Nessun servitore può servire due padroni

XXV Domenica del Tempo Ordinario, Anno C

Il problema dell’amministrazione della ricchezza è veramente delicato se si pensa che si può scambiare la ricchezza per un bene supremo e considerarlo non un mezzo ma un fine. E’ stato questo il motivo della perdizione di tante anime, forse più che per altri vizi più evidenti: coloro che vogliono arricchire, cadono nella tentazione, nel laccio e in molte bramosie insensate e funeste che fanno affogare gli uomini in rovina e perdizione. L’attaccamento al denaro, infatti, è la radice di tutti i mali; per il suo sfrenato desiderio alcuni hanno deviato dalla fede e si sono da se stessi tormentati con molti dolori (1Tm 6, 9-10).

In una società dove si perde di vista il soprannaturale, dove la vita spirituale e la preghiera, lo stare davanti a Dio, è considerato una perdita di tempo, dove i notiziari ed i centri di educazione si fondano semplicemente su quest’unico principio: l’andamento economico della società e dei singoli, allora si vede bene come si sia sostituito al vero Dio il dio denaro, anzi il proprio personale egoismo assurto a norma suprema nella smania di possedere. E’ questo il tema della liturgia di oggi ma anche della grave crisi morale e spirituale che pervade la nostra cultura ed il nostro tempo.

Il profeta Amos rimprovera i ricchi che dietro un’ostentata moralità cercano di nascosto di imbrogliare i poveri: bilance false, scarto del grano. Ci sono mille modi per raggirare il compratore, senza che questo se ne accorga. Oggi la pubblicità è il grande mezzo del raggiro e dell’esaltazione dell’egoismo umano. Il cosiddetto marketing, il saper piazzare un prodotto anche scadente con ottime riuscite di vendita, sembra la dottrina suprema. Non importa se si faccia veramente bene alle persone, non importa se le persone abbiano un’anima pura, degna di Dio!

Di questo ai grandi organismi di comunicazione non interessa nulla. L’importante è far girare l’economia. Essa è il Leviatano, il mostro a cui tutto bisogna consacrare, pure la propria vita.

La seconda lettura, tratta dalla prima lettera a Timoteo dell’Apostolo Paolo, oggi è proprio scandalosa per le orecchie d’oggi: Figlio mio, raccomando, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa (semnóteti) e dedicata a Dio (eusébeia).

Perché dobbiamo pregare per i nostri governanti? Non certo perché ci facciano più ricchi, ma perché “possiamo condurre una vita calma e tranquilla”, ma soprattutto “dignitosa e dedicata a Dio”. Forse la politica di oggi si occupa di quanto il cittadino si dedichi a Dio? Eppure è l’unica cosa importante, perché la salvezza non viene dall’accumulo dei soldi o degli interessi né dalla comunicazione del tutto falsata da questi valori, ma solo da Dio. A che serve all’uomo guadagnare il mondo intero se poi perde la propria anima? E cosa si potrà dare in cambio della propria anima? (Mc 8, 36-37), incalza con durezza Gesù mettendo in crisi tutto il nostro sistema di valori attuali.

            (Dedicarsi a Dio) è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità.  Questo è il pensiero del grande Apostolo Paolo, ispirato da Cristo: vivere con dignità, semnóteti, che in greco dal verbo semnóo significa compiere un atto bello, liturgico, gradito a Dio, e poi con eusèbeia, virtù divina, pietà, cosa che può vedere e piacere solo a Dio.

            Questa sarebbe quindi la vita sociale secondo Paolo e i governanti dovrebbero preoccuparsi sopratutto di questo. Così, infatti, scrive San Francesco nella sua piccola lettera ai “Reggitori dei Popoli: E siete tenuti ad attribuire al Signore tanto onore fra il popolo a voi affidato, che ogni sera si annunci, mediante un banditore o qualche altro segno, che siano rese lodi e grazie all’Onnipotente Signore Iddio da tutto il popolo.  E se non farete questo, sappiate che dovrete renderne ragione a Dio davanti al Signore vostro Gesù Cristo nel giorno del giudizio (Fonti Francescane 210).

Non quindi un trattato di economia e neppure di diplomazia invoca san Francesco per la cura della cosa pubblica, ma unicamente la eusébeia paolina, il “dedicarsi a Dio” ed esortare i propri cittadini a fare altrettanto. Gesù nel Vangelo, dalla parabola dell’amministratore disonesto, dà questo profondo insegnamento: Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza.

Dio è Dio, l’assoluto che va servito prima di ogni cosa e con ogni mezzo. Il posporre Dio a qualcosa, sia pure alla propria vita, é non riconoscergli la dignità e il valore che ha: Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo (Lc 14, 26). Si spiega la fede indistruttibile di tanti martiri, tutti immersi in Dio.

La santa Vergine, apice di purezza perché totalmente dedicata a Dio, è la via che abbiamo per comprendere gli insegnamenti del Vangelo e l’aiuto materno per metterli in pratica.

P. Luca M. Genovese

Fonte: Settimanale di P. Pio

 

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