Seminatore semplice, umile, gioioso
Omelia per la Messa esequiale di don Mario Zeverini
Sora, 12 luglio 2020
“Tu visiti la terra, Signore, e benedici i suoi germogli (Salmo resp.)
La stagione estiva che in questo periodo la natura sta vivendo sviluppa soprattutto l’attività agricola della mietitura. Nella logica del Regno, e quindi nella missione della Chiesa e dei suoi operai, il tempo del raccolto è sempre riservato solo a Dio. Ad ogni cristiano spetta la vocazione del seminatore, e l’evangelizzazione della Chiesa promuove e prepara il terreno del vivere quotidiano nel quale implementare la presenza della Parola perché fruttifichi nel mondo come Parola di di conversione per il perdono dei peccati. Il movimento delle braccia abbondantemente allargate nel compiere l’ampio gesto della semina, esalta la fiducia nella potenza del seme, in attesa del suo germoglio e della sua crescita nel cuore dell’umano (Mt 13,1-23).
Il seminatore della parabola evangelica getta il seme su terreni molto diversi (una strada, un terreno sassoso, i rovi, il terreno buono). Tuttavia, i ripetuti fallimenti non hanno impedito la crescita, e neppure la sovrabbondanza del frutto (v. 8b). La spiegazione della parabola chiarisce e conferma che tutto si gioca sulla relazione fra l’uomo e la “parola del Regno”. Tutti hanno beneficiato della Parola; ma gli ostacoli sono numerosi e spesso rendono difficile l’ascolto, l’accoglienza, e quindi il frutto sperato nel cuore dell’uomo. La Parola può fruttificare solo in alcuni terreni: tre fallimenti (vv. 19-22) per un’unica riuscita, un solo successo (v. 23). Questo ci dice che il fallimento della semina/proclamazione della Parola è una caratteristica essenziale del mistero svelato ai discepoli: la Parola è seminata nel mondo e fruttifica nonostante numerosi rifiuti, con i quali pure bisogna misurarsi.
Don Mario ha esercitato la gran parte del suo ministero come buon seminatore della Parola, conoscitore esperto del “seme” che gli era stato consegnato da Dio con l’esercizio del sacro ministero. Ma conosceva anche i diversi tipi di terreno sui quali il seme della Parola veniva sparso. Conosceva e amava la Parola, ma era anche esperto in umanità. Ordinato presbitero da mons. Biagio Musto il 7 luglio 1962, è stato membro del Capitolo della Cattedrale di Sora e della Collegiata di s. Restituta, insegnante e padre spirituale nel Seminario diocesano di Sora. Parroco di S. Giovanni Battista in Sora dal 1968 al 1973 e Rettore del Convitto “Villa Angelina” dal 1973 al 1980. Vicario parrocchiale nella parrocchia “S. Lorenzo” ad Isola Liri e parroco nella parrocchia “S. Bartolomeo” in Sora dal 1981 al 1984. Ha guidato in qualità di Direttore l’Ufficio catechistico diocesano e l’Ufficio Scuola per l’IRC dal 1984 al 2014, servendo sia la Chiesa diocesana sia le diocesi del Lazio in qualità di Direttore dell’Ufficio Catechistico Regionale. Ha insegnato Religione Cattolica dal 1964 al 1986. Ha ricoperto l’incarico di Cappellano presso la chiesa centrale del Cimitero comunale di Sora, e di Cappellano della chiesa di S. Francesco e Padre spirituale della Confraternita “S. Cuore di Gesù”. A ciò si aggiungono diversi altri servizi svolti in diverse realtà pastorali.
È oltremodo evidente come la vocazione del seminatore ha illuminato e qualificato il servizio pastorale di don Mario. Ha saputo trasformare la missione che gli era stata affidata in una vera passione d’amore per la Parola attraverso lo studio e l’appropriata conoscenza delle scienze pastorali e umane. Infatti, ogni volta che lo incontravo aveva sempre qualcosa da leggere tra le mani: si aggiornava volentieri con la lettura e lo studio delle riviste specializzate. Vedevo in questa sua ricerca la serietà del maestro e l’umiltà del discepolo.
Per lui l’annuncio della fede e l’educazione religiosa attraverso l’insegnamento della religione cattolica e gli itinerari dell’iniziazione cristiana nelle parrocchie era diventata progressivamente una vera ragione di vita. Direi: Non viveva che per questo! Il suo rapporto con gli insegnanti di religione cattolica e con i catechisti parrocchiali non è stato mai superficiale, blando, mediocre, arrangiato, né tanto meno improvvisato. Per essere un seminatore infaticabile sentiva di dover diventare un formatore esigente. Era metodico e sistematico, programmava nel dettaglio ogni progetto e iniziativa, convinto che la completezza nella formazione degli operatori avrebbe favorito la qualità del servizio alle persone, ai loro bisogni, compiti e responsabilità. Era convinto di dover formare a sua volta buoni annunciatori della fede. Si sentiva chiamato in causa in prima persona come responsabile della responsabilità degli altri, al servizio dei quali pertanto cercava di profondere le sue migliori energie.
Come buon seminatore don Mario è stato semplice, umile e gioioso. Innanzitutto un umile operaio, “come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa” (Mc 4,26-27). Si è chinato con la sua umiltà dinanzi alla potenza del seme, per non arrogare a sé e alla sua bravura ogni buon risultato sperato, sempre fiducioso nella potenza della Parola che solo la grazia di Dio avrebbe fatto germogliare nel cuore di chi era in grado di saper ascoltare.
Chi serve nell’umiltà vive anche nella semplicità. Nella fragilità del suo corpo abitava la serena fiducia nell’opera di Dio. Per questo don Mario è stato un uomo e un prete libero nel pensiero e nelle relazioni. Non si è mai sottomesso a piaggeria alcuna improntata ad una remissività servile e adulatoria. Ha sempre detto quello che pensava, senza volontà di ferire o di danneggiare, sempre aperto al dialogo e al confronto. Si è preservato e volutamente estraniato da pettegolezzi clericali o giochi da sacrestia. Era schivo da ogni pretesa carrieristica; sapevo di farlo reagire con veemenza al solo cenno da parte mia di insignirlo del titolo di “Monsignore”. Glielo spiegavo in tutti i modi che non si trattata di attribuirgli un titolo onorifico, ma riconoscergli un attestato di merito e di gratitudine per il lavoro svolto al servizio della comunità diocesana e regionale per oltre 25 anni, e anche per additarlo come personalità seria e generosa nella sua fedeltà ai compiti affidatigli.
Infine, il servitore umile e semplice, è anche un seminatore gioioso. Dinanzi alle diverse difficoltà del suo ministero presbiterale e soprattutto nelle prove fisiche che ha dovuto ripetutamente affrontare, ha saputo reagire con buon umorismo, minimizzando i problemi, anche seri, riguardo alla sua stessa salute, e sempre speranzoso di tornare quanto prima al suo lavoro pastorale. La sua devozione granitica verso la Madonna di Canneto era divenuta una profonda spiritualità della consolazione. La sua devozione era sorgente di pace, e alimentava ancora di più il suo docile e semplice servizio anche nei confronti dei pellegrini.
Non ammetteva interruzione alcuna alla sua dedizione pastorale. Anche in queste ultime settimane avrà coltivato l’attesa di ritornare quanto prima a casa. Purtroppo così non è stato. Il Signore ha preferito accoglierlo in quella Casa nella quale don Mario ha sempre creduto e sperato da uomo di integra fede qual era. Oggi lo accompagna l’affetto e la preghiera dell’intera Chiesa diocesana che del ministero di don Mario “servo buono e fedele” resta grata al Signore, unico “padrone della messe”.
+Gerardo Antonazzo