Mons. Luigi Matachione (1893-1965), parroco della Cattedrale di Sora
nel cinquantesimo anniversario della sua morte
L’ attenzione culturale che recentemente si è creata attorno alla Chiesa Cattedrale di Sora ci spinge a ricordare uno dei parroci storici di questa chiesa di cui quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario della sua morte: mons. Luigi Matachione.
La cattedrale di una diocesi deriva il suo nome dal termine cathedra e richiama quindi il luogo nel quale si raduna l’ecclesia attorno al vescovo, la cui funzione è di maestro e di liturgo. In tal senso la cattedrale è il centro della vita di una Chiesa locale; questa non è un’isola rispetto al mondo e alla società. La Cattedrale della Diocesi di Sora – Cassino – Aquino – Pontecorvo, la Chiesa di Santa Maria Assunta in Sora, ha una storia antichissima che non può esser scritta senza ricordarne chi nel corso del tempo ne è stato custode e padre. Per ricordare la figura di mons. Luigi Matachione, nato a Pescosolido il 5 agosto del 1893 e morto a Sora il 19 maggio del 1965, si è scelto di riportare per intero l’elogio funebre scritto e letto nel giorno dei suoi funerali dal canonico don Ettore Degni. L’opuscolo fu stampato e distribuito ai presenti.
Lo riproponiamo a memoria dell’anniversario passato ad oggi inosservato.
«Non è certamente un atto di pura formalità, che troppo spesso si riscontra negli avvenimenti umani, che io sono qui a deporre sulla bara di Mons. Luigi Matachione il tributo sincero di rimpianto e di fervida preghiera a nome dell’Ecc.mo Vescovo, del Rev.mo Capitolo cattedrale, dei Sacerdoti delle tre Diocesi, del Seminario Vescovile, dei fedeli di questa Parrocchia Cattedrale, di Pescosolido che gli diede i natali, di S. Vincenzo V.R. che lo ritenne come suo figlio e di quanti lo conobbero e lo amarono, bensì un attestato di grata riconoscenza per quanto egli operò a servizio della nostra Diocesi.
È una bara che ha una storia e che merita un elogio. La vita di Mons. Luigi Matachione, anche se impegnata in tante ed importanti attività, si confonde, si identifica con questa Cattedrale di cui fu zelante Parroco per ben 42 anni. E da questa Chiesa solo la malattia riuscì a strapparlo e fu allora che noi potemmo scorgere sul suo viso, abitualmente atteggiato ad un composto sorriso, il dramma della forzata separazione.
42 anni racchiudono una storia, che non sarà mai scritta, perché Mons. Matachione l’ha portata con sé, scolpita nel cuore, nella tomba e ne ha fatto già omaggio al Signore. Ma certamente è una storia meravigliosa, intrecciata di gioie e di dolori, di conquiste e delusioni, di avvenimenti lieti e tristi, di ammirazioni ed incomprensioni di osanna e perché no, di crucifige. È la storia di un Parroco, che sente il tormento delle anime a lui affidate, che soffre per le pecorelle smarrite, che studia piani per la riconquista, che affronta ostacoli di ogni genere, supera pericoli difficilissimi, che conosce la stanchezza senza arrendersi, le veglie e le albe gelide.
È la storia di un Parroco che apre i tesori della sua carità per tutti, nell’umiltà, nella pazienza, nel silenzio, senza far pesare il dono che fa, senza catalogare la beneficenza, memore del precetto evangelico: non sappia la destra quello che fa la sinistra. È la storia di un Parroco che batte la campagna per consolare, istruire, consigliare, per portare ovunque il conforto della Fede a chi “sperando muor”. E questo per 42 lunghi anni…
È una storia non scritta su carta, ma sul cuore di 42 generazioni.
Ma la cura diretta delle anime, anche se principale, non fu la sola occupazione di Mons. Matachione. Contemporaneamente egli fu Assistente dell’Unione Femminile, Assistente Ecclesiastico della Federazione Diocesana della Gioventù Cattolica, Direttore Diocesano della S. Infanzia, Cassiere dell’Ufficio Amministrativo, Assistente Diocesano Uomini Cattolici, Assistente Diocesano Donne Cattoliche, Delegato Vescovile per l’Azione Cattolica, Presidente della Pontificia Opera di Assistenza, esaminatore pro sinodale, giudice del Tribunale Ecclesiastico, insegnante di Religione nel Liceo ginnasio e nell’Istituto Tecnico, Preside della Scuola media di Villa Angelina e fino alla morte Penitenziere della Cattedrale. Ed il Seminario Vescovile lo ebbe come Vicerettore, amministratore e Professore di italiano e greco. È un biglietto da visita che va rispettato e tenuto in considerazione. Ed in questa multiforme attività Mons. Matachione dimostrò sempre spirito dinamico, sagacia, intelligenza, competenza, abnegazione e soprattutto illimitata obbedienza ai Superiori, Mons. Iannotta, Mancinelli, Fontevecchia, Musto. Posti di responsabilità che gli costarono sacrifici e lo esposero a dure lotte, ma che non fiaccarono mai la sua indomita volontà e non gli fecero mai ammainare la sua bandiera. E tutti gli avvenimenti, le iniziative, di cui è trapunta la storia della nostra Diocesi e che fiorirono nell’arco dei 49 anni della sua vita sacerdotale, dal Congresso Eucaristico Interdiocesano del 1924 fino alle ultime splendide realizzazioni, lo videro sempre in prima fila, animatore ed organizzatore instancabile. Ed io lo rivedo ancora, perché gli fui vicino, nelle grandi galoppate verso i Santuari, specialmente quello di Loreto, paziente, bonario, comprensivo.
Ora non è più, i suoi resti mortali sono in questa bara, sorella morte lo ha rapito dopo alterne trepidazioni e speranze, nonostante le affettuose cure e premure dei suoi cari che ora addolorati, ma rassegnati, ne piangono la scomparsa. Se ne è andato silenziosamente dopo aver celebrato la S. Messa, divino sacrificio, di una vita di Sacrificio.
Sognò un ideale e lo raggiunse, in un clima infuocato il Sacerdozio nel 1916, arricchì questo suo ideale di pietà e di studi profondi, fu dottore in S. Teologia, e con opere non periture sperò e con lui sperammo anche noi, altre conquiste per la gloria di Dio. Cullava, ma non lo disse, nel segreto del suo gran cuore, l’alba delle sue nozze d’oro, ma quest’alba non è spuntata e queste nozze d’oro le celebrerà in Paradiso.
Ma noi che crediamo in quella valle che “non inventò il sentimento, ma indicò il dogma”, noi che sappiamo che Iddio vede macchie anche nei suoi Angeli, rivolgiamo per lui pietoso Gesù l’ardente preghiera di suffragio invitando a farlo quanti lo amarono e lo stimarono, come il tributo più gradito della doverosa riconoscenza.
La realtà di questa bara, come di tante e tante altre deve far cadere tante presunzioni, tanti miti, tante utopie, tanta superbia, tanta ribellione, che fanno dell’uomo di oggi un grande illuso.
La realtà di questa bara deve convincerci che solo una vita cristianamente vissuta non teme la morte e rende la bara stessa non un simbolo di morte, ma di vita. Ora nulla può mutare per te, carissimo D. Luigi, né le tue opere né questo tuo funebre gelo.
Tu ci hai lasciato, ma io ti prego di voler contribuire ad accendere a questi Seminaristi ed a quelli che verranno, la fiaccola sacerdotale. La tua morte si inserirà così come una manifestazione di dolore, ma di gioia nella celebrazione del IV Centenario di fondazione del Seminario, che tu tanto amasti.
Tu ci hai lasciato ma la tua memoria ed il tuo ricordo non scompariranno. Ti rivedremo sempre attraversare, con passo lento, le navate di questa Cattedrale, che fu tua per 42 anni. Ti rivedremo nella penombra della sera, inginocchiato dinanzi a quell’altare, distingueremo la tua voce tra le voci dei tuoi confratelli nell’attesa serena della nostra chiamata, perché noi come te, crediamo che la vita presente non è fine a se stessa, ma preparazione alla vera vita, perché noi crediamo che la morte non è tramonto, ma un’alba, ed è proprio per questo che noi non ti diciamo Addio ma Arrivederci».
Lucio Meglio