Il gruppo del corso biblico della chiesa di Santo Spirito si è riunito, sabato 18 febbraio, per il settimo incontro di questo anno. L’esegesi, guidata da don Giovanni De Ciantis, è proseguita nell’indagine della vicenda umana e spirituale di Davide, con i fatti successivi alla vittoria su Golia, narrati dal Primo libro di Samuele nei capitoli 18 e seguenti.
Davide, ponendo la sua fede in Dio, aveva sconfitto Golia, che invece aveva puntato tutto sulla sua forza e le sue armi. Con Davide è tutto il popolo di Israele che vince. Saul, dunque, riceve Davide, chiedendogli chi fosse suo padre, cioè Iesse il Betlammita. Rispondendogli, Davide tiene a precisare che tanto il padre quanto lui sono “servi di Saul”. Questo dettaglio, essendo Davide un prototipo di Gesù, ci lascia intendere che anche Gesù, nato a Betlemme dalla stirpe di Davide, pur essendo re dell’universo, si farà servo del popolo di Dio.
Il capitolo 18 ci informa dell’amicizia che nasce tra Davide e Gionata, il figlio di Saul. Il testo fa esplicito riferimento all’amore che quest’ultimo prova per il consacrato di Dio, il che ha fatto pensare ad alcuni commentatori che in realtà tra i due ci fosse una relazione omosessuale. Tuttavia, è più opportuno leggere l’amicizia di Gionata nei confronti di Davide, come una sorta di sentimento di protezione del figlio di Saul nei riguardi dell’altro, tanto da salvargli più volte la vita.
Il versetto 8, ci informa dell’irritazione che Saul prova nei confronti di Davide, per il quale il popolo sembra avere una simpatia maggiore, tanto da sospettare che quegli stia tramando per portargli via il regno. Ancora, il versetto 10 ci dice che l’animo di Saul è invaso da un cattivo spirito di Dio. Qui sembra quasi che sia Dio a instillare in Saul propositi cattivi; in realtà Dio infonde in Saul, come in chiunque altro, il suo Spirito: è l’uomo che sceglie di usare quello Spirito a fini malvagi o a fini buoni.
La differenza tra i due protagonisti è proprio qui: Saul preferisce prendere la lancia (e quindi nuovamente puntare tutto su se stesso); Davide, invece, prende la cetra (che era lo strumento musicale con il quale si cantavano i salmi, cioè le preghiere a Dio), e quindi nuovamente fa affidamento a Dio.
Il monito per noi oggi è: nei rapporti con il prossimo preferiamo prendere la lancia o la cetra? Ci affidiamo solo alla nostra umanità o ci affidiamo a Dio? Ci muoviamo secondo il progetto di Dio nei confronti del prossimo?
Per appianare un po’ le divergenze, Davide sposa la figlia maggiore di Saul. Ma questo non serve per calmare la sempre più crescente gelosia di Saul, che progetta di uccidere il ragazzo. Nell’animo di Saul si alternano sentimenti di invidia (per la fortezza che Davide dimostra nel confidare in Dio) e di gelosia (per la paura di perdere il favore del popolo, che parteggia per l’altro). Saul perde di vista che essere re equivale ad essere un pastore per il proprio popolo, che è invece l’atteggiamento che ha Davide. Che, è bene sottolineare, nutre nei confronti di Saul il massimo rispetto.
E oggi, quanto la gelosia e l’invidia ci guidano nei nostri rapporti verso le cose e verso gli altri? Noi, oggi, chi vogliamo glorificare? Noi stessi, o Dio?
I capitoli successivi ci raccontano che Davide è costretto a fuggire e a patire la fame, che gli verrà placata mangiando i pani consacrati del tempio (cap. 21): Dio non lo abbandona e lo sfama, dando dignità alla sua povertà materiale. Giungiamo poi alla conclusione del libro, quando, al cap. 31, Saul muore, suicidandosi per non cadere nelle mani dei suoi nemici.
Sostanzialmente la morte di Saul è dovuta al fatto che egli ha completamente perso il senso della sua vita, nella quale si è aperta un vuoto. Egli ha provato a colmarlo esercitando il suo potere regale, dimenticando la volontà del Signore. E pensa che la morte possa in qualche modo preservarlo dal tormento che quel vuoto gli fa provare.
Perciò, il suicidio, anche oggi, non è mai la soluzione al vuoto che c’è nella vita delle persone. Il vuoto lo si può colmare mettendo nuovamente al centro della propria esistenza, tanto Dio quanto gli altri.
Il Secondo libro di Samuele riparte esattamente da dove il primo si era chiuso: Saul è morto e Davide esprime tutto il suo dolore per la sua morte. Egli diventa re prima della parte nord di Israele e poi di quella sud: il suo regno complessivamente dura 40 anni, tempo non casuale, poiché “40 anni” è il tempo della prova.
Diventato re di tutto Israele, Davide porta l’arca dell’alleanza in Gerusalemme per fare festa. L’arca contiene le tavole della legge; “arca dell’alleanza” è anche Maria, che nel suo grembo ha portato Gesù, incarnazione della legge e della parola di Dio. Ma “arca” possiamo essere anche noi, quando permettiamo a Dio di compiere in noi la sua volontà.
Poi, anche per Davide inizia il periodo della “prova”: mentre i suoi soldati sono a combattere per il popolo, lui se ne sta nella reggia a riposare. I capitoli 11 e 12 del Secondo libro di Samuele sono fondamentali per comprendere il percorso che dal peccato porta al pentimento. Gesù, che nasce dalla stirpe di Davide, viene al mondo da una “famiglia” in cui i peccatori hanno riconosciuto l’azione salvifica che Dio ha operato per loro, e si sono pentiti di quanto compiuto, nascendo a nuova vita. È proprio quello che succede a Davide.
Il quale, conducendo una vita di tutto riposo, viene colpito dalla bellezza esteriore di Betsabea, e si unisce a lei, che resta incinta. Davide “usa” il corpo di Betsabea. E noi oggi “usiamo” il prossimo? Ci facciamo usare? Che tipo di relazioni abbiamo gli uni con gli altri?
Vincenzo Ruggiero Perrino