Per lo scorso 10 Aprile il Pontificio Collegio Leoniano di Anagni ha voluto riservare un’intera giornata del suo calendario comunitario all’accoglienza delle famiglie dei seminaristi che ne compongono la comunità. È stata per me, seminarista della diocesi di Sara-Cassino-Aquino-Pontecorvo, giunto al terzo anno di permanenza nel Collegio, la prima occasione in cui ho potuto vedere i miei cari varcarne la soglia per restarvi con me. Una gioia immensa e, credo, senza precedenti, poter condividere con i miei familiari i luoghi dove vivo e “cresco”, sotto la guida degli educatori della comunità (tra i quali don Giovanni De Ciantis, vicerettore del biennio filosofico, e don Domenico Buffone, vicerettore del sesto anno formativo, provenienti entrambi dalla diocesi di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo) e dei professori dell’Istituto Teologico Leoniano, i quali, mentre si adoperano alla formazione intellettuale, forniscono non di rado anche preziosi contributi alla formazione umana e spirituale dei seminaristi; una gioia poter farli partecipare a un segmento di quella vita che conduco, oggi con più forte convinzione e grande speranza, nel luogo dove la conduco, cercando, ogni giorno, di mantenere vivo l’entusiasmo e la passione di seguire Cristo; ma, soprattutto, una gioia ineguagliabile vederli accolti, al Leoniano, come in una famiglia. Era proprio questa l’aria che si respirava quella domenica in Collegio: la percezione che un ponte è stato gettato fra le rive della comunità del seminario e quelle della famiglia. E credo che l’equipe formativa, prima nel desiderare, poi nell’organizzare, concretamente, una giornata interamente dedicata all’accoglienza delle famiglie dei seminaristi, abbia voluto comunicare che ha nel cuore la preoccupazione di garantire, valorizzare e promuovere un legame di continuità e di vicinanza fra i singoli piccoli focolai domestici, da cui i seminaristi provengono, e la vita di comunità. Quando, ascoltando la vocazione che mi abita, mi disposi ad oltrepassare i confini della terra nella quale ho posto le mie radici – pur senza dimenticarla -, per fiorire laddove il Signore mi avrebbe condotto, sapevo bene che le mie giornate future sarebbero trascorse in luoghi diversi e distanti da quelli familiari e state scandite dalla presenza di “altre” persone; insomma, che la mia vita ne sarebbe risultata completamente mutata. Ma la consapevolezza di potersi sentire e poter essere ancora uniti, non ostante la soluzione di continuità che la vocazione esige come sua naturale risposta, consente a me e – mi sembra, con una certa meraviglia, di poter constatare – anche ai miei familiari di giungere a una rivalutazione positiva della qualità dei legami familiari originari e ad una riconsiderazione della loro sacralità: le locuzioni vivere insieme o essere a casa o sentirsi a casa, recuperano, alla luce della condizione esistenziale attuale (cioè, la vita in Collegio per il discernimento vocazionale e per la formazione verso il sacerdozio) un loro significato proprio e inequivocabile (senza considerare, inoltre, che anche le relazioni con i miei compagni di seminario, che sono il retroterra del recupero di questo significato, ne escono fortemente impreziosite): il seminario mi conduce a cogliere una misura della bellezza dei legami familiari prima non sperimentata e la stessa famiglia è investita dalla cura pastorale della comunità educante del seminario, trovando un posto, ad essa premurosamente riservato, nel suo progetto di accompagnamento, il cui primario obiettivo è quello di non recidere ponti, ma di rinforzarli per renderli indissolubili.
ANDREA PANTONE