SE TORNERAI (Biagio Antonacci)
Se… tornerai…
lo farai con il mio cuore in mano
se tornerai… lo farai senza mai chieder scusa
tu sei così…sei come il sole, e come il sole vieni e vai…
tornerai… tornerai
Se tornerai non ti chiederò dove sei stata
né…né con chi
non starò lì ad annusare il tuo profumo diverso
e non guarderò nelle tue tasche…!
via, metto via… l’orgoglio e la mia solita poesia
metto via… tutto quello che non è servito…
a tenerti ancora qui con me.
Se… tornerai… sarà come non averti amata mai
come fai… a non sentire il vuoto di quest’anima
come fai… a non dare un giorno al tuo ritorno tu… tu come…
nananananana
nananananana
Se… tornerai quest’anima ti aspetta già da un po’ “e lo sai”
lascio sempre la mia chiave fuori
così se tu arrivassi anche di notte… entrerai, entrerai
la chiave ce l’hai ancora quindi ti aspetterò
nel mezzo di un bel sogno o quando
mi sveglierò col cuore sopra il tuo.
Ma come fai… a non chiamare nè a rispondere… cos’è? che ti dà
il potere di non farmi respirare… cos’è?
che comanda il senso di queste parole…
che voglio dire
nananananana
nananananana
nananananana
nananananana
Se… tornerai… sarà come non averti amata mai
come fai… a non sentire il vuoto di quest’anima
come… a non dare un giorno al tuo ritorno… tu
col mio destino che ti chiama
a voce bassa, ma ti chiama…
Il tuo silenzio è come un taglio… che non si chiude
…dove sei?
Nell’ebraico biblico, l’idea della conversione è resa con “shuv“, che vuol dire ritorno (dal verbo “shav” = ritornare: “teshuva” è pentimento): colui da cui si ritorna, il Padre, è dunque la figura del Dio che Gesù è venuto ad annunciare, alla cui casa siamo chiamati a fare ritorno.
Il capitolo 15 del Vangelo di Luca contiene le tre parabole della misericordia: quella della pecora smarrita, quella della moneta perduta, e poi la più lunga di tutte le parabole, tipica di san Luca, quella del padre e dei due figli, il figlio “prodigo” e il figlio, che si crede “giusto“, che si crede santo. Tutte e tre queste parabole parlano della gioia di Dio. Dio è gioioso. Interessante questo: Dio è gioioso! E qual è la gioia di Dio? La gioia di Dio è perdonare, la gioia di Dio è perdonare! È la gioia di un pastore che ritrova la sua pecorella; la gioia di una donna che ritrova la sua moneta; è la gioia di un padre che riaccoglie a casa il figlio che si era perduto, era come morto ed è tornato in vita, è tornato a casa. Qui c’è tutto il Vangelo! Qui! Qui c’è tutto il Vangelo, c’è tutto il Cristianesimo! Non è soltanto sentimento, non è “buonismo!“. Al contrario, la misericordia è la vera forza che può salvare l’uomo e il mondo dal “cancro” che è il peccato, il male morale, il male spirituale. Solo l’amore riempie i vuoti, le voragini negative che il male apre nel cuore e nella storia. Solo l’amore può fare questo, e questa è la gioia di Dio!
Il padre della parabola (del figlio prodigo o del padre misericordioso) non rappresenta un Dio impassibile, spettatore freddo, asettico, delle sofferenze del mondo, ma un Dio capace di soffrire per amore della sua creatura.
Poiché aveva sofferto, il padre non può non rallegrarsi dello shuv, del ritorno del figlio. Tutto questo conduce ad evidenziare un’importante caratteristica del Dio di Gesù: il mistero della sua sofferenza.
C’è nel racconto un’affermazione importantissima, al verso 24, ripetuta al v.32, in cui il motivo della gioia e del dolore di Dio è così espresso: “Questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato“. Conviene riflettere sulle due motivazioni. Il primo motivo del dolore del padre è che il figlio “era morto“, aveva distrutto se stesso. Il secondo motivo – “era perduto” – si collega al fatto che il figlio si era allontanato da lui. Vi è qui una sfumatura di straordinaria bellezza: Dio soffre prima di tutto perché la sua creatura soffre e soltanto in secondo luogo perché tale sofferenza è causata dall’allontanamento da Lui.
Come avviene per ogni vero amore al primo posto non sta il dolore del nostro cuore, ma il dolore dell’altro, la sua rovina. Così è l’amore di Dio, capace perciò di soffrire di una sofferenza d’amore. Se Dio non potesse amare, semplicemente non potrebbe soffrire. Il mistero della sofferenza in Dio è il mistero della sua infinita capacità di amare, senza la quale noi saremmo soltanto dei burattini davanti all’imperscrutabile mistero.
È un Dio che non rimane estraneo al dolore degli uomini, prigioniero di un divino egoismo, ma sa “com-patire” la storia della Sua creatura. Come afferma Giovanni Paolo II nell’Enciclica Dominum et vivificantem “C’è un mistero di sofferenza in Dio Trinità, che è l’altro nome dell’amore divino per gli uomini“.
Il mistero di questo dolore d’amore, nascosto nel più profondo del cuore del Padre, il Dio di Gesù, è qualcosa di molto vicino umanamente e risuona, in particolare, in una canzone di Biagio Antonacci che fa pressappoco così…
Angela Taglialatela