Omelia Mercoledì santo – 8 aprile 2020

SONO FORSE IO?

Mercoledì santo, 8 aprile 2020

È significativo che ognuno dei discepoli esprima il timore di essere colui che può tradire Gesù. Infatti ognuno chiede: Sono forse io, Signore? e non Chi è? E non nominando esplicitamente Giuda, ma rispondendo semplicemente che egli ha messo con me la mano nel piatto, Gesù li indica potenzialmente tutti, dato che allora si mangiava prendendo cibo dallo stesso piatto. Una ragione in più per gettare uno sguardo di compassione su Giuda, dal momento che potenzialmente potremmo essere anche noi. Certo, resta avvolto nel buio più fitto il comportamento di Gesù. Le parole con cui tratta con i capi dei sacerdoti lasciano pensare semplicemente ad una questione di denaro, anche se collegato a quanto scritto in Zc 11,12-13. È difficile capire cosa abbia trascinato Giuda a tanto odio, da andare sino in fondo con determinazione, senza scrupoli: Quanto volete darmi perché io ve lo consegni? E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnare Gesù.

Partiamo da un’ipotesi. L’epiteto Iscariota (sicario) forse può essere ricondotto al movimento ebraico attivo in Palestina nel I secolo a.C. in sommossa antiromana. Questa possibile derivazione favorirebbe l’ipotesi secondo cui Giuda sarebbe stato in precedenza impegnato in attività sovversive, rivoluzionarie, alla pari dell’attivismo degli zeloti in posizione di rivolta contro l’occupazione straniera. Se così fosse, la chiamata di Gesù avrebbe avuto successo nella risposta di Giuda probabilmente per aver visto nell’uomo di Nazareth il compimento della promessa del Messia-liberatore, venuto a ricostituire il regno di Israele. Molti vivevano di quest’attesa per l’insofferenza del popolo verso l’occupazione militare dell’Impero romano. Giuda attende anche il messia politico, che riporti pace e giustizia in Palestina. Nel passare del tempo, vivendo fianco a fianco del Maestro, vede che Gesù non ha intenzione di intraprendere una rivoluzione o comunque di cambiare la situazione in modo violento. Giuda inizia a credere di aver commesso un errore, che forse Gesù non è la persona giusta che lui stava aspettando. Con il passare del tempo vede che il Messia-Gesù compie gesti contrari alle sue attese: non atti di violenza, ma gesti di perdono, di misericordia, di guarigione dei malati, di tenerezza per i peccatori. Con le Beatitudini consegna un codice etico per costruire un regno di poveri, di miti, di puri, di misericordiosi. Non era quello che Giuda sperava, non erano le ragioni per quali aveva accettato di seguire Gesù. Delusione, amarezza, avversione, cominciano probabilmente ad albergare nella sua mente, creando un groviglio inestricabile di pensieri ostili nei confronti di Gesù. A questo punto, si può pensare che Giuda abbia tradito perché tradito dal Maestro. La sua potrebbe essere stata una reazione di dispetto e di punizione nei confronti di Gesù. E’ un uomo arrabbiato, si sente fallito per aver buttato al vento gli anni migliori della vita in cui avrebbe potuto ottenere risultati migliori, a fianco di chi era pronto a combattere e a spargere sangue. Merita per tutto questo un giudizio di condanna inappellabile?

A questo riguardo, è illuminante esplorare il mistero e la tragedia di Giuda facendo riferimento a un capitello della basilica di Vezélay, in Borgogna, dedicata a santa Maria Maddalena, che sorge sulla via che porta a Santiago di Compostela. C’è una scultura poco conosciuta, anche a motivo dell’altezza a cui è posta, circa venti metri dal suolo. Una scultura che vista da vicino colpisce e sconcerta. Da un lato si vede Giuda impiccato, con la lingua di fuori, circondato dai diavoli. E fin qui nulla di nuovo. La sorpresa arriva dall’altro lato del capitello. Si vede un uomo che porta sulle spalle il corpo di Giuda. Quest’uomo ha una strana smorfia sul volto: metà bocca appare corrucciata, l’altra metà sorridente. L’uomo veste la tunica corta ed è un pastore. È il Buon Pastore che porta sulle sue spalle la pecora perduta. L’artista che ha scolpito la scena e il monaco che l’ha ispirata ha voluto rappresentare qualcosa di estremo, l’estremismo dell’amore di Gesù, ipotizzando che anche per Giuda vi sia stata salvezza.

C’è un’omelia che don Primo Mazzolari, il parroco di Bozzolo precursore del Concilio Vaticano II, tenne il Giovedì Santo del 1958, dedicata proprio a ‘Giuda, il traditore’. Dice tra l’altro: “Povero Giuda. Che cosa gli sia passato nell’anima io non lo so. Non cercherò neanche di spiegarvelo, mi accontento di domandarvi un po’ di pietà per il nostro povero fratello Giuda.  Io non me ne vergogno (di chiamarlo fratello), perché so quante volte ho tradito il Signore; e credo che nessuno di voi debba vergognarsi di lui. Quando ha ricevuto il bacio del tradimento, nel Getsemani, il Signore gli ha risposto con quelle parole che non dobbiamo dimenticare: “Amico, con un bacio tradisci il Figlio dell’uomo! …  Amico! Noi possiamo tradire l’amicizia del Cristo, Cristo non tradisce mai noi, i suoi amici; anche quando non lo meritiamo, anche quando ci rivoltiamo contro di Lui, anche quando lo neghiamo, davanti ai suoi occhi e al suo cuore, noi siamo sempre gli amici del Signore. Giuda è un amico del Signore anche nel momento in cui, baciandolo, consumava il tradimento del Maestro [ ] Pregherò per lui anche questa sera, perché io non giudico, io non condanno … Io non posso non pensare che anche per Giuda la misericordia di Dio, questo abbraccio di carità, quella parola amico, che gli ha detto il Signore mentre lui lo baciava per tradirlo, io non posso pensare che questa parola non abbia fatto strada nel suo povero cuore. E forse l’ultimo momento, ricordando quella parola e l’accettazione del bacio, anche Giuda avrà sentito che il Signore gli voleva ancora bene e lo riceveva tra i suoi di là. Forse il primo apostolo che è entrato insieme ai due ladroni … Lasciate che io pensi per un momento al Giuda che ho dentro di me, al Giuda che forse anche voi avete dentro. E lasciate che io domandi a Gesù, a Gesù che è in agonia, a Gesù che ci accetta come siamo, lasciate che io gli domandi, come grazia pasquale, di chiamarmi amico”.

Quando Gesù viene arrestato, Giuda non si sente in pace con se stesso, capisce di aver commesso un errore, e prova a restituire i trenta denari e a scagionare Gesù. Ingenuamente, pensa che così facendo la situazione si risolverà. Quando però i sacerdoti del tempio lo cacciano, Giuda sente e soffre tutto il peso di ciò che ha fatto. Sente di aver tradito l’Amico, l’Amore, l’Innocente. Anch’io spesso mi domando se quel ladrone pentito sulla croce, per il quale a volte non proviamo molta simpatia per essersi salvato quasi in fretta, come quando si segna un gol all’ultimo minuto dei tempi di recupero di una partita di calcio, gelosi per una sorta di strano privilegiato a lui toccato, mi domando se questo povero uomo crocifisso con Cristo e accanto a Cristo non voglia farci pensare a qualcosa che possa aver riguardato anche Giuda … a tempo quasi scaduto.

+ Gerardo Antonazzo

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        Omelia Mercoledì santo 8 aprile 2020

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