Sabato 14 maggio si è tenuto il sedicesimo incontro del corso biblico, presso la chiesa di Santo Spirito, in concomitanza con la veglia di preghiera e l’adorazione eucaristica in preparazione alla solennità della Pentecoste.
Siamo giunti al capitolo quindicesimo del vangelo di Luca. L’evangelista riferisce le parabole raccontate da Gesù, per spiegare la misericordia del Padre. Tutti gli studiosi e gli esegeti concordano nel ritenere che questa parte del vangelo è per eccellenza dedicata al tema della Divina Misericordia. Pertanto, mai come in questo caso, è necessario per il cristiano conoscere bene ciò di cui la Parola tratta in questo capitolo. Qui, Dio non è padre severo o giudice che condanna e punisce, bensì è un padre che mostra tenerezza verso i suoi figli, un padre, appunto, misericordioso per amore. Di conseguenza, è importante riscoprire anche la dimensione di fratellanza, e quindi relazioni più autentiche e profonde, che dovrebbero unire tutti i figli di Dio.
Il capitolo 15 è al centro dell’intero vangelo. È preceduto dai capitoli dell’infanzia e dai detti e dai miracoli di Gesù; ed è seguito dagli ultimi episodi del ministero pubblico, che precedono l’ingresso a Gerusalemme, meta ultima del viaggio di Gesù e anche della narrazione di Luca. Quindi, al centro del racconto evangelico c’è la misericordia: ogni buon cristiano deve mettere al centro della propria vita l’atteggiamento misericordioso verso i fratelli, come Dio ha mostrato misericordia verso le nostre debolezze umane. Non a caso, in questo capitolo si parla anche della debolezza degli uomini, tema speculare a quello della misericordia divina.
Le tre parabole che formano il contenuto di questo capitolo sono quella della pecorella smarrita, quella della dracma perduta, e quella del figliuol prodigo (o, per meglio dire, del padre misericordioso). C’è un filo conduttore che unisce i tre racconti ed è quello di qualcuno o qualcosa che si perde (la pecora, la moneta e il figlio); successivamente c’è il ritrovamento; ed infine la festa per la felicità dell’aver ritrovato ciò che si era perduto. Inoltre, queste parabole lasciano agevolmente intendere che, per poter essere trovati da Dio, bisogna anche lasciarsi cercare.
Il capitolo si apre con una significativa introduzione: Luca, infatti, ci dice che a Gesù si avvicinavano i pubblicani e i peccatori per ascoltare ciò che diceva. Sono proprio le persone di cattiva reputazione quelle più predisposte all’ascolto della parola; quelli che ritengono di essere nel giusto e nella verità, spesso si insuperbiscono e pretendono di non aver bisogno dell’ascolto o di mettersi alla sequela di Gesù. Non a caso, l’evangelista precisa che gli scribi e i farisei (appunto quelli che ritenevano di possedere la conoscenza completa delle cose di fede) mormoravano e mal giudicavano il comportamento di Gesù, che frequentava i peccatori.
Gesù, a quelli che gli si fanno vicini, racconta innanzitutto la parabola della pecorella smarrita. È bene notare che la pecora rappresenta ciascuno di noi che, contando su un falso senso di orientamento, si smarrisce e perde il contatto con gli altri (le altre 99 pecore). Il buon pastore, anziché disinteressarsi o adottare provvedimenti “restrittivi” verso la pecora che si è smarrita, si mette alla sua ricerca, andandole incontro. E, quando l’ha trovata, pieno di gioia (la gioia nasce proprio dalla consapevolezza del perdono), se la carica sulle spalle e la riporta a casa, dove fa festa con gli amici: Gesù carica ciascun uomo sulle spalle e lo riporta a casa, vicino agli altri. È un atteggiamento che può apparire quasi illogico secondo la mentalità umana. Tuttavia, la logica della misericordia di Dio non è quella degli uomini, che piuttosto preferiscono chiudersi nel proprio egoismo e nella proprio autoreferenzialità.
Poi, Gesù racconta ai suoi ascoltatori la parabola della moneta persa, dietro la quale si nasconde anche un richiamo al perdersi degli uomini dietro i beni materiali, che spesso non si sanno condividere con il prossimo. La donna che ha perduto la dracma, si alza, accende la lampada e cerca accuratamente la moneta in casa, e non si ferma fintanto che non l’ha ritrovata. Dopo averla trovata, chiama le amiche, affinché si rallegrino con lei per la gioia dell’avvenuto ritrovamento. È importante notare che tanto il pastore quanto la donna chiamano gli amici, per condividere la loro gioia, mentre spesso noi altri ci ricordiamo degli amici solo per confidare loro i nostri problemi e le nostre angosce.
Infine, Gesù racconta la celebre parabola del padre misericordioso e dei suoi due figli, che parte da un’ambientazione ordinaria e quotidiana, per aprirsi a considerazione di carattere più universale. I due figli richiamano il maggiore i dottori della legge, tutta forma e poca sostanza, e il minore i peccatori e i pubblicani, che si allontanano da Dio. Non a caso, il minore si allontana dal padre, ma l’altro, ligio ad un dovere che però vive senza alcuna partecipazione emotiva, non parla di “fratello”, ma di “tuo figlio” (laddove il padre invece gli parlerà di “questo tuo fratello”). Il minore chiede la sua parte di eredità, una richiesta sbagliata alla radice, visto che anche in epoca antica si poteva ricevere l’eredità solo alla morte del padre. Perciò, il figlio sembra quasi affermare che per lui è come se il padre fosse morto.
Nonostante l’evidente errore del figlio, il padre divide il suo patrimonio tra i due. Così, il figlio minore va via, lontano: una lontananza che non è tanto da intendersi in senso geografico, quanto in senso esistenziale. In questa terra sciupa e sperpera la sua parte di patrimonio: anche noi, lontani da Dio, possiamo dilapidare i talenti che Egli ci ha dato, perdendo così la nostra “somiglianza” con Lui, e smarrendoci dietro illusioni e false chimere. Infelice nella sua povertà esistenziale, il figliuol prodigo medita sul proprio errore…
Il prossimo incontro del corso biblico si terrà prossimamente a maggio, sempre presso la chiesa di Santo Spirito.
Vincenzo Ruggiero Perrino