gesù, cioè nel tempo della sua passione e morte, Pietro, il primo discepolo, non conosce più il suo Maestro.

Viceversa Paolo di Tarso, dopo la sua drammatica esperienza con Gesù Risorto che lo getta da cavallo e lo rende cieco (Cf. At 9, 4-8), può dire dopo il suo lungo percorso di conversione: Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto. (1Cor 13, 12).

La speranza di Paolo è la conoscenza perfetta del Signore. Per far questo però bisogna anche conoscersi e farsi conoscere da Lui. Farlo entrare nella nostra vita perché la trasformi a sua immagine e somiglianza. Ora la conoscenza può essere solo imperfetta, come attraverso uno specchio deformato. Ma un giorno vedremo faccia a faccia, conosceremo Dio così come Egli è: Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è (1Gv 3,2.)

La conoscenza significa anche umiltà, sincerità, silenzio interiore, desiderio intimo di Dio, stare con lui, con la sua parola, leggerla e meditarla spesso per arrivare il più possibile vicino al suo cuore. Conoscere significa amare i segni meravigliosi che Gesù ci ha lasciato della sua presenza: in primis la santissima Eucaristia, fonte di grazia per tutto il genere umano. Adorarla, intrattenersi con Lui, lì nascosto, perdere apparentemente tempo con Lui in realtà è l’attività più nobile e fruttifera che l’uomo possa fare sulla terra.

Da ciò, infatti, nasce la sequela. L’uomo deve essere mosso dallo Spirito (Mc 12, 36; Lc 2, 27). Esse (le mie pecore) mi seguono. Seguire significa obbedire agli impulsi della grazia che Dio ha donato al nostro cuore. Coloro che hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’Agnello, cioè che si sono nutrite e hanno trattato rettamente i sacramenti, seguono l’Agnello dovunque va’ (Ap 14, 4).

Sono passati attraverso la grande tribolazione. Non è affatto semplice seguire il Signore. Chi decide di seguirlo, anche spinto dalla grazia, sarà perseguitato (Cf. Gv 15, 20).

La Vergine Immacolata, prima tra tutti i seguaci di Gesù, ci sostiene con la sua dolcezza soprannaturale e materna per farci seguire, nonostante tutte le difficoltà, la via di Gesù Buon Pastore.

di P. Luca M. Genovese

Fonte: Settimanale di P. Pio

 

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