Discepoli del “terzo giorno”
Omelia per l’inizio della Visita pastorale nella Zona Aquino
Aquino-Basilica Concattedrale, 30 agosto
Carissimi presbiteri e diaconi,
cari fratelli e sorelle,
nel nome del Signore che ci ha amati, vi saluto nella pace.
La benevolenza del Signore risorto concede alle nostre comunità la grazia di riprendere oggi il cammino ecclesiale della Visita pastorale. Nel fare memoria della Pasqua di Cristo, ravviviamo in ogni famiglia, in ogni contrada, in ogni periferia geografica, religiosa ed esistenziale, nelle nostre organizzazioni religiose, nel dialogo con le associazioni di volontariato e con ogni istituzione del territorio di questa ampia Zona pastorale, le parole di Gesù: “Sto alla porta e busso” (Ap 3,20). Suscita entusiasmo spirituale quanto scrive s. Ambrogio: “Beato colui alla cui porta bussa Cristo. La nostra porta è la fede la quale, se è forte, rafforza tutta la casa. È questa la porta per la quale entra Cristo … Ascolta colui che bussa, ascolta colui che desidera entrare… Rifletti sul tempo nel quale il Dio Verbo bussa più che mai alla tua porta…egli si degna di visitare quelli che si trovano nella tribolazione e nelle tentazioni perché nessuno, vinto per avventura dall’affanno, abbia a soccombere… se dormi e il tuo cuore non veglia, egli bussa e domanda che gli si apra la porta… L’anima dunque ha le sue porte, l’anima ha il suo ingresso. Ad esso viene Cristo e bussa, egli bussa alle porte. Aprigli, dunque; egli vuole entrare, vuol trovare la sposa desta” (Commento sul salmo 118).
La seduzione della Parola
Nel Logo della Visita pastorale è presente un segno che rimanda alla Parola con la quale il Signore risorto bussa alla nostra esistenza ingolfata di parole umane. Il segno della Parola è accompagnato da questa didascalia:
“C’è un libro dove inizio e fine sono nella contemplazione del creato narrati e svelati.
C’è un libro dove il mistero indica la strada – a volte accidentata – che alla salvezza conduce, e che i nostri passi sempre precede, e accompagna.
C’è un libro che dà parola al dubbio in una scrittura che è ingegno divino.
Parola che dà voce a chi non ce l’ha, parola che l’essere umano risveglia e rende libero.
C’è un libro tutto da leggere e da scrivere con grandezza d’animo in operosa umiltà. Qualcuno bussa alla porta della tua casa. Apri e ascolta”.
Di questo Ascolto il profeta Geremia ne ha fatto una ragione di vita, una passione d’amore, oltre ogni affetto umano. Investito sin da ragazzo di una missione profetica, non è mai venuto meno al dovere di ascoltare Dio e di proclamare la Parola del Signore: “Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato … Il Signore stese la mano e mi toccò la bocca, e il Signore mi disse: Ecco, io metto le mie parole sulla tua bocca” (Ger 1,5.9). La prima lettura contiene l’ultima drammatica “confessione” del profeta, il suo sfogo finale: il più violento e incredibile. La vocazione profetica si fa tragica, tanto da chiederci: così un profeta, un credente, può parlare al suo Signore?
La “confessione” di Geremia in questo testo è amara nella prima parte, disperata nell’ultima. Gli avversari hanno prevalso, il Signore sembra averlo abbandonato, la sua attività si rivela un fallimento, la vocazione non più una seduzione, ma un inganno inatteso. Meglio non essere mai nato! All’inizio della sua missione, è come se il Signore avesse chiesto a questo giovane, come fosse uno dei tanti nostri giovani, relazioni amorose, fino a sedurlo, a conquistargli il cuore. Il Signore aveva proibito al profeta perfino di sposarsi, perché lo voleva tutto per sé, consacrato dalla Parola al servizio di Dio e del popolo. Geremia si è lasciato sedurre dalle belle promesse, e ora si ritrova come abbandonato da Dio, e zimbello della popolazione. Dovrà sprofondare nel fango di un pozzo per una morte affrettata, ma arriverà la liberazione insperata, e Geremia uscirà dalla fossa, dalla morte che ormai minacciava di chiudersi sopra di lui.
La Parola della croce
Cari amici, quella vissuta da Geremia è un’esperienza che anticipa e prefigura il mistero della sofferenza di Cristo: deriso, osteggiato, insultato, tradito e condannato a morire come fosse un malfattore, per poi risalire dagli abissi della morte e risorgere vittorioso sulla malvagità degli uomini. Pietro trova duro il discorso di Gesù, anzi tenta di ostacolarlo. E noi? Quale è la nostra presa di posizione di fronte all’annuncio della passione? Ben presto, anche la nostra reazione come quella di Pietro, potrebbe opporre resistenza, una dura e decisa presa di distanza. Al solo ascoltarlo Pietro è atterrito, gli tremano le labbra e le gambe. È tramortito dalla domanda interiore: che fino dovrò fare anch’io, se il destino del mio Maestro parla di sofferenza e morte? Il suo cuore è talmente chiuso nella tristezza da non accogliere la promessa del terzo giorno. Alla domanda iniziale del Maestro: “Voi chi dite che io sia? la confessione di Pietro lo aveva collocato più “avanti” rispetto agli altri apostoli, ma nel momento in cui non accetta la prova della passione e l’annuncio del terzo giorno, deve ripassare “dietro” a Gesù (v.23): “Va’ dietro a me, Satana!”.
Cari amici, nessuno può dirsi sicuro della fede che professa! Neppure noi siamo al sicuro da ogni crisi di fede nel tempo della sofferenza, dell’opposizione, dell’incomprensione, della derisione del nostro essere cristiani. Il mondo di oggi conosce forme sottili e subdole di persecuzione per impedire la fede dei credenti, per screditare la novità della vita cristiana, per imporre stili di vita paganeggianti, innocui in apparenza, ma deleteri e disgreganti nella loro pervasività. Per salvare la fedeltà alla “Parola” del Signore bisogna essere disponibili a “perdere” la vita: “Sono stato crocifisso con Cristo” (Gal 2,19). L’espressione “salvare la propria vita” è voler costruire sulle proprie tranquillità e comodità, evitando scossoni e imbarazzi, disappunti e contrasti. Se così dovessimo pensare, il nostro vivere da cristiani sarebbe votato al fallimento. Al contrario “perdere la propria vita” a causa di Cristo, è ricevere la vita vera premiata dalla fedeltà a Lui.
Salvati dalla Parola
La crisi di Geremia e di Pietro è la nostra crisi davanti alla Parola ascoltata: ciò che dovrebbe essere la forza divina in noi, diventa anche per noi motivo di scandalo, di peso, di vergogna, di imbarazzo, per poi naufragare nell’ incoerenza e contro-testimonianza. Domandiamoci allora che razza di comunità cristiane abbiamo costruito, su quali fondamenta di fede celebriamo i sacramenti della Chiesa, quale responsabilità educativa gli adulti delle nostre comunità sono pronti a mettere in campo al servizio dei propri figli, e anche al servizio dei figli degli altri. Il Signore che bussa alla porta di questa porzione di Chiesa diocesana, qual è la Zona pastorale di Aquino, chiede conto del fervore della fede realmente vissuta e testimoniata, oppure del suo triste affievolimento. Se così fosse, non saremo risparmiati dalla severa ammonizione di Gesù risorto alla Chiesa di Laodicea: “Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca … Ti consiglio di comperare da me …collirio per ungerti gli occhi e recuperare la vista. Io, tutti quelli che amo, li rimprovero e li educo. Sii dunque zelante e convèrtiti. Ecco: sto alla porta e busso” (cfr. Ap 3,15-20). Solo la docilità irremovibile alla Parola di Dio può fare resistenza alle spinte divoratrici del mondo pagano.
Anche l’apostolo nella seconda lettura ammonisce: “Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rm 12,1-2). La Visita pastorale è tempo di consolazione e di discernimento alla luce e nella forza della Parola di Dio. Tempo di ascolto, per ritemprare le nostre energie spirituali, guidati da una “fede retta, speranza certa, carità perfetta e umiltà profonda … senno e discernimento per compiere la tua vera e santa volontà” (Preghiera di s. Francesco davanti al Crocifisso). La vita del discepolo, nutrita di fede preghiera e carità, deve diventare un “sacrificio vivente” gradito a Dio: “Lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare”, secondo la volontà di Dio, frutto di un laborioso e onesto discernimento.
Cari sorelle e fratelli, tale rinnovamento che l’apostolo auspica riguarda la vita battesimale di ogni credente, delle nostre famiglie, delle nostre parrocchie, del nostro essere “corpo di Cristo”, dal momento che noi “pur essendo molti, siamo un corpo solo in Cristo e, ciascuno per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri” (Rm 13,5). La Parola che ha occupato il cuore e la vita del profeta Geremia e ha illuminato la faticosa adesione di Pietro alla sequela fedele di Cristo, resta per tutti l’unica Parola di vita eterna che regola la corrispondenza della mostra vita alla volontà di Dio, per compiere sempre e soltanto “ciò che è buono, a lui gradito e perfetto”. La Visita pastorale del Vescovo sia per tutti noi tempo prezioso e privilegiato di discernimento, di conversione pastorale, di decisioni coraggiose e necessarie per la missione della Chiesa “in uscita” per cogliere gli appelli con cui Dio educa la nostra fedeltà a Gesù. Perciò, “chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese” (Ap 1,7).