Le storie del Banco Alimentare di Cassino
Loreta fa un lavoro normale, ha una famiglia normale, una vita senza grosse fatiche e una passione smisurata per il prossimo. È impegnata in varie attività di volontariato, nelle quali esprime la sua innata voglia di rendersi utile. Eppure sente che le manca qualcosa.
Alfonso invece non svolge alcun lavoro. È arrivato nella zona di Cassino inseguito dal suo passato, una fedina penale macchiata da anni di carcere. È uno dei figli di quella Napoli violenta che arruola nell’esercito della malavita fin da bambini e assegna un compito fatto di polvere bianca e soldi. E se sei bravo, se “funzioni”, crescendo arrivano i traffici internazionali di droga e tante stellette al merito, ma quando non riesci a farla franca ti aspettano le mura di una cella. Eppure la vita in una prigione non sempre indurisce: può capitare che scavi nelle profondità dell’anima e riporti all’essenziale. Così Alfonso quando ha finito di scontare la pena rompe con il suo passato e parte, dimenticando ogni agio, valicando “il confine” e stanziandosi in un piccolo centro cassinate con moglie e figli.
Loreta e Alfonso non si conoscono, ma le loro strade hanno incrociato un “amico” in comune: il camion del Banco Alimentare. Ogni mese un mastodontico contenitore di alimenti arriva a Cassino, ai piedi della millenaria abbazia fondata da San Benedetto nel sesto secolo. Appena uscito dall’autostrada, percorre un rettilineo, incontra l’imponente statua di bronzo del patrono d’Europa e dopo pochi metri raggiunge la Casa della carità, un ente benefico davanti al quale si danno appuntamento i volontari delle associazioni locali che operano a favore dei poveri per ritirare il cibo. Sono 12 gli enti caritativi che hanno stipulato una convenzione con il Banco, ogni mese distribuiscono circa 9 tonnellate di alimenti che aiutano tremila persone indigenti.
Quando il camion svolta per entrare nel piazzale della Casa della carità, lascia sempre una fila di automobili dietro di sé. Un giorno, in quella fila c’era Loreta che vede il Tir con la scritta del Banco Alimentare e si illumina. Cambia itinerario, cambia i programmi che l’avevano portata ad attraversare diversi comuni (Roccasecca, Castrocielo, Aquino, Pontecorvo, Piedimonte, Villa Santa Lucia) per arrivare a Cassino e svolta seguendo il camion. In quelle due parole vede qualcosa in più degli altri: la sua esigenza. Il desiderio di sempre è quello di avere un aiuto mentre si aiutano le persone. E così sterza, cambia direzione, segue quella promessa.
Conosce Marco Lamberti, il responsabile territoriale del Banco e con lui vuota il sacco. Da anni lei e un gruppo di amici non riuscivano a restare indifferenti di fronte alla povertà di tante famiglie. Loreta e i suoi amici avevano bisogno di alimenti, ma soprattutto di un riferimento stabile e strutturato, di un’amicizia. Dopo avere conosciuto Marco ed i suoi amici, Andrea, Fabio, Nicola e Basilio, Loreta intuisce di avere trovato ciò che cercava.
Viene firmata una convenzione tra il Banco Alimentare e il Banco di solidarietà “Colfelice per gli altri” – una località vicino a Cassino – ma la vicinanza non è fisica, bensì “ideale”. Così sente di dover coinvolgere tutti, e allora chiama il sindaco, il parroco, organizza incontri nella zona insieme agli amici con cui aveva condiviso domande e desideri. A piccoli passi intesse la trama del sostegno tra di loro e verso il prossimo. Una rivoluzione fatta di gesti quotidiani che aiutano il quotidiano. Nascono subito i primi frutti. Da una sola certezza si scatena il mistero. Loreta è una donna semplice d’animo e comunica a tutti una sola consapevolezza: ogni mese arriveranno gli alimenti del Banco.
Da qui nascono le storie. Inizia ad incontrarsi stabilmente con i ragazzi della cresima per guardare ai bisogni delle persone vicine. La prima famiglia che “adottano” è quella di una mamma con tre bambini. Il papà è in carcere, il figlio maschio è malato e loro hanno bisogno di tutto. Nell’esistenza di questo nucleo familiare alla “periferia” della comunità entra questa allegra comitiva che porta in dote alimenti e compagnia.
Poi qualcun altro fa il nome di un’altra famiglia del paese che, spesso, ospita nella propria casa una famiglia di rumeni. Una scena mai vista. Vengono aiutati anche loro. E’ una solidarietà che si moltiplica, giorno dopo giorno. Una stabilità che toglie l’incertezza di dosso e, soprattutto, quel senso di solitudine che si respirava prima del Banco.
Intanto Alfonso è da poco arrivato nella zona, con pochi mezzi, la sua famiglia e nel cuore il desiderio di cambiare vita. Ha trovato un “ritaglio” di casa in un piccolo centro vicino a Cassino, è riuscito ad accendere anche un mutuo che pagherà con il ricavato di piccoli lavori saltuari, ma è davvero un’impresa mantenere moglie e figli. Non sa a chi rivolgersi, non conosce nessuno, gli viene in mente di mettersi sulle tracce del Banco Alimentare di cui aveva sentito parlare durante uno dei periodi passati in carcere. Risale fino al numero di cellulare di Marco, gli racconta la sua storia a viso aperto, non ha niente da perdere e tutto da guadagnare, ha imparato che nella vita bisogna avere il coraggio e l’umiltà di chiedere aiuto.
E in poco tempo nasce un’amicizia, oltre che un sostegno concreto fatto di alimenti consegnati periodicamente. “Senza di voi non saprei proprio come andare avanti”, confida un giorno ai ragazzi del Banco. Ma non vuole solo ricevere e ringraziare, desidera dare un po’ di sé: così ogni volta che c’è bisogno di un uomo forzuto, a volte proprio in occasione dell’arrivo mensile del Tir, corre a dare una mano. “Niente di speciale, sono loro, i volontari, i veri eroi. Eroici nel quotidiano”, commenta.
Sentendolo parlare e ripensando alla sua storia e all’impegno di Loreta e dei suoi amici, Marco Lamberti riflette: “A poca distanza da qui c’è il monastero di Montecassino, costruito su iniziativa di San Benedetto. Leggendo i segni dei tempi, il fondatore del monachesimo d’Occidente aveva intuito che si doveva realizzare il programma radicale della santità evangelica in una forma ordinaria: era necessario che l’eroico diventasse normale, quotidiano, e che il quotidiano diventasse eroico, come ricordò San Giovanni Paolo II nel 1980 durante la sua visita a Norcia. Oggi viviamo in un’epoca in cui c’è più che mai bisogno di questo, di una fede incarnata, capace di trasfigurare la vita fin nei particolari, e quando storie come queste si incrociano, penso che Dio permette che accadano perché diventino un segno per tutti noi”.