Dopo la pausa per le festività pasquale e per la preparazione del mese mariano, sabato 13 maggio sono ripartiti gli incontri del corso biblico presso i locali attigui alla chiesa di Santo Spirito a Sora. La guida spiriturale del gruppo, don Govanni De Ciantis, ha così ripreso la riflessione sulla predilizione di Dio verso i piccoli e gli ultimi, che era il tema prescelto all’inizio del cammino dell’esegesi.
In questo appuntamento si è passati all’analisi del Nuovo Testamento. Infatti, ci si è concentrati sul capitolo 25 del Vangelo di Matteo, che dal versetto 31 e seguenti fornisce un illuminante esempio di come si svolgerà il giudizio finale.
Chi è Matteo, l’autore del vangelo in questione? Egli appartiene alla cultura ebraica e, come apprendiamo dagli stessi vangeli, svolgeva la professione di esattore delle tasse. In buona sostanza lavorava per il “nemico”, cioè per i romani, per conto dei quali esigeva i tributi dalla sua stessa gente, verosimilmente intascandosi una percentuale ad ogni pagamento (cosa che lo aveva reso considerevolmente ricco, tanto che prima di seguire Gesù organizzò un lauto banchetto). Un altro esattore delle tasse, che come Matteo dopo l’incontro con Gesù si convertì e si pentì delle ruberie commesse, è Zaccheo.
Altro indizio della sua appartenenza alla cultura ebraica è il suo nome: Levi. Perciò, egli scrive per la comunità ebraica (mentre Marco scrive per i romani, e Luca per i greci), e questo lo si evince da una serie di dettagli. Per esempio, Matteo chiama Gesù “Figlio dell’uomo” (laddove Marco lo chiama “Figlio di Dio”, e Luca “Cristo”), poiché nei libri profetici del canone ebraico si parla continuamente della venuta del “figlio dell’uomo”. Perciò, attribuire a Gesù questa qualifica significa dire agli ebrei: “è proprio in Gesù che si sono avverate le antiche profezie; è lui l’avveramento delle scritture”.
Lo stesso richiamo agli angeli, che circonderanno Gesù assiso sul trono della sua gloria alla fine dei tempi, è tipicamente ebraico, considerato che di angeli si parla in diversi luoghi dell’Antico Testamento. Gesù, dunque, siede sul trono della gloria celeste, circondato da angeli. Il trono è un simbolo molto chiaro di regalità, quasi a significare che è Gesù il solo re, l’unico che può sedere sul trono.
Il monito per noi oggi è: quanto gareggiamo per poltrone, potere e ricchezze varie, dimenticando che tutto ciò è vanità?
Poi, Matteo, sempre richiamando immagini familiari ad un lettore di cultura ebraica, introduce la similitudine del popolo come gregge, che viene diviso in pecore (animali notoriamente mansueti e disponibili a stare insieme in gregge) a destra, e capre (animali testardi e recalcitranti, difficilmente disponibili ad obbedire al pastore) a sinistra. La divisione che Gesù in trono opera è non tanto un atto di giudizio, quanto un atto di discernimento. Infatti, non è tanto Gesù ad operare la separazione dei due tipi di ovini. La scelta se essere pecore o capre è demandata a ciascuno di noi. Gesù, nel giudizio finale, si limiterà a fare il pastore: semplicemente prenderà atto di chi ha scelto di comportarsi da pecora, ponendolo alla sua destra, e di chi ha scelto di comportarsi da capra, ponendolo alla sua sinistra.
Insomma, alla fine dei tempi, Gesù verrà nella gloria per operare questa divisione, la quale è simile a quanto avvenuto all’origine del mondo. Infatti, come allora Dio separò tenebre e luce, acqua e terra, così separerà pecore e capre, nell’intento di sistemare tutto il caos del mondo in un preciso ordine: Babilonia diventarà Gerusalemme… In tal senso si deve leggere pure la precisazione che il regno è stato preparato fin dall’origine per i benedetti del Padre.
E noi oggi chi benediciamo? E, quando benediciamo, siamo sinceri, oppure lo facciamo solo per ipocrisia, sparlando del prossimo alle sue spalle? Insomma, ci comportiamo da pecore o da capre?
L’atteggiamento delle pecore e delle capre è innanzitutto un modo di essere interiore. Le pecore si comportano verso il prossimo con quella spontaneità che rasenta quasi il non rendersi conto del bene che si sta compiendo; fanno le cose senza alcun calcolo, perché si comportano con umiltà e secondo la volontà del Signore; sono semplici e non ostentano ciò che fanno. Attenzione: da nessuna parte si dice che costoro sono perfetti; sono giusti, cioè umili di cuore e disponibili a mettersi alla sequela di Cristo e del suo insegnamento.
Gli altri – le capre – sono coloro che hanno un comportamento farisaico: ostentano il bene e si preoccupano solo di applicare una serie di precetti e di regole formali e vuote. Tuttavia, Gesù si rivolge anche loro (un giudice invece non gli avrebbe parlato, ma, considerata l’evidenza della loro colpa, li avrebbe direttamente consegnati alle guardie per portarli a scontare la pena), per ratificare in un certo senso la scelta che hanno compiuto, di dividersi da lui e di non riconoscere il volto di Dio in ogni fratello, come a suo tempo ha fatto il diavolo.
Noi oggi ci offriamo al mondo come strumento di unità o di divisione? Siamo grano o zizzania?
Vincenzo Ruggiero Perrino