Il tredicesimo incontro del Corso biblico si è tenuto, sabato 19 marzo, presso la chiesa di Santo Spirito.
In quest’incontro si è proseguita e completata l’esegesi sulla parabola del samaritano (Gesù parla di un “samaritano”, non di un “buon samaritano”). Attraverso questa storia, Gesù vuole offrire non solo un percorso teorico sul comandamento dell’amore, ma vere e proprie indicazioni pratiche. Infatti, Egli non dà una risposta su chi sia il prossimo, né propone dei casi astratti, bensì, prendendo spunto da circostanze reali (come la strada che univa Gerusalemme e Gerico, o la presenza di briganti che depredavano i viandanti), parla di un fatto concreto.
Innanzitutto, il comandamento dell’amore, come anche il dottore della legge ricorda, prevede che bisogna amare Dio con cuore, anima, forza e mente. Con questi quattro “elementi”, in un certo qual modo, Luca, rivolgendosi a lettori di lingua e cultura greca, riecheggia i filosofi presocratici, che avevano rivolto la loro attenzione ai quattro elementi fondamentali della natura: acqua, aria, terra e fuoco.
Il cuore è il motore della vita dell’uomo; l’anima, cioè l’elemento divino nell’uomo, la sua ragione spirituale, è lo spirito vitale; la forza è la dimensione fisica dell’uomo (non dimentichiamo l’importanza della cura del corpo presso la cultura greco-romana), quasi a dire di non rivolgere la propria forza per commettere violenze verso gli altri, ma per amare Dio; la mente è l’intelligenza, la razionalità.
A differenza del sacerdote e del levita che lo hanno preceduto sulla strada (e che, chiusi nel loro sterile mondo di osservanza solo esteriore del comandamento dell’amore, sono passati oltre), il samaritano vede l’uomo mezzo morto e ne ha compassione. Il vedere è il canale per farsi prossimo di qualcuno, in primo luogo perché con il vedere ci si rispecchia nei pregi e nei difetti dell’altro. E, poi, perché è attraverso la vista e tramite un linguaggio non verbale, e non solo con le parole, che si instaura una vera relazione con l’altro.
La compassione, allora, non è un mero atto intellettivo, ma è un atto del cuore. Infatti, il compassionevole per eccellenza è proprio Gesù. Ma, la compassione non è nemmeno la semplice empatia, cioè il limitarsi a cogliere il vissuto emotivo dell’altro. Essa, piuttosto, è un accostarsi alla sofferenza (fisica e non) dell’altro, per aiutarlo ad uscirne fuori.
Dunque: il comandamento, che il dottore della legge cita dalla Scrittura, parla di un amore che si fa servizio, compassione e vicinanza all’altro. Ossia un tipo di amore che il mondo di oggi in tanti casi dimentica, o fraintende. Infatti, nella nostra quotidianità, è più facile fare esperienza di personaggi come il sacerdote e il levita, che guardano e passano oltre, che non di samaritani compassionevoli. Tuttavia, come ricorda anche papa Francesco, vi è anche il rischio di fraintendere il comandamento dell’amore, o attraverso una sua intellettualizzazione (cioè, volendo incasellare Dio e l’amore in ragionamenti astratti che tutto giustificano e vogliono spiegare), o attraverso una sua spiritualizzazione (cioè, nascondendo la propria umanità dietro la preghiera, e perdendo così il contatto reale col prossimo).
Il samaritano si prende cura dell’uomo, inizialmente versando sulle ferite olio e vino, elementi nei quali è possibile leggere i segni dell’iniziazione cristiana. Di conseguenza il messaggio è: il prossimo può lenire le ferite dell’altro soltanto facendosi portatore di Cristo.
Luca dice che il samaritano “caricatolo sulla propria cavalcatura […] si prese cura di lui”. Questo gesto di caricare l’uomo sulle spalle presuppone l’abbraccio nel quale il samaritano accoglie l’uomo. Inoltre, farsi prossimo presuppone anche il portare il peso del proprio fratello bisognoso, peso non solo in senso metaforico, ma proprio reale. Non a caso, Luca accenna anche alla dimensione economica del farsi prossimo.
Il samaritano porta l’uomo in una locanda e lo affida alle cure dell’albergatore, promettendo a questi di rifondergli la differenza per quello che spenderà in più, quando ritornerà. Farsi prossimo, quindi, non è un’azione singola ed isolata, ma è anche un ritornare da colui che ha bisogno.
Infine, un ultimo particolare. Il samaritano conduce l’uomo in un albergo: questo ci porta alla mente che, invece, per Maria, Giuseppe e il nascituro Gesù non c’era posto nell’albergo. Adesso, invece, alla luce di Cristo, un posto per un bisognoso si trova.
L’episodio evangelico si chiude con l’invito di Gesù al dottore a comportarsi nello stesso modo del samaritano. Il progetto evangelico passa attraverso tre momenti: responsabilizzare, educare ed inviare. Una volta che si è riconosciuta la verità, la si deve vivere autenticamente e profondamente (e non limitarsi alla sua superficialità), così da essere inviati nel mondo a “fare lo stesso”.
Gli incontri del corso biblico riprenderanno dopo le festività pasquali.
Vincenzo Ruggiero Perrino