Proseguono gli incontri del Corso biblico presso la chiesa di Santo Spirito. Infatti, sabato 20 febbraio si è svolto l’undicesimo appuntamento con l’esegesi del Vangelo di Luca.
L’attività pubblica di Gesù è iniziata in Galilea con la guarigione di alcuni ammalati, la chiamata dei primi discepoli, e con l’annuncio della novità del vangelo. Il capitolo 6 inizia con la questione sul sabato, episodio che chiarisce ancor meglio la novità del vangelo di Gesù, che, pur in continuità con il messaggio dell’antico testamento, è però “nuovo” poiché pone la salvezza dell’uomo al vertice della missione del Figlio.
È noto che il sabato per gli ebrei è il giorno consacrato a Dio, e quindi non è lecito svolgere alcuna attività lavorativa. Nel primo episodio (versetti 1-5) Gesù rievoca quello che fece Davide – ancora una volta cita la Parola di Dio – volendo spiegare che è più importante la salvezza degli uomini rispetto all’acritica osservanza della legge. Infatti, per gli ebrei la legge del sabato era inviolabile e quindi era al di sopra dell’uomo stesso.
Nel secondo episodio (versetti 6-11), rivolgendosi agli scribi (cioè gli esperti della legge) e ai farisei (cioè gli scrupolosi osservanti della legge), Gesù chiede se è lecito di sabato fare del bene o del male, salvare o sopprimere una vita. Scribi e farisei, accecati dalla loro stessa chiusura mentale, non rispondono alla domanda, né, dopo il compimento del miracolo, si interrogano su ciò che hanno visto, preferendo piuttosto porre una questione personale nei confronti di Gesù, cercando di escogitare qualcosa da fare contro di lui.
A questi episodi, che chiariscono la dirompente novità del messaggio di Gesù, segue la chiamata dei Dodici. Gesù sale su un monte e prega per tutta la notte. La preghiera di cui parla Luca va intesa in senso ebraico, ovvero di intima relazione con il Padre. Ovviamente Gesù non sale sul monte a recitare un rosario – cosa che, essendo figlio di Dio, non aveva bisogno di fare – quanto piuttosto per recuperare la relazione trinitaria col Padre. In quanto Figlio cerca la vicinanza col Padre: non a caso, salire sul monte è simbolo proprio dell’avvicinarsi a Dio, allontanandosi dalle preoccupazioni della quotidianità. E, si badi, ogni qual volta nel vangelo accade un avvenimento importante, esso è preceduto dalla preghiera (solitaria) di Gesù al Padre.
Questo particolare dovrebbe indurre noi ad una riflessione. Spesso, se non sempre, i cristiani rivolgono le loro preghiere e litanie ai santi – e di esempi se ne potrebbero fare a migliaia – anziché accedere direttamente a Dio. Eppure, il privilegio dell’essere cristiani risiede proprio nella possibilità concreta di rivolgersi direttamente al Padre, senza “raccomandazioni” di sorta. Il rischio è quello di legare la proprio fede al miracolo fatto dal santo – santi che, oltretutto, in vita non hanno mai posto se stessi prima di Dio – piuttosto che al pieno e totale abbandono a Dio.
Al termine della notte di preghiera, Gesù sceglie i dodici apostoli (naturalmente il numero dodici è un richiamo alle dodici tribù dell’antico testamento). I dodici costituiscono il nucleo della convocazione di tutto il popolo di Dio. Gli apostoli partecipano al ruolo di Gesù messia, essendo gli inviati, i delegati autorevoli di Gesù. Attenzione: discepolo e apostolo non sono termini coincidenti. Discepoli sono tutti coloro chiamati alla sequela di Cristo, ad apprendere la novella; apostoli sono coloro chiamati a diffondere il messaggio salvifico. Il concetto è chiaro: per essere apostoli è imprescindibile il cammino di discepolato; non si può essere apostoli senza prima essere stati discepoli.
Gesù è seguito dalla folla, termine con il quale Luca vuol indicare un insieme caotico di gente, che non costituisce un popolo. Questa massa di persone segue Gesù, desiderando toccarlo perché da lui proveniva una forza che guariva tutto e tutti. A quel punto, Egli, guardando i discepoli (cioè tutti coloro che lo seguivano, e non solo gli apostoli), pronuncia le beatitudini (versetti 20-26).
La differenza con il parallelo passo in Matteo è che lì le beatitudini sono pronunciate con un lessico generale e astratto, da un Gesù assiso tra la folla, in un atteggiamento tipico della cultura ebraica (alla quale Matteo rivolge il suo vangelo); in Luca, Gesù si rivolge direttamente ai suoi allocutori (“Beati, voi”). In tal modo, coloro che sono poveri si sentono compresi e accettati, coloro che non sono poveri sono invitati a immedesimarsi nella sofferenza altrui. Le beatitudini non sono né un augurio convenzionale né un desiderio di felicità; sono una dichiarazione fatta dal Figlio, che agisce nella storia per attuare la giustizia divina.
Alle beatitudini seguono i “guai”. Gesù vuol lasciar intendere a coloro che non hanno fame perché sono nella ricchezza materiale, che invece è necessario avere fame spirituale di Dio, senza la quale il loro benessere è nulla, e compassione per i meno fortunati. Poi, quasi a corollario delle beatitudini, ai versetti 27-38 Gesù fornisce delle indicazioni “pratiche”: amare i nemici; a chiunque chiede non bisogna negare; fare agli altri ciò che si vuole venga fatto a sé; essere misericordiosi come il Padre misericordioso; non arrogarsi il ruolo di giudice; perdonare per essere perdonati; dare per ricevere.
Infine, a chiudere il cerchio, Gesù chiarisce il senso del discepolato: il discepolo non è più del maestro, ma ogni discepolo ben preparato sarà come il suo maestro…
Il prossimo appuntamento del corso biblico è per sabato 12 marzo, alle ore 18.30.
Vincenzo Ruggiero Perrino