“Unti” dalla Parola
Omelia per la Messa Crismale
Cassino-Chiesa Concattedrale, 29 maggio 2020
Carissimi presbiteri, diaconi, consacrati, fratelli e sorelle, finalmente insieme, la commozione è di casa! È il primo evento diocesano che possiamo celebrare, dopo i lunghi e sofferti mesi di isolamento e di necessario distanziamento fisico per l’emergenza scatenata dal coronavirus Covid-19. Ed è stupendo ed emozionante ricominciare a pregare insieme proprio con la Messa crismale celebrata in prossimità della Pentecoste, compimento della Pasqua e primavera della Chiesa in uscita. L’accostamento non programmato tra i due eventi liturgici esalta in modo ancor più eminente l’epifania della Chiesa, e il dono dell’unità nel rendere testimonianza all’amore che ci fa uno in Cristo che “ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati” (Ap 1,5).
Nella sequenza liturgica della Pasqua, della Pentecoste e della celebrazione crismale non passano certo inosservati due elementi di continuità: lo Spirito e la Parola.
La mia Lettera pastorale per il tempo della Quaresima-Pasqua discorreva sulla centralità della Parola di Dio. Invitavo ad inoltrarci con Gesù nel cuore del “deserto”, spinti dallo Spirito (Mc 1,12-13, lett. cacciati dentro), per fronteggiare la fatica delle tentazioni con il discernimento dello Spirito e farci forti della Parola di Dio per cambiare testa e cuore (Mt 4,4.7.10: Sta scritto…). La sera di Pasqua il Risorto accompagna i passi dei due discepoli. Riscalda il loro cuore con l’interpretazione della Parola e con lo Spirito del suo amore, aprendo alla comprensione degli ultimi decisivi eventi che riguardavano il Maestro.
Nella celebrazione della Pentecoste gli apostoli ricevono l’unzione dello Spirito per la predicazione della Parola: “Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi (At 2, 3-4). San Paolo VI, di cui oggi ricorre la memoria liturgica, affermava: “La Chiesa esiste per evangelizzare”, diversamente non è la Chiesa voluta da Cristo. Lo Spirito e la Parola rende coraggiosi i discepoli di ogni tempo, resi capaci di parresia nel testimoniare la risurrezione, e l’unica salvezza in Gesù Cristo.
Oggi, nella Messa Crismale celebriamo il compimento dell’attesa messianica. Gesù è il consacrato dallo Spirito e l’inviato per la proclamazione della Parola: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare …” (Lc 4,18). La sua prima omelia nella sinagoga di Nazareth è il manifesto del suo programma, è l’Evangelii gaudium della sua missione. Nella missione di Cristo giunge a compimento la vocazione di ogni profeta prescelto da Dio: “Prima che io ti formassi nel grembo di tua madre, ti ho conosciuto; prima che tu uscissi dal suo grembo, ti ho consacrato e ti ho stabilito profeta delle nazioni” (Ger 1,5). Ormai è Cristo-Messia l’unico Inviato del Padre, in Lui si compiono tutte le Scritture.
La nostra esistenza è detta cristiana perchè “unta”, consacrata. La prima “unzione” dello Spirito Santo la riceviamo con il rito battesimale. Confermata nel sacramento della Cresima, si rinnova in ogni celebrazione nella quale è sempre lo Spirito che agisce efficacemente perché si compia il segno sacramentale.
Nella tradizione testuale neotestamentaria si parla anche dell’unzione spirituale per mezzo della Parola ispirata. Accogliere la Parola è ricevere l’unzione dello Spirito. Afferrato dallo Spirito che la ispira, il credente viene illuminato dal medesimo Spirito perché la comprenda e la metta in pratica.
In 2Pt 1,21-22: “Nessuna scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione, poiché non da volontà umana è mai venuta una profezia, ma mossi da Spirito Santo parlarono alcuni uomini da parte di Dio”.
In 2Cor 1,20-21 l’apostolo afferma: “È Dio stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo e ci ha conferito l’unzione”. A quale unzione si riferisce l’apostolo? L’accostamento del discepolo a Cristo lo rende capace di accogliere le sue parole come “via, verità, e vita”, vivificate dallo Spirito Santo nell’intimo del discepolo che desidera seguire il Maestro.
In 1Gv 2,20-27: “Voi avete ricevuto l’unzione dal Santo, e tutti avete la conoscenza. Non vi ho scritto perché non conoscete la verità … E quanto a voi, l’unzione che avete ricevuto da lui rimane in voi e non avete bisogno che qualcuno vi istruisca. Ma, come la sua unzione vi insegna ogni cosa ed è veritiera e non mentisce, così voi rimanete in lui come essa vi ha istruito”.
In Gv 17, 17-19 Gesù prega il Padre per i suoi: “Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità”. La consacrazione del discepolo riguarda la fedeltà alla verità di Gesù, garantita dall’azione dello Spirito.
In 1Gv 2,20-21.27: “L’unzione che avete ricevuto da lui rimane in voi e non avete bisogno che qualcuno vi istruisca. Ma, come la sua unzione vi insegna ogni cosa ed è veritiera e non mentisce, così voi rimanete in lui come essa vi ha istruito … L’unzione che avete ricevuto da lui rimane in voi e non avete bisogno che qualcuno vi istruisca. Ma, come la sua unzione vi insegna ogni cosa ed è veritiera e non mentisce, così voi rimanete in lui come essa vi ha istruito”.
La Parola conferisce l’unzione dello Spirito e consacra il discepolo per la conoscenza della verità: “Anche se queste parole sono composte da uomini e pronunciate da uomini, portano in sé il soffio di Dio, possono vivificare l’uomo … Notiamo la centralità dell’eucarestia e l’unione di due consacrazioni: una storia sotto le specie della parola, un corpo che ricapitola la storia sotto le specie del pane e del vino …Poiché questa trasformazione si compie per impulso dello Spirito, ciò che risulta, la parola, nasce consacrata, è Parola di Dio…Non separiamo questa consacrazione dall’altra, la consacrazione sotto le specie della parola … Che la parola ispirata possa risuonare dentro di noi, ispirandoci, che ci riempia del vento dello Spirito.” (A. L. Schökel).
Lo Spirito in qualche modo permane stabilmente nella Parola ispirata, facendola crescere in colui che la accoglie. È dunque legittimo parlare, per analogia, di “incarnazione” e “consacrazione” dello Spirito. Lo Spirito “abita” le parole umane e le “divinizza”. L’ispirazione “consacra” la parola umana trasfigurandola in Parola di Dio. In analogia alla consacrazione del pane e del vino per la potenza dello Spirito, lo Spirito “consacra” le parole di uomini in Parola di Dio. E, come ricevendo l’Eucarestia riceviamo anche lo Spirito che la consacra e la trasfigura da realtà materiale in sacramento, così accogliendo con fede la Parola accogliamo lo Spirito che l’ha ispirata e consacrata come parola divina. S. Paolo è esplicito quando scrive: “Ricevendo la parola di Dio che noi vi abbiamo fatto udire, l’avete accolta non come parola di uomini ma, qual è veramente, come parola di Dio, che opera in voi credenti” (1Ts 2, 13).
La Parola “consacrata” dallo Spirito acquista così una dimensione sacramentale: “La sacramentalità della Parola si lascia così comprendere in analogia alla presenza reale di Cristo sotto le specie del pane e del vino consacrati. Accostandoci all’altare e prendendo parte al banchetto eucaristico noi comunichiamo realmente al corpo e al sangue di Cristo … Sull’atteggiamento da avere sia nei confronti dell’Eucaristia, che della Parola di Dio, san Girolamo afferma: «Noi leggiamo le sante Scritture. Io penso che il Vangelo è il Corpo di Cristo; io penso che le sante Scritture sono il suo insegnamento. E quando egli dice: Chi non mangerà la mia carne e berrà il mio sangue (Gv 6,53), benché queste parole si possano intendere anche del Mistero [eucaristico], tuttavia il corpo di Cristo e il suo sangue è veramente la parola della Scrittura, è l’insegnamento di Dio». Cristo, realmente presente nelle specie del pane e del vino, è presente, in modo analogo, anche nella Parola proclamata nella liturgia” (Benedetto XVI, Verbum Domini 56).
Non dimentichiamo, infine, il valore spirituale delle nostre parole. Noi siamo “unti” per ungere con il balsamo della Parola le fragilità umane, le sofferenze, le tante malattie. Siamo chiamati a ungere ogni ferita e ogni piaga con l’unguento della Parola che ridona fiducia e forza, soprattutto “speranza contro ogni speranza” (Rm 4,18). Ungere con la Parola significa spalmare sulle fragilità umane le parole della fedeltà di Dio, della sua vicinanza, della verità e della bellezza dei gesti di Gesù: “Siamo ‘immagine’ di Elohim in molte cose, ma soprattutto lo siamo quando diamo ordine al mondo dicendolo con le parole, quando risuscitiamo noi stessi e gli altri con una parola finalmente diversa, quando feriamo e uccidiamo gli altri e noi stessi con una parola sbagliata. Eravamo già immagine di Dio nelle grotte e nelle tende mobili del neolitico, ma lo siamo diventati di più per i miliardi di parole buone e belle che abbiamo imparato a ripeterci gli uni gli altri, ogni giorno” (L. Bruni).
A immagine della Parola consacrata dallo Spirito, le nostre parole umane devono spandere la fragranza del profumo dello Spirito: amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà (cfr. Gal 5,22).
+ Gerardo Antonazzo