Per una rilettura più cristiana di quegli eventi
Un anno. E’ trascorso un anno dalla data storica della fusione di due diocesi, quella di Sora-Aquino-Pontecorvo e la Diocesi Abbazia Territoriale di Montecassino. Papa Francesco col suo decreto rivoluzionava, il 23 ottobre 2014, la geografia ecclesiastica di una vasta zona del Lazio meridionale, con qualche enclave in Abruzzo e in Campania.
Lo storico annuncio, rimasto sub secreto pontificio fino all’ultimo, fu dato in modo ufficiale e simultaneo in quattro luoghi diversi. Fu un giorno che scosse emotivamente molte persone, vissuto con grande partecipazione ma certamente con emozioni diverse. Abbastanza neutra, come è naturale che fosse, l’atmosfera nella Sala Stampa Vaticana, dove Padre Lombardi diede la notizia alle ore 12,00. Alla medesima ora i due “nominati” davano l’annuncio nelle loro rispettive sedi: nella Cattedrale di Sora il Vescovo Gerardo Antonazzo, davanti alle autorità cittadine e alla stampa appositamente convocate, diede lettura della lettera informativa del Decreto che sanciva l’unificazione, mentre le campane suonavano a festa. Ci fu sorpresa, ripetuti applausi, grande gioia e un vicendevole rallegrarsi, perché suonò, cifre e dati alla mano, come un allargamento territoriale, una accresciuta importanza. Poi lesse la sua Lettera “a tutti i fratelli e sorelle che sono la Chiesa di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo”, in cui parlava di una Chiesa che “allargando gli spazi della sua Tenda, riconosce tutti e ciascuno non come ospiti, ma come concittadini dei santi e familiari di Dio” (Ef 2,19).
Nell’abbazia di Madonna della Scala in Noci (BA), l’annuncio dato dall’Abate Dom Donato Ogliari, nominato Abate di Montecassino e 192° successore di San Benedetto, rese, sì, orgogliosi i presenti del suo prestigioso nuovo incarico, ma al tempo stesso li rattristò, perché provavano forte dispiacere nel pensare di non aver più tra loro l’amatissimo Padre Donato, che aveva retto l’abbazia dal 2006 ma vi era già dal 1989.
Sempre alla stessa ora, nella Sala Capitolare dell’Abbazia di Montecassino, toccò a Dom Augusto Ricci, Amministratore apostolico, dare ufficialmente l’annuncio della nomina del nuovo Abate di Montecassino, nominato dal Papa e non eletto dalla comunità dei monaci, e contestualmente, della “mutazione dei confini tra l’abbazia di Montecassino e la Diocesi di Sora-Aquino-Pontecorvo”. Erano presenti, oltre alla comunità monastica, i Sacerdoti e i religiosi e poche altre persone, né autorità né stampa. Si pregò, si ascoltò ad occhi bassi ed un silenzio generale, grave e greve, gelò la sala, anche se, dopo un lungo periodo di apprensione e di sede vacante, si aveva finalmente la certezza di un nuovo e valido Abate.
Fu la sottoscritta, come Ufficio stampa diocesano, a divulgare immediatamente a tutti gli organi di informazione la notizia, che subito rimbalzò con grandissimo risalto su giornali, tv, radio e social, con forti e contrastanti commenti, che durarono a lungo.
Perché ricordare ora tutto questo, perché far riemergere emozioni vissute in quei frangenti invece di lasciarle sedimentare nel buio della memoria?
Perché, placata la tempesta emotiva, si può capire meglio l’accaduto e fare una lettura più attenta e consapevole, soprattutto più cristiana, di quegli eventi, per certi versi sconvolgenti, e comprendere che quando Dio con la sua “logica sorprendente” spariglia le carte, non è per confonderci e turbarci, ma per farci crescere e guardare il mondo con i suoi stessi occhi.
Certamente il compito dei due nuovi nominati, l’Abate di Montecassino ed il Vescovo diocesano, non si prospettava né facile né leggero. Ogni percorso nuovo ha la sua parte di mistero che si disvela un po’ alla volta e se non si guarda ben fisso alla meta del bene di tutti, nella chiesa e nella società, si rischia di disperdersi e impantanarsi tra i mille rivoli di pareri contrastanti. Per grazia di Dio si tratta di due personalità di spicco, che hanno per bussola il Vangelo e questo è l’essenziale.
Dal canto suo, il Vescovo Gerardo, che solo da un anno e mezzo era vescovo di Sora, ha cominciato a percorrere in lungo e in largo il nuovo territorio, visitando parrocchie e paesi, dalle periferie al centro, per cercare di conoscere, capire, entrare in sintonia con il cuore della gente, di tutta la “sua” gente. Ne ha macinati di chilometri con la sua auto in un anno! Nella mente e nel cuore, la frase programmatica più volte ripetuta “Allarghiamo la tenda senza snaturare l’identità delle nostre chiese”.
Cosa in verità non facile, essendo due chiese particolari vicine e confinanti, sì, ma con un percorso alle spalle decisamente diverso. Nel cassinate, che orgogliosamente vanta il nome di “Terra di San Benedetto”, tutta la vita – religioso-spirituale, culturale-artistica, storico-sociale e urbanistica, fin nella toponomastica – era stata plasmata in quasi millecinquecento anni dall’impronta benedettina, in un intreccio dialettico inestricabile di relazioni, legami e reciprocità. Ecco perché la sensibilità di molti aveva difficoltà anche solo ad immaginare un percorso diverso.
L’Italia, si sa, è il paese dei campanili e dei campanilismi, di rivalità e contrapposizioni, c’era da aspettarsi addirittura una sollevazione di massa. Che invece non c’è stata. Pian piano, da una parte e dall’altra, pur in presenza di qualche voce critica e dissonante – che non manca mai e talvolta fa clamore! -, in prevalenza si è cercato onestamente di costruire, non di distruggere, di ampliare gli orizzonti, di impegnarsi con lealtà e generosità, perché Uno è il Maestro, Gesù Cristo, e Una è la Chiesa cattolica.
Così un anno è trascorso, denso e fondante. Se è un periodo troppo breve per esprimere valutazioni adeguate o ritenere compiuto il percorso, è tuttavia sufficientemente lungo per capire qualcosa del cammino intrapreso, degli aspetti eventualmente da correggere e migliorare e della direzione cui tendere. La tenda si è allargata e non si è strappata, ma anche il cuore onesto si è allargato ben oltre il limite che si credeva di avere, ed ha imparato ad amare di più.
Lo sperimentiamo sempre, Dio interviene di continuo nella nostra vita, ci provoca e ci stupisce, spesso ci chiede, in modo del tutto imprevedibile e inatteso, di lasciare qualcosa e iniziarne un’altra, di uscire, di andare, di non fermarci nel chiuso di un piccolo spazio che pure ci sembra soddisfacente. Noi ogni volta cadiamo nel timore, ma Lui, se solo ci fidiamo, è pronto a darci molto molto di più. Ecco che allora cominciamo a percepire che quella novità così enorme ed inconcepibile può essere un passo avanti, che quel “taglio” tanto doloroso può essere una potatura che permetterà alla pianta di portare più frutti, che la nuova configurazione territoriale forse è “un’opportunità di grazia”.
Nel suo stile, Dio ci invita ma ci lascia liberi. Dipende da ognuno di noi, dai vertici alla base, da come ci poniamo di fronte alla realtà che, volenti o nolenti, è questa. Dipende dal nostro animo, se siamo reciprocamente disposti ad accogliere gli altri non come “rivali” ma come fratelli da conoscere, stimare e valorizzare. Dipende dal nostro sguardo, se lo teniamo fisso sul nostro orticello che ci appare usurpato, o se, sgombro da pregiudizi ed egoismi, lo alziamo in alto per incontrare quello del Signore che ci ha fatto una proposta di novità e se lo rivolgiamo ai fratelli che Egli ci pone accanto. Dipende insomma da noi che la nuova realtà provochi una crescita e addirittura una resurrezione, o che resti un motivo di sterile lamentela.
Il Vescovo Gerardo fin dall’inizio ha stimolato ad una “cultura dell’incontro e dell’inclusione”, allo spirito di collaborazione, comunione e corresponsabilità. E’ chiaro che questa è la strada su cui procedere, per migliorare quanto è stato fatto in questo anno appena trascorso ed arricchire lo scambio reciproco di risorse umane e spirituali. Bisogna ancora lavorare e vigilare perché non sia solo una parte a doversi “adattare” all’altra, ma perché – come in una relazione di coppia – ambedue si vadano incontro, prendendo a modello le esperienze, le idee, i progetti ed i servizi più validi dell’una e dell’altra parte e ricercando in comune, nel rispetto e nel dialogo, le soluzioni migliori, se vogliamo che tutti e ciascuno si sentano non ospiti, ma concittadini dei santi e familiari di Dio.
Questo, per il bene non di un singolo né di una parte, ma di tutta la chiesa diocesana e per ciò stesso, di tutta la Chiesa tout court. Dobbiamo tutti – come il Vescovo ha scritto nella nuova Lettera Pastorale – “crescere nella sensibilità ecclesiale” per giungere ad un completo, sentito e strutturale “abbraccio ecclesiale”.
Ecco perché abbiamo bisogno di fare una rilettura cristiana e sapienziale del cambiamento vissuto: per interpretare la storia, la nostra storia, alla luce di Dio, capire cosa ci sta chiedendo e scoprire i doni di grazia di cui ci vuole ricolmare.
Adriana Letta
Nelle foto: le immagini dell’annuncio dato contemporaneamente nella Sala Stampa Vaticana, a Sora, a Noci e a Montecassino; poi le foto della consegna del Decreto pontificio, il 31 ottobre, da parte del Nunzio apostolico in Italia Mons. Adriano Bernardini e della firma del verbale di consegna e accettazione redatto in quattro originali.