Sabato 22 ottobre, presso la chiesa di Santo Spirito, è iniziato il terzo anno di incontri del corso biblico. Anche per questo nuovo ciclo si è scelto di darsi appuntamento il sabato pomeriggio. E, oltre ai tanti che già avevano frequentato le lectiones durante i cicli passati, il gruppo si è arricchiti di nuovi/e amici/che
Diversamente dai precedenti anni – nel primo si è letta e approfondita la Genesi, nel secondo l’esegesi si è incentrata sul Vangelo di Luca – Don Giovanni De Ciantis, guida spirituale del gruppo, ha proposto un percorso “trasversale”. Infatti, è stato individuato un tema, e cioè la predilezione di Dio per i poveri e gli indifesi e conseguentemente quale società civile gli uomini dovrebbero edificare, e verranno affrontate letture sia dal Vecchio che dal Nuovo Testamento, che più o meno direttamente trattano questo tema.
Così, per iniziare a circoscrivere il tema prescelto, si è partiti dal dodicesimo capitolo di Luca, nel quale pur non affrontando direttamente il tema, Gesù spiega quali siano le coordinate nel quale il vero e autentico cristiano deve muoversi.
All’inizio del capitolo, l’evangelista ci dice che c’era una folla indistinta, tale che quasi si calpestavano l’un l’altro. In quella caotica massa di gente non è possibile cogliere l’individualità di nessuno, anzi tutti nella folla si rendono anonimi e nascosti. E in tal modo nessuno si sentirà responsabile né per sé, né per il prossimo suo. Anzi, Luca dice chiaramente che si calpestavano vicendevolmente. Sembra una chiara descrizione della società odierna: una folla di uomini e donne, che vivono nascosti e protetti dall’anonimato che la massa garantisce loro, non sanno più riconoscersi come individui, ed in questo modo non riescono più a relazionarsi pacificamente.
Tuttavia, Gesù, che non si confonde in alcuna folla, riesce in quella a distinguere i discepoli, ossia tutti coloro che vogliono ascoltare e vogliono seguirne l’insegnamento. Egli li mette in guardia non tanto dai farisei in quanto persone (infatti egli non giudica nessuno), ma da ciò che sostanzia le opere dei farisei (il lievito del loro agire), e cioè l’ipocrisia.
Ipocrisia è un termine che in greco assume un significato un po’ diverso dall’accezione che noi comunemente gli diamo. Infatti, essa è la falsa percezione che si ha di sé, e quindi la incapacità a relazionarsi autenticamente con il prossimo. Perciò, l’ipocrita è chi agisce in maniera non autentica e si comporta nei fatti in maniera difforme da ciò che predica con le parole. Ma il termine “ipocrisia”, contiene anche un riferimento alla “crisi”, ossia a quello stato esistenziale per cui un uomo è messo di fronte ad un accadimento, interiore o esteriore, che lo pone in una situazione conflittuale. Dalla crisi si esce appunto chiarendo a sé stessi la propria individualità, per potersi porre in maniera autentica e non ipocrita nei confronti del prossimo.
In altre parole, nella nostra vita bisogna entrare in comunione innanzitutto con se stessi, facendosi aiutare a sciogliere i nodi critici della propria individualità, e vivere in tal modo relazioni più autentiche e libere. Anche perché, dice Gesù, il comportamento falso e ipocrita prima o poi viene svelato, e nulla di ciò che è nascosto resterà tale.
Un poco oltre, al versetto 49, Gesù afferma di essere venuto a gettare fuoco sulla terra. È un modo, tra l’altro, per lasciare intendere che Egli è venuto per creare scompiglio tra le tradizioni farisaiche, che ormai erano solo un vuoto rituale fine a se stesso, e indicare una via più autentica di vivere la relazione con Dio e con il prossimo. Tuttavia, l’immagine del fuoco ha anche altri sensi.
Il fuoco è l’elemento con il quale ci si scalda, ci si difende, si cucina, si illumina. Ed è anche l’elemento che serve per purificare (infatti è utile per bruciare le impurità anche dei metalli più preziosi). Perciò, il fuoco che Gesù getta è anche il fuoco che deve purificare l’umanità dalle scorie dell’ipocrisia, per rendere più autentiche le relazioni individuali. Egli aggiunge che dovrà avere un battesimo (che non è certo il nostro odierno sacramento, ma va letto con il senso di immersione purificatrice). È evidente il riferimento all’immersione nel martirio della croce, ma si allude anche all’immersione nell’incomprensione che l’insegnamento di Gesù incontrava nelle masse.
Il brano si conclude con un’affermazione apparentemente sconcertante. Gesù dice di non essere venuto a portare la pace, bensì la divisione, tanto che in una famiglia ci saranno padre contro figlio, madre contro figlia, suocera contro nuora. Questa affermazione va letta insieme con il brano che precede. In tal modo si comprende che la divisione che Gesù vuol portare è appunto quella di far emergere le individualità di ognuno dall’anonima massa in cui vivono, in modo che ciascun uomo possa essere “contro” (non nel senso oppositivo, ma con senso di luogo, come a dire “di fronte”) l’altro uomo, in una relazione di parità, autenticità e libertà. Solo in questo modo la pace, che non è un dono divino ma una conquista che si ottiene rivalutando la propria individualità e riconoscendosi uguali, può instaurarsi nelle relazioni umane.
Non a caso, tutta la creazione è avvenuta appunto per divisione e separazione: e dalla divisione il caos si trasforma in ordine. E solo così il padre, riscoperta la propria individualità potrà stare “contro” il proprio figlio e vivere con lui una relazione non ipocrita.
Vincenzo Ruggiero Perrino