“Quell’insegnante ha dato la vita per la scuola, quell’uomo ha messo tutto se stesso per realizzare quel progetto”. Chi di noi non ha sentito espressioni come queste? Modi di dire per comunicare semplicemente una sola verità: la persona di cui stiamo parlando non si è risparmiato nel compiere il desiderio di realizzarsi nell’opera per cui si è impegnato.
L’atmosfera culturale in cui respiriamo spinge tutti a trovare la fantomatica realizzazione di se stessi. E di per sé è giusto tale fine, anzi ogni uomo è stato creato da Dio per la propria realizzazione. Da discutere, allora, sono le modalità e cosa si intende per realizzazione personale.
E in questa pennellata che ci offre la pagina del Vangelo secondo Giovanni, in quella che è tradizionalmente chiamata la “Domenica del Buon Pastore”, Gesù afferma di aver dato anche Lui la sua vita per un solo fine: essere amato dal Padre.
Gesù, però, non elenca i miracoli compiuti e le parabole pronunciate per elogiare, a mò di medaglie e attestati, i suoi meriti di uomo pienamente realizzato.
Gesù sa bene che non è nel fare ma nell’essere che si consuma il mistero della propria esistenza. Ed è proprio per questo motivo che oggi utilizza due verbi fondamentali del vocabolario biblico: conoscere ed essere amati.
Cosa ci realizza più della certezza di essere amati? Cosa è capace di darci quella pace interiore, se non la consapevolezza di essere al centro delle attenzioni del Padre? Solo questa ragione di vita può donarci il coraggio di donare la vita, come ha fatto il Signore Gesù.
Una vita donata e non subìta, una vita per amare e non per sopravvivere.
“Il Padre conosce me e io conosco il Padre, io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me”: ci sembra di vedere un gioco di cerchi che si intersecano tra di loro e, seguendone la circonferenza, non se ne trova mai la fine.
Ecco il mistero dell’amore del Padre di cui Gesù dà testimonianza nel vangelo del Buon Pastore: mi scopro amato e dunque amo, e quando amo ricevo amore, in una donazione eterna tra Padre e Figlio che ci ha resi sue pecore, perché marchiati a sangue con il Suo sangue.
Viviamo allora la quotidianità con la certezza di una voce che ci chiama, con la sensibilità di chi sa di non poter fare a meno di quella voce, con la certezza che seguire Cristo non significa far parte del club esclusivo dei perfetti o dei migliori o dei privilegiati.
Ci sono tante pecore al di fuori dell’ovile che devono essere raggiunte dalla voce di Cristo per mezzo della nostra voce, affascinate e provocate a seguire il Signore e il Maestro guardando noi che già lo seguiamo.
Che la nostra vita, allora, possa dire ogni giorno, insieme a Cristo: per questo il Padre mi ama!
Perché nessuno mi toglie o mi obbliga: solo la forza dell’amore del Padre e la potenza della voce del Figlio mi persuade a vivere da figlio.
Don Benedetto Minchella