XVIII Domenica del Tempo Ordinario, Anno C.
In questa domenica il Signore mette in guardia dal pericolo delle ricchezze. Ci fa comprendere come il pensare troppo ad esse può far distogliere il cuore dal vero bene che è Lui solo. Tutto può diventare ricchezza: anche le cose che sembrano buone ed innocenti. Il cuore si attacca facilmente e si dimentica di Dio che lo ha creato, lo ha fatto e lo ha determinato come sua eredità e parte del suo regno eterno di amore e di pace.
Uscire fuori dalla parola di Dio, dalla logica di Dio, dall’amore di Dio è molto pericoloso. Ci rende bandiere al vento, schiavi delle passioni, immersi in conflitti ed emozioni che non sappiamo più controllare, insomma sommersi dalla tempesta del mondo, della carne, dei demoni che intingono lame affilate nelle debolezze umane, le cambiano per cose buone e le fanno desiderare come se fossero il supremo bene.
Così il ricco che si affanna dalla mattina alla sera per il solo scopo dell’accumulo dei beni sta facendo una cosa vana, come dice il Qoelet nella prima lettura: Chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo dovrà poi lasciare la sua parte a un altro che non vi ha per nulla faticato. Il lavoro è la nobiltà dell’uomo, anche il Signore ha lavorato; San Paolo si vanta di aver lavorato “con le proprie mani” (Cf. 1Cor 4, 12), facendo capire ai Corinzi che quella è una via di santificazione. Chi non vuol lavorare, neppure mangi (2Ts 3, 10). Tuttavia il lavoro, staccato da una superiore apertura a Dio, può diventare anch’esso un idolo, o quanto meno un mezzo per costruirsi un idolo, un vitello d’oro da adorare al posto di Dio.
Oggi la civiltà sembra fondata tutta sul lavoro e non sulla preghiera, la lode, il culto di Dio. Sembra che l’uomo sia con le proprie mani l’unico realizzatore della propria felicità. Dio non c’entra o se c’entra è del tutto marginale e deve essere anche lui sottomesso a scopi di sola realizzazione umana: il benessere, la salute, la ricchezza, il potere.
Tutto questo cozza con la fede nel Dio unico e sovrano d’Israele. Dio va obbedito e non comandato. Gesù è, infatti, tirato in ballo in una questione di eredità: di’ a mio fratello che divida con me l’eredità. Nulla di più giusto apparentemente. Ma a quella richiesta così perentoria e senza alcuna umile sottomissione alla divina volontà, Gesù si rifiuta di intervenire. Non vuole dar ragione alle passioni umane che traviano il cuore. Non si immischia nelle beghe degli uomini. L’uomo o è per Dio o non lo è. Il di più viene dal maligno.
Quante liti insensate turbano il cuore degli uomini, alle volte dei parenti, degli amici e dei fratelli, anche per tutta la vita! E questo perché le passioni hanno prevalso sulla carità evangelica, l’orgoglio sull’amore, l’idolatria delle cose su Cristo!
Solo il vero Dio può darci gioia e pace. Il falso dio, il denaro, e come aggiunge anche San Paolo nella II lettura l’impurità, l’immoralità, le passioni, i desideri cattivi non possono dare che tristezza e pianto, angoscia ed inquietudine perché non sono il vero Dio.
Il turbinio della vita moderna, l’uomo che non sa più chi è e cosa vuole realmente, l’angoscia esistenziale, il non senso assoluto, il nichilismo, il libertinismo, la vita disperata sembrano il corollario necessario di una vita senza il vero Dio, senza Cristo che riempie di gioia e di pace il cuore dell’uomo: “Tutto è vanità e un inseguire il vento” (Qo 1,14). Oh, quanto è saggio chi ragiona così! Dammi, o Signore, la sapienza celeste, perché impari a cercare e trovare Te, sopra ogni cosa; apprenda a gustare ed amare Te, soprattutto; apprenda a considerare tutto il resto com’è in realtà, secondo le disposizioni della sapienza tua. Dammi la prudenza, perché io sappia tenere lontano chi mi lusinga; la pazienza, perché io sopporti chi mi contrasta. Questa è, infatti, grande saggezza: non lasciarsi smuovere da ogni soffio di parole e non prestare orecchio alla sirena che perfidamente lusinga. Intrapresa in tal modo la strada, si prosegue il cammino con sicurezza (Imitazione di Cristo 27, 18-21).
Nella parabola esplicativa Gesù fa l’esempio di un uomo che ha il cuore tutto proteso verso i suoi guadagni. Non pensa ad altro che a costruire i granai per ospitare i suoi raccolti. E quando ha accumulato molto non pensa affatto a ringraziare il Signore. Pensa solo a divertirsi e a favorire ancora di più le sue passioni: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e divèrtiti. Come se il fine ultimo della vita fosse tutto qui: riposarsi, mangiare, bere, divertirsi. In fondo nella logica imposta del potere dominante oggi sembra proprio questo che dobbiamo garantire come fine primario dell’uomo: mangiare, bere, divertirsi. In ciò non si trova nulla del regno di Dio. Ce ne fa accorgere la morte che bruscamente e senza preavviso interrompe di schianto questa logica ultramondana. Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la vita: da Chi? Da Colui che gliel’ha data. Tramite la Santa Vergine Immacolata, consegniamoci al Signore. Saremo come Lei!
P. Luca M. Genovese
Fonte: Settimanale di P. Pio