INCONTRI DEL CORSO BIBLICO
Gli amici del gruppo biblico (il numero dei quali è in continua crescita) si è incontrato sabato 18 marzo, presso i locali attigui alla chiesa di Santo Spirito a Sora, per il nono incontro di questo anno. L’esegesi è continuata sulle vicende di Davide, raccontante nel dodicesimo capitolo del Secondo libro di Samuele.
Al termine del precedente appuntamento avevamo lasciato Davide, che dopo la storia raccontatagli dal profeta Natan, si era pentito per le proprie azioni contro la volontà di Dio. La parabola, infatti, ha aiutato il re a prendere consapevolezza del proprio comportamento negligente. Il ruolo del profeta Natan è importante e ci aiuta a riflettere su una circostanza fondamentale, e cioè che anche noi per prendere consapevolezza del nostro essere cristiani, in autentica comunione con noi stessi, con il prossimo e con Dio, abbiamo bisogno di un aiuto.
Il principale nostro strumento per prendere consapevolezza di noi stessi, e per intessere relazioni sane con gli altri, è ovviamente la parola di Dio. Del resto, è proprio la “non conoscenza” che il più delle volte ci conduce a commettere errori di prospettiva nel rapporto con il prossimo. Attraverso la messa in pratica della parola di Dio possiamo invece avere consapevolezza del giusto modo di rapportarci tanto ai fratelli quanto al Padre.
È interessante notare, al v. 13, che Davide afferma di aver peccato contro il Signore. A leggere i fatti che precedono, sostanzialmente lui ha portato via la moglie ad Uria, e lo ha fatto uccidere: insomma ha commesso delle azioni contro un altro uomo. Eppure dice di aver peccato contro il Signore. Il senso della frase di Davide è questo: egli, non mettendo al centro della propria vita il Signore, ha commesso peccato (nel senso etimologico del termine, cioè ha mancato l’obiettivo vero della sua esistenza). Di conseguenza, non avendo più il saldo riferimento in Dio, ha peccato (in senso moralistico) contro Uria, facendolo morire.
In altre parole, togliendo Dio dal centro della nostra vita, inevitabilmente si commettono azioni sbagliate verso il prossimo. L’esclusione di Dio significa l’esclusione dell’uomo: è proprio da questa esclusione, dal peccato come “perdita di obiettivo”, che discendono tutti i peccati in senso morale.
Oggi, dobbiamo chiederci: mettiamo Dio al centro delle nostre giornate? Quanto è presente Dio nelle scelte che compiamo come singoli e come collettività? Quanto è presente Dio nella scuola, nelle istituzioni, nei tribunali, nelle banche?
Il Signore, che è l’unico che può risanare questo “strappo”, perdona il peccato di Davide, perché costui, con consapevolezza, ha accettato l’insegnamento di Natan. Attenzione, però, Dio fa in modo che, con la libertà propria dell’uomo, egli scelga di mettere nuovamente al centro della propria vita Dio, ma non cancella il peccato in quanto azione moralmente sbagliata.
Infatti, al v. 14 viene detto che il bambino concepito sarebbe morto: egli non muore per la volontà di Dio, ma in quanto conseguenza dell’azione sbagliata di Davide. Perciò, l’ammonimento per l’oggi è quello di riflettere sulle conseguenze che le nostre azioni possono avere nella vita degli altri. Avere comportamenti rispettosi degli altri ci rende liberi, ma per far questo bisogna avere consapevolezza di chi siamo e del nostro agire.
Davide, ammalatosi il bambino, si impegna in tutta una serie di pratiche penitenziali, un po’ come facciamo anche noi oggi, quando preghiamo alla maniera del do ut des: vengo a messa, ma tu Signore devi far guarire Tizio, oppure devi farmi vincere alla lotteria…
Morto il bambino, Davide acquisisce un’ulteriore consapevolezza, e cioè che l’uomo è chiamato sempre ad affidarsi a Dio, perché ci sono cose che sfuggono al controllo e al potere dell’uomo. Significativamente, questa presa di coscienza avviene al settimo giorno – anche questo dettaglio è segno di come Davide sia una prefigurazione di quanto avverrà a Gesù nel Nuovo Testamento – quando Davide smette i panni dell’uomo vecchio e si riveste di una rinascita spirituale.
Egli ammette che il suo comportamento di penitente era più per lavare la sua coscienza (“dicevo: il Signore avrà pietà di me”) che non per salvare la vita del bambino. Insomma, capisce che la preghiera è innanzitutto un modo per vivere la fedeltà alla propria vocazione.
Davide capisce e riconosce che è Dio a dare la vita e che l’uomo non ha il potere sulla vita e sulla morte altrui, e in tal modo si riconcilia definitivamente con la volontà del Signore, a lui tutto affidandosi.
Infatti, riconciliatosi con Dio, può finalmente avere un figlio da Betsabea (che al termine di questo percorso non viene più chiamata “moglie di Uria”, bensì “moglie di Davide”), che altri non è che il futuro re Salomone.
Vincenzo Ruggiero Perrino