Sabato 10 dicembre, presso la chiesa di Santo Spirito, si è tenuto il quarto incontro del gruppo del corso biblico, presieduto da don Giovanni De Ciantis. Proseguono, dunque, le analisi dei brani biblici, particolarmente incentrati sulla predilezione che Dio riserva agli ultimi, ovvero a quelli che normalmente la società emargina agli ultimi posti, o non considera adeguatamente. Questa volta, la riflessione si è soffermata sul capitolo 16 (versetti 1-13) del Primo libro di Samuele.
In questo brano si racconta della consacrazione regale di Davide. Non è un caso che Davide sia il re di Israele, e di conseguenza Gesù verrà definito figlio di Davide. Infatti, quando Egli entra a Gerusalemme, poco prima di essere condannato alla crocifissione, viene salutato dalla folla al grido di “Osanna al figlio di Davide”.
Perché Gesù viene chiamato “figlio di Davide”? La questione è di carattere storico. All’epoca, ovviamente, non esistevano registri in cui venivano annotate le nascite come avviene oggi. Per indicare una persona gli si dava l’appellativo del padre. Perciò, Gesù, correttamente era “Gesù di Giuseppe”. Tuttavia, quando nella genealogia di una famiglia c’era un avo o un capostipite importante, l’appellativo indicava proprio quella persona. Ecco allora che Gesù diventa “Gesù di Davide”, da cui discendevano Giuseppe e i suoi famigliari.
Davide è il re per eccellenza del popolo ebraico. Non perché fosse perfetto, anzi era estremamente imperfetto. Dio lo sceglie perché attraverso Davide si potesse manifestare la grandezza di Dio. Anche Gesù, nella sua natura umana era imperfetto (infatti anche Lui muore in croce), e proprio perciò è il Figlio prediletto, nel quale Dio pone il suo compiacimento. Nell’imperfezione dell’umanità di Gesù si rivela l’onnipotenza di Dio, per mezzo della resurrezione.
Il popolo di Israele aveva gridato contro Dio, affinché gli desse un monarca, il quale avrebbe dovuto compiere l’unificazione delle tribù. Quel primo re fu Saul, il quale fu scelto direttamente da Dio, con la consacrazione del profeta Samuele. Però, succede che Saul diventa prepotente, arrivando a dimenticare gli insegnamenti divini e addirittura volendosi sostituire a Dio stesso. Anzi, arriverà a voler uccidere Davide, accecato dalla gelosia e dalla brama di potere.
Ma Dio sceglie Davide, il quale, a differenza di Saul, mette sempre Dio al primo posto. Infatti, pur potendo vendicarsi e uccidere Saul che aveva tramato contro di lui, dirà di non poter alzare la mano contro un consacrato di Dio. In altre parole, quel primo re, Saul, aveva rifiutato il primato di Dio, che perciò sceglie un altro uomo, cioè Davide. Questo, naturalmente, è un ammonimento anche per noi oggi: chi è per noi Dio? È al primo posto nella nostra vita?
Al versetto 1, Samuele è preoccupato per la sorte di Saul, che ha ripudiato Dio. Ma Dio affida al suo profeta una missione, recandosi da Iesse il betlemita, uno dei figli del quale sarà consacrato come nuovo re. In quella parola, “Betlemita”, cioè abitante di Betlemme, dove poi nascerà Gesù, si può cogliere l’evidenza di come il Vecchio Testamento nasconda il Nuovo, e il Nuovo sveli il Vecchio: Davide come prototipo che anticipa la figura di Gesù.
Samuele, un po’ alla maniera di Mosè, cerca di tirarsi indietro, facendo presente a Dio che ci sono delle difficoltà: se Saul si accorgesse di quello che sta facendo, lo ucciderebbe. Ma Dio gli suggerisce che stratagemma utilizzare per giungere all’obiettivo di consacrare il nuovo prescelto, Davide: un sacrificio propiziatorio, durante il quale Dio gli indicherà ciò che deve fare. Insomma: Dio sta dicendo a Samuele di fidarsi di lui.
Infatti, quello fa come gli dice il Signore. Si reca a Betlemme per il sacrificio; invita Iesse e la sua famiglia a purificarsi per il sacrificio; Samuele credeva di dover consacrare il primogenito, Eliab; tuttavia, Dio gli dice di non badare all’apparenza, poiché «l’uomo non vede quello che vede Dio. L’uomo infatti guarda all’apparenza, ma il Signore guarda al cuore».
Questa è una delle frasi fondamentali di tutta la Sacra Scrittura. Vedere il cuore significa vedere l’intimità di una persona, il centro del discerimento delle scelte di vita di quella persona. È un invito anche a noi, a non fermarci all’apparenza, ma ad entrare nel vissuto, nella storia di una persona, per coglierla in maniera autentica.
Stessa sorte tocca anche agli altri figli: Abinadab, Samma, e tutti i sette figli di Iesse. C’era però il figlio minore, che stava a pascolare il gregge (cioè Davide stava facendo il pastore, che è un evidente richiamo a quella che sarà la missione di sorvegliare il popolo di Dio). Samuele ordinò che lo si mandasse a chiamare; lo unse e lo consacrò in mezzo ai fratelli; così che lo spirito del Signore fu con Davide da quel giorno in poi.
Un monito viene anche a noi: la giovane età, spesso considerata segno di immaturità, viene bollata con frasi del tipo “è giovane, che ne può sapere”. Ma non sempre giovinezza è segno di pochezza, come vecchiaia non è segna di saggezza. Anche in questo non si devono giudicare le apparenze, perché l’esperienza non è un accumulo di cose e di fatti, bensì è la capacità di sapere leggere i fatti con gli occhi giusti (che sono quelli che dona il Signore).
Vincenzo Ruggiero Perrino