Un Amico di Gianbattista Vico: Antonio da Palazzolo, predicatore cappuccino

di Fiorenzo Ferdinando Mastroianni OFM Cap.

Francescantonio Ceraso nacque nel 1672 da Scipione e Artemisia Pera, a Palazzolo (oggi Castrocielo), non lontano da Aquino. A Napoli studiò filosofia cartesiana, diritto civile e canonico, lettere umane, oratoria e la lingua greca, sotto la direzione di Gregorio Messere. Aveva meno di 20 anni quando l’inquisizione imbastì il famoso processo antiateistico a Napoli, per reagire contro atomismo e cartesianesimo.

A 22 anni l’avv. Ceraso entrava nel foro, ma poco dopo – mentre si riapriva il processo antiateistico, sospeso per il terremoto del 5.VI.1688 – lasciò il secolo per entrare nell’ordine cappuccino, senza però rinunziare alla formazione filosofica ricevuta, ormai dominante a Napoli e professata dagli accademici Investiganti. Questi, benché ufficialmente disciolti, continuarono a lavorare fino alla sua ricostituzione tra il 1735-37, raccogliendone gl’ideali Gaetano Argento, Gianvicenzo Gravina ed altri, che risultano grandi amici di cappuccini dotti napoletani, come Bernardo Giacco, ammiratore entusiasta del Palazzuolo e del Vico.

Il giovane avvocato entrò nel noviziato di Caserta, dove lo inviò il provinciale p. Urbano da Napoli, dei nobili De Franchis, che lo affidò alla direzione del maestro p. Francescantonio da Taranto,  e lì emise i voti l’8.12.1693.  Durante il noviziato compose in versi varie preghiere alle piaghe del redentore e ai dolori di Maria, a s. Anna, e un inno al Cuore di Gesù. Siamo a fine ‘600, e questo accenno al Cuore di Cristo è significativo. Raccolte in un “piccolo libriccino”, le poesie passarono nelle mani di p. Emmanuele da Napoli, che le depose nell’archivio provinciale.

Dopo il noviziato e il triennio di professorio fu dichiarato studente di filosofia sotto la direzione del lettore p. Vittorio da Benevento. Benché questo lettore fosse un “uomo a quel tempo riputato per la scuola”, il giovane di Palazzuolo non l’apprezzò molto, avendo studiato Cartesio e Malebranche. Se ne lamentò coi superiori provinciali, che giudicarono opportuno fargli studiare la teologia a Bologna, sotto un “valente lettore”. Lì studiavano anche p. Saturnino da Napoli, p. Placido da Capua, p. Agostino da Napoli, che col Palazzuolo furono esaminati il 28.IV.1702, e furono ritenuti “molto sufficienti”, ed ottennero la patente di predicatori. Il lettore era p. Giuseppe da Mirandola, che era anche definitore in atto.

Tornato a Napoli, fu ascoltato nella chiesa del Carmine dal provinciale p. Emmanuele da Napoli, che senza esitazione lo nominò lettore di filosofia o di teologia a sua scelta. Dalla sua scuola uscirono ottimi lettori, come p. Serafino da Napoli e p. Illuminato da Mercogliano, che fu il vero rinnovatore degli studi nella provincia di Napoli, quando p. Antonio, da provinciale, lo nominò lettore di filosofia e teologia. Invitato a partecipare a una pubblica “adunanza” coi gesuiti, li indusse ad ammettere che la loro posizione era quella di Lutero e di Calvino. Guardiano a Nola,  restaurò il convento. Nel 1714 rinunziò alla voce attiva e passiva. Il 9.1716 era lettore di teologia a Nola e come tale approvò – insieme con p. Bernardino da Fratta – I dolori mentali di Giesù Christo di Simone da Napoli (Napoli 1717).

Nel capitolo provinciale del 1722 fu eletto definitore, e nel 1725 provinciale per breve pontificio. Accettò la conferma solo per un altro anno e mezzo (1726-1728). Il suo governo fu ricordato in seguito, e si usava dire:  “Questo che accade è simile al governo del P. Palazzuolo”; benevolo con tutti, si diceva che “chi voleva qualche bene dal padre Palazzuolo, bastava di fargli qualche oltraggio o ingiuria”.  Ma era anche facile a inviare precetti di santa obbedienza, come capitò a p. Illuminato da Napoli, che fu obbligato a trasferirsi a Sessa e fungere da maestro dei novizi, dove perse l’udito a causa dell’umidità, e solo allora lo trasferì, ancora con precetto di obbedienza, a Piedimonte come guardiano.

Il 14.IX.1727 inviò al canonico di Capua Francesco M. Pratilli 4 pagine di notizie sui cappuccini di Capua. Favorito da una voce gradevole e dalla prestanza fisica, predicò a Siena, Arezzo, Ancona, Roma, Livorno, Bologna, dove nel 1731 predicò l’avvento in cattedrale, su invito del card. Prospero Lambertini, poi  papa Benedetto XIV. A Livorno parlò di s. Tommaso Moro e riuscì graditissimo al clero locale.  Predicando sul martirio di s. Gregorio Armeno nel monastero di “S. Livoro” di Napoli, indusse al pianto l’uditorio. Il grande oratore Giacco diceva: “Quando parla il Palazzuolo, angelus locutus est”. Ambedue furono amici del filosofo Giambattista Vico. Questi donò a p. Antonio  le Orationes  Latinae ancora manoscritte, e alla sua morte – si dice – volle essere assistito da p. Antonio, ma è impossibile perché il Vico morì nel 1744.

Nel 1733 fu eletto definitore generale. Secondo il Celentano, il generale p. Bonaventura Barberini da Ferrara – poi arcivescovo – pose nelle sue mani quasi tutto il governo della religione, e i cardinali della S. C. de vescovi e regolari nelle cause dell’ordine si affidavano completamente a lui. Nell’ ultimo periodo della sua vita soffrì una malattia  di natura  respiratoria. Morì  sabato 22.X.1735, dopo essersi confessato da p. Fedele da Napoli e preso il viatico dal cappellano della Concezione. P. Emmanuele Celentano da Napoli afferma: “Niun religioso è stato mai pianto in provincia di Napoli con più amore e tenerezza, quanto il Palazzuolo”. Sotto il suo ritratto fu scritto: Dilectus Deo et hominibus, cuius est in benedictione”. Il card. Prospero Lambertini, alla notizia della morte pianse e disse: “L’Italia ha perduto uno splendido lume di sapienza”. Il Celentano compose una epigrafe latina.

 

Fonti:

 

Mastroianni F.F., Santità e cultura nella provincia cappuccina di Napoli nei sec. XVI-XVII, Edizioni T.D.C., Napoli, 2002.

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